Ancora sulle sezioni di un cubo

Le sezioni piane di un solido geometrico, in particolare di un cubo da un punto di vista elementare.
Uno degli argomenti di geometria dello spazio, forse fra i più interessanti, al quale purtroppo non sempre è riservata la necessaria considerazione, è lo studio delle sezioni piane di un solido geometrico e, in particolare, quello delle sezioni piane di un cubo. L’argomento è già stato trattato, almeno per alcuni aspetti riguardanti proprio il cubo, su questa medesima rubrica [VEDI]
Intendo fare qui una trattazione meticolosa proprio delle sezioni piane di un cubo e porre un’attenzione speciale alle sezioni ottenute con un piano perpendicolare …

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Libri di testo di Matematica

Un buon libro di testo di matematica che soddisfi tutti è utopia. Il piano stilato da d’Alembert è un importante e tuttora valido saggio di didattica della matematica.
Come va pensato, organizzato, scritto un libro di testo di Geometria? Qual è l’ordine che si deve seguire nella trattazione degli argomenti? Come introdurre l’uguaglianza delle figure? Quale il ruolo da assegnare al movimento e quale agli assiomi e alle dimostrazioni? Quando introdurre gli incommensurabili e che posto dare all’infinito e allo studio delle curve, dell’algebra e del calcolo differenziale? Ancora, un libro va pensato per tutti gli studenti o in funzione delle propensioni?
Sono questioni che si sente dibattere nei tanti convegni odierni dedicati all’insegnamento della matematica.
Sono questioni però che sono state sempre “attuali”.
Lo sono state ai tempi di d’Alembert come ai tempi di Euclide rimasto nella storia come il più celebre degli autori di manuali scolastici. L’autore del più duraturo libro di elementi mai dato alle stampe. Il libro che ha stabilito una via regia per l’insegnamento della geometria e della matematica. Il libro che ha indicato le proposizioni con le quali iniziare, fissandone l’ordine e fornendo il metodo di insegnarle.
C’è da osservare subito che il termine Geometria per d’Alembert ha il significato di Matematica, come era nella tradizione degli Elementi di Euclide che raccoglievano insieme aritmetica e geometria.
Il problema che si pone d’Alembert, caratteristico peraltro del periodo storico che egli vive, è didattico.
È la realizzazione di un moderno Elementi di matematica comprensivo di algebra (che allora si diceva anche geometria simbolica e anche geometria metafisica), curve geometriche e analisi matematica, cioè il nuovo calcolo sublime, differenziale e integrale.
Come fare? Conviene seguire l’ordine degli inventori, cioè la via genetica della scoperta, che è  genealogia naturale delle idee o procedere altrimenti pensando altre inferenze logiche?
In sostanza, si chiede d’Alembert, quali riflessioni “potrebbero essere non inutili sul modo di trattare a metà del XVIII secolo gli Elementi della Geometria?
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert è convinto che realizzare un libro di testo che raccolga il gradimento di tutti è una utopia.
L’argomento però l’affronta e delinea un piano didattico che espone in dettaglio nella voce Mathematique dell’Encyclopedie. Voce che Biagio Scognamiglio ha recentemente reso nella traduzione italiana per Matmedia. Il piano di d’Alembert è un saggio di didattica della matematica che ha svolto un ruolo di guida per molti dei decenni successivi. Anzi, si può dire con certezza che ha ispirato la maggior parte delle stesure di libri di testo almeno fino alla metà del secolo XX.
«Questo piano – egli afferma – fa capire che una simile impresa può essere ben compiuta soltanto da matematici di prim’ordine, e che, per fare eccellenti elementi di geometria, Cartesio, Newton, Leibniz, Bernoulli, eccetera, non sarebbero stati di troppo».
Scrivere un libro di testo è comunque tanto oneroso e esclusivo da inibire ad ogni autore qualsiasi altra attività di ricerca. Cosa che ha scoraggiato soprattutto i grandi, perché «forse non c’è scienza sulla quale siano stati tanto moltiplicati gli elementi» quanto la matematica. Questi libri sono per la maggior parte «opera di matematici mediocri, le cui conoscenze in Geometria spesso non vanno al di là del loro libro e che per questo stesso motivo sono incapaci di trattar bene questa materia».
I grandi matematici hanno preferito fare altro, contribuire a far crescere la matematica.
Non così però i mediocri, in compenso dotati di una dose di presunzione adeguata al compito e della quale è prova il fatto, dice d’Alembert, che «non c’è quasi nessun autore di elementi di Geometria che nella sua prefazione non dica più o meno male di tutti quelli che l’hanno preceduto».
Quali sono i principi pedagogici ai quali attenersi?
Prima di tutto, è il parere di d’Alembert, occorre non parcellizzare troppo il discorso suddividendolo in tante parti: la trattazione va resa quanto più possibile unitaria. Ad esempio, non è affatto utile «la suddivisione in geometria delle linee rette e delle linee curve, geometria delle superfici e geometria dei solidi».
Non lo è perché «sebbene la linea retta sia più semplice della linea curva, tuttavia è appropriato trattare l’una e l’altra insieme e non separatamente negli Elementi di Geometria».  Un principio che è seguitissimo tuttora anche per le operazioni aritmetiche: vanno trattate insieme, almeno dirette e inverse. È il principio didattico che valorizza la reversibilità, che insieme alla invarianza caratterizza molto dell’attività del fare matematica. Già da questo, in didattica, d’Alembert lo si direbbe un primo fusionista nel senso di Klein, Polya e de Finetti.
Come affrontare, a livello didattico, l’uguaglianza? 
L’uguaglianza, è il parere di d’Alembert, va stabilita attraverso il principio di sovrapposizione, che «non è affatto un principio meccanico e grossolano, come dicono alcuni moderni geometri; è un principio rigoroso, chiaro, semplice, desunto dalla vera natura della cosa. Ad esempio, quando si vuole dimostrare che due triangoli che hanno uguali le basi e gli angoli alla base sono del tutto uguali, si applica con successo il principio della sovrapposizione: dalla supposizione dell’uguaglianza delle basi e degli angoli si conclude a ragione che questi angoli e queste basi in seguito all’applicazione degli uni sulle altre coincideranno, quindi dalla coincidenza di queste parti si conclude in tutta evidenza, per necessaria conseguenza, la coincidenza del resto». In definitiva, «il principio della sovrapposizione non consiste nell’applicare grossolanamente una figura sull’altra, […] come un operaio applica il suo piede su una lunghezza per misurarla, ma questo principio consiste nell’immaginare una figura trasportata su un’altra».
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783)
Il punto di vista didattico di d’Alembert è comunque molto più generale.
Il principio della sovrapposizione si può usare anche per provare che due figure non sono identiche. «Del resto, per sovrapposizione io qui intendo non solo l’applicazione di una figura su un’altra, ma quella di una parte di una figura su un’altra parte della medesima figura al fine di paragonarle fra loro, e quest’ultima maniera di impiegare il principio di sovrapposizione è di un’utilità infinita e semplicissima negli elementi di Geometria».
Gli incommensurabili, l’infinito e la reductio ad absurdum.
«Si consideri il teorema: una linea parallela alla base di un triangolo ne taglia i lati in proporzione. Per dimostrarlo, basta mostrare che se questa parallela passa per il punto di mezzo di uno dei lati, passerà per il punto di mezzo dell’altro; perché  di seguito si farà constatare agevolmente che le parti tagliate sono sempre proporzionali quando la parte tagliata sarà commensurabile all’intera linea, e quando non lo sarà, si dimostrerà il medesimo enunciato mediante la reductio ad absurdum, facendo vedere che il rapporto non può essere né più grande né più piccolo e di qui che è uguale. Noi diciamo mediante la riduzione all’assurdo, perché solo in questo modo indiretto si può dimostrare la maggior parte degli enunciati  che riguardano gli incommensurabili.
L’idea dell’infinito entra almeno implicitamente nella nozione di questi tipi di quantità; e poiché noi non abbiamo un’idea dell’infinito se non negativa, vale a dire che lo concepiamo soltanto mediante la negazione del finito, si può dimostrare direttamente e a priori tutto ciò che concerne l’infinito matematico.
Si dirà forse che la  considerazione degli incommensurabili renderà la geometria elementare più difficile; può darsi; ma essi entrano necessariamente in questa geometria; presto o tardi bisogna arrivarci, ed è meglio presto».
Le definizioni in matematica
Un buon libro non parte con le definizioni. «A noi sembra poco filosofico e poco conforme alla naturale impronta dello spirito presentarle di primo acchito, bruscamente e senza una sorta di analisi».
Anche per l’Algebra valgono le stesse raccomandazioni. Può una semplice definizione dell’algebra darne l’idea a colui che ignora detta scienza? Sarebbe dunque appropriato cominciare un trattato di Algebra con lo spiegare chiaramente la strada seguendo la quale lo spirito è giunto o può giungere a trovarne le regole, e l’opera la si farà terminare così: la scienza che abbiamo finora insegnato è la scienza che si chiama Algebra.  Ciò vale anche per l’applicazione dell’Algebra alla Geometria e per il calcolo differenziale e integrale, «di cui non si può afferrare bene la vera definizione se non dopo averne compreso la metafisica e l’uso».
La costruzione degli elementi di Geometria.
Non è conveniente perseguire il rigore a tutti i costi. Sarebbe peraltro impresa chimerica, perché  è come cercare un rigore perfetto che non esiste, è immaginario. Anche gli assiomi, quelli che Euclide chiamò “nozioni comuni”, sono perfettamente inutili. In un trattato vanno soppressi: «Che bisogno c’è di assiomi sul tutto e sulla parte per vedere che la metà di una linea è più piccola di una linea intera?».
Quello che importa nella costruzione del discorso didattico è la concatenazione degli argomenti, la loro graduazione, condotta generalmente, senza salti, dal più semplice al più complesso. Il credo didattico degli enciclopedisti è sancito nella voce Education: «Il gran segreto della didattica, ovvero dell’arte di insegnare, è di essere nelle condizioni di chiarire la subordinazione delle conoscenze».
Il piano didattico stilato da d’Alembert stabilisce questa graduazione.
Ad esempio negli “elementi” bisogna preparare il campo alla trattazione della Geometria trascendente o delle curve.
È una Geometria che comporta il calcolo algebrico. Questa parte va iniziata con la soluzione dei problemi di secondo grado,  utilizzando come strumenti la retta e il cerchio. Una volta introdotto il discorso dei problemi di secondo grado, si passerà alle sezioni coniche.
Il modo  migliore e più breve di trattarle è di “ricorrere al metodo analitico”.
«Quando si saranno trovate le più semplici equazioni della parabola, dell’ellisse, e dell’iperbole, si farà vedere di seguito molto agevolmente che queste curve si generano nel cono e in che modo vi si generano». In effetti questa introduzione delle coniche a partire dalla loro formazione nel cono sarebbe forse il modo più naturale con cui partire, se ci si limitasse però «a fare un trattato su queste curve. Ma in un corso di Geometria vanno introdotte da un punto di vista più generale e la loro trattazione si concluderà con la soluzione dei problemi di terzo e quarto grado» e, ovviamente, con osservazioni che riusciranno utili nella «teoria delle traiettorie o curve descritte da proiettili  e di conseguenza nella teoria delle orbite dei pianeti».
Terminate le sezioni coniche, si passerà alle curve di genere superiore. 
Queste teorie si basano in parte sul calcolo algebrico e in  parte sul calcolo differenziale; non è che questo calcolo vi sia assolutamente necessario, ma checché se ne dica, esso abbrevia e facilita estremamente tutta questa teoria.
Riguardo alla quadratura e alla rettificazione di questi tipi di curve, come anche alla rettificazione delle sezioni coniche, le si rimetterà alla Geometria sublime. Per il resto, trattando le curve geometriche, ci si potrà dilungare un po’ più particolarmente sulle più conosciute, come il folium di Cartesio, la concoide, la cissoide, eccetera.
Le curve meccaniche faranno seguito a quelle geometriche.
Si tratteranno dapprima le curve esponenziali, «che sono come una specie intermedia fra le curve geometriche e le meccaniche». In seguito, dopo aver dato i principi generali della costruzione delle curve meccaniche per mezzo della loro equazione differenziale e della quadratura delle curve, si entrerà nel dettaglio delle principali e più conosciute: spirale, cicloide, trocoide, eccetera. Questi sono pressappoco gli argomenti che un trattato di Geometria trascendente deve contenere.
Segue la Geometria sublime, alla quale non resta che il calcolo integrale con la sua applicazione alla quadratura e alla rettificazione delle curve. «Questo calcolo sarà dunque la materia principale e quasi unica della Geometria sublime».
Altre raccomandazioni didattiche.
La prima raccomandazione è che «il calcolo algebrico non deve essere affatto applicato alle proposizioni della geometria elementare, per la ragione che bisogna usare questo calcolo soltanto per facilitare le dimostrazioni, mentre non sembra che nella geometria elementare vi siano dimostrazioni tali da poter essere realmente facilitate da questo calcolo».
L’eccezione a questa regola è la soluzione dei problemi di secondo grado, perché il calcolo algebrico semplifica al massimo la soluzione delle questioni di tal genere e abbrevia anche le dimostrazioni. Questo è il campo più proprio della applicazione dell’Algebra alla Geometria.
La seconda raccomandazione di d’Alembert è di convincersi che è «ridicolo dimostrare mediante la sintesi ciò che può essere trattato più semplicemente e più facilmente mediante l’analisi, come le proprietà delle curve, le loro tangenti, i loro punti di inflessione, i loro asintoti, le loro diramazioni, la loro rettificazione e la loro quadratura».
Porta l’esempio della spirale:  «le proprietà della spirale, che i più grandi matematici hanno tanto penato a seguire in Archimede, oggi possono essere dimostrate con un tratto di penna».
Ancora una raccomandazione:
la Geometria, soprattutto quando è aiutata dall’Algebra, è applicabile a tutte le altre parti della Matematica, giacché in Matematica non si tratta mai di altro se non di paragonare delle grandezze fra loro; e non è senza motivo che alcuni geometri filosofi hanno definito la Geometria scienza della grandezza in generale, in quanto è rappresentata o può esserlo mediante linee, superfici e solidi.
Infine, le dimostrazioni vanno presentate in forma problematica.
Il filosofo cartesiano Johannes Clauberg nella Logica vetus et nova del 1654 aveva così sintetizzato i problemi dell’insegnamento: quid sit tradendum et quo fine, quis traditurus quis accepturus, quomodo quid tradere conveniat. Il piano di d’Alembert sviluppa in particolare il quomodo quid tradere conveniat, ma non trascura osservazioni importanti sugli altri aspetti.
Ad esempio, sullo studente, perché «tutti coloro che studiano la Geometria non la studiano con le stesse vedute». Ci sono quelli a cui basta un buon trattato di geometria pratica, a chi invece fa bene avere un’infarinatura di geometria elementare speculativa, e converrà dargliela, fornendo dimostrazioni più facili, anche se meno rigorose. Per gli spiriti, però, «veramente adatti a questa scienza, per coloro che sono destinati a farvi dei progressi, noi crediamo che ci sia una sola maniera di trattare gli elementi: quella che unirà il rigore alla chiarezza e che allo stesso tempo li metterà sulla via delle scoperte per il modo in cui si presenteranno le dimostrazioni. Per questo bisogna mostrarle, per quanto possibile,  sotto la forma di problemi da risolvere piuttosto che della dimostrazione di teoremi di cui non si è capito neppure il significato.

Laureato in matematica, docente e preside e, per quasi un quarto di secolo, ispettore ministeriale. Responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell’Istruzione. Segretario, Vice-Presidente e Presidente Nazionale della Mathesis dal 1980 in poi e dal 2009 al 2019, direttore del Periodico di Matematiche.

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I sessant’anni della scuola media

I sessant’anni della scuola media. Storia dei cambiamenti avvenuti negli insegnamenti di matematica e scienze in un’ottica fusionista.
Giacinto Bosco (1905 – 1997)
La legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 istituì la scuola media unica per tutti i preadolescenti italiani.
Dopo la pubblicazione dei programmi per la scuola elementare nel 1955, dominava un marcato ottimismo circa la definizione dell’assetto da dare alla scuola media, problema reso peraltro impellente dal dettato costituzionale sull’obbligo scolastico. Ci fu bisogno però di un ulteriore settennio di maturazione perché fosse varata la più importante legge del sistema scolastico italiano del dopoguerra,  la legge 31 dicembre 1962, n. 1859, che istituisce e ordina la «nuova» Scuola Media:
Art.1. — Fini e durata della scuola
                 In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratui­tamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di primo grado.                La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva.
 Art. 2. — Piano di studi
                 Il piano di studi della scuola media comprende i seguenti insegnamenti obbligatori: religione (con la particolare disci­plina di cui alla legge 5 giugno 1930, n. 824); italiano, storia ed educazione civica, geografia; matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali; lingua straniera; educazione artistica; educazione fisica.Sono inoltre obbligatorie nella prima classe le applicazio­ni tecniche e l’educazione musicale che diventano facoltative nelle classi successive.Nella seconda classe l’insegnamento dell’italiano viene in­tegrato da elementari conoscenze di latino, che consentano di dare all’alunno una prima idea delle affinità e differenze fra le due lingue.Come materia autonoma, l’insegnamento del latino ha ini­zio in terza classe; tale materia è facoltativa.L’alunno che intenda seguire insegnamenti facoltativi può sceglierne uno o più all’inizio di ogni anno scolastico.Per assicurare con la partecipazione attiva di tutti  gli insegnanti la necessaria unità di insegnamento  il Consiglio di Classe si riunisce almeno una volta al mese[1].
I programmi, gli orari e le prove di esame furono stabiliti con D. M. del 24.4.1963 e pubblicati nel supplemento ordinario n. 1 della G.U. n.124 dell’11.5.1963.
La Matematica e le Osservazioni ed elementi di scienze naturali vi figurano come corsi distinti. La matematica ha 3 ore in ciascuna classe del triennio, e prevede agli esami di licenza prove scritte e orali; alle Osservazioni ed  elementi di scienze sono assegnate 2 ore in prima e in seconda classe e 3 ore nella terza, un voto per l’orale e uno per la pratica.
È  successivamente che avviene il “pasticcio”: è il D.P.R. 15.11.1963 n. 2063 che abbina gli insegnamenti istituendo una cattedra di 16 ore d’insegnamento settimanali per ciascun corso.
Non fu una soluzione inventata dalla sera alla mattina, ma v’era stato un lungo dibattito e un’esperienza di sperimentazione avviata già dal 1957 in molte scuole[2]. Se da una parte, però, la scelta fu determinata anche da motivi organizzativi e pratici  (tra l’altro anche la previsione della necessità, di lì a pochi anni, di un numero elevato di docenti), dall’altra si era formato il convincimento, condiviso più dai politici e dai pedagogisti che dai matematici, che fosse necessario a tale livello di età non frantumare troppo gli insegnamenti. Si riconosceva, infatti, che uno dei vantaggi dell’antico ginnasio inferiore, che anche la scuola media di Bottai (1940) aveva ereditato, era costituito dall’insegnante di classe, il quale svolgendo l’intero gruppo letterario (italiano, latino, storia, geografia, a cui poi si era aggiunta l’educazione civica) “dava di fatto unità all’insegnamento, continuando in certo modo l’unicità di insegnante della scuola elementare, ed evitando nella delicata età della preadolescenza la molteplicità di metodi e di impostazione, inevitabilmente congiunta con la molteplicità di insegnanti. Da questo punto di vista… sembra molto opportuno l’abbinamento della matematica con le osservazioni ed elementi di scienze naturali, che tuttavia pare abbia sollevato difficoltà da parte di alcuni insegnanti di queste discipline”[3]
Tullio Viola (1904 – 1985)
Le difficoltà consistevano, è ovvio, nel dover insegnare cose che non si conoscevano e questo valeva sia per i laureati in matematica che per i laureati in scienze.
A farsi portavoce di tali difficoltà fu l’UMI, il cui ufficio di Presidenza espresse voto unanime contro l’abbinamento perché  “non giova né alla serietà né alla efficacia dell’insegnamento ed è lesivo dei diritti degli insegnanti di ruolo di Matematica”. Ma anche la Mathesis,  presidente Tullio Viola[4] (1904-1985, nella foto a lato), provvide ad inviare al Ministro un “Manifesto” con le firme di 637 docenti che giudicavano “l’abbinamento tra le due materie come fatalmente e gravemente dannoso anche dal solo punto di vista della formazione dei giovani allievi dagli 11 ai 14 anni”. Ad eccezione delle osservazioni sul disagio dei professori di matematica i quali, pur in presenza di un minor numero di classi affidate, sono costretti ad insegnare le scienze, le motivazioni addotte contro l’abbinamento  appaiono, però, abbastanza ripetitive, basandosi sulla impreparazione dei docenti ad insegnare ugualmente bene la matematica e le scienze.
Giganteggia, invece, la figura di B. de Finetti che ovviamente è per l’abbinamento: lui è sempre e solo per la “fusione”.
Vorrebbe non solo non separare la persona (un esempio che fa anche, contrariamente a quel che tutti propongono, per il caso dell’insegnante di matematica e fisica) ma neppure le ore d’insegnamento  (e così sarà in seguito). Espone e motiva la sua posizione in modo esauriente, ponendo a fondamento del suo ragionamento l’assioma: «Nessuna disciplina, avulsa dal contesto generale, giustifica la propria esistenza e la fatica imposta a chi deve apprenderla» e arriva finanche ad abbozzare un possibile futuro libro di testo organizzato a mo’ di dizionario enciclopedico.
La sua è un’idea nuova confacente a quel clima culturale, pedagogico e didattico che favorisce l’abbinamento.
È  quel clima che si alimenta dell’opera di Emma Castelnuovo e di altre voci nuove. Ancor prima che l’abbinamento fosse sancito dal D.P.R. del mese di novembre, nella sua “Didattica della Matematica”, la cui prima edizione è del marzo 1963, con riferimento ai “continui ravvicinamenti” dei due corsi, la Castelnuovo scrive:
« Siamo certamente tutti d’accordo nel riconoscere che l’edu­cazione scientifica deve avere per scopo di far passare da una visione fantasiosa, magica, sovrannaturale del mondo che ci cir­conda ad un’obiettiva consapevolezza e ad un sereno giudizio dei fenomeni naturali; deve essere, in breve, una continua asce­sa nell’arte del saper guardare. Ora, mi sembra di poter distin­guere in questa ascesa quattro grandi periodi ai quali dovreb­bero corrispondere quattro tappe nel corso triennale:
I) L’osservazione dei passatempi preferiti dal bambino sui 10-11 anni ci offre l’opportunità di una scoperta pedago­gica; è a quell’età che si acuisce nel bimbo la passione clas­sificatoria: raccolta di figurine, di francobolli, di farfalle, ecc. Il collezionismo è — per usare una felice espressione della Montessori — il “momento sensibile” del periodo intorno ai 10 anni. È dunque proprio a questa età, nel primo anno della scuola media, che dobbiamo interessare i ragazzi alla classificazione degli animali e delle piante.[….] La costruzione di una classificazio­ne ha per scopo di organizzare le idee, di dare un ordine alle forme, al Ci accorgiamo di essere in piena costruzione matematica: è lo stesso processo mentale infatti che ci conduce, ad esem­pio in geometria, alla classificazione delle famiglie dei poligo­ni[….] Il “saper guardare” porta dunque il ragazzo, spontanea­mente, senza ausilio del numero, ma sorretto da un abito ma­tematico, ad una costruzione astratta basata su osservazioni qualitative: il bambino, analizzando il concreto, coglie analogie e diversità, raggruppa cose simili, forma delle classi, costruisce, sintetizza. Si può, per nostra comodità e guida di pensiero, associare questo periodo al nome di Aristotele.
II) Ma una più precisa osservazione esige la Se vogliamo approfondire la nostra indagine sulla natura dovre­mo cominciare a valerci non solo dell’abito matematico ma anche della matematica come strumento: dovremo osservare la natura misurando quello che i sensi e il pensiero ci sug­geriscono. Se avevamo associato il primo periodo al nome di Aristotele, potremo associare questo secondo periodo al nome di Leonardo da Vinci: «L’esperienza sui fenomeni naturali — dice Leonardo — va fatta misurando». Si troveranno rapporti, proporzioni, armonie nella natura, quelle stesse armonie che i Greci avevano trovato nell’arte. Così lo studio della botanica porterà alla scoperta della fillotassi, la zoologia e l’anatomia del corpo umano ci offriranno infiniti spunti e continuo terreno di ricerca. Al giudizio vago e personale si sostituiscono dei dati numerici, universali. Si va dunque avanti nell’arte di saper guardare; prima erano le somiglianze, le diversità, le forme, era il qualitativo, che ci faceva distinguere, discernere, scoprire gli invarianti; ora, in questo secondo periodo, il saper guardare vuol dire affinare i sensi con l’ausilio del numero: è il quantitativo che ci fa scoprire uguaglianze di rapporti, semplici leggi di proporzioni.
III) Ma la sola misura in un certo numero di casi non è spesso sufficiente per scoprire la legge. Dobbiamo arrivare al terzo stadio, al sistema ipotetico-deduttivo di Galilei per poter dare al ragazzo la consapevolezza della potenza dello strumento matematico allo scopo di riuscire a leggere nel «gran libro della natura».
Galileo si rivolge, come Leonardo, all’esperienza, ma non si accontenta di ciò che essa dà spontaneamente. La natura viene provocata, interrogata, idealizzata; si fanno delle ipo­tesi sui fenomeni che si rivelano ai sensi, si deducono da que­ste ipotesi delle conseguenze, si verifica con esperimenti se queste conseguenze sono esatte.
Anche a dei ragazzetti possiamo parlare del problema del­la caduta dei gravi: possiamo loro riferire dell’ipotesi di Ga­lileo che la velocità sia proporzionale al tempo; è difficile verifi­care direttamente questa legge, ma, se vale questa legge se ne trae la conseguenza che gli spazi sono proporzionali ai qua­drati dei tempi; e questa seconda legge è facile verificarla spe­rimentalmente. È vera allora l’ipotesi da cui eravamo partiti. Non è solo la potenza del procedimento ipotetico-deduttivo che il ragazzo coglie in un’esperienza di fisica molto meglio che in un ragionamento geometrico, ma egli comprende «sul vivo» la dinamicità di una formula, e questo è — a mio av­viso — un risultato importantissimo. Le formule che noi presentiamo nel corso di matematica appaiono in generale come qualcosa di fisso, di statico; cogliere la dinamicità di una for­mula significa entrare in pieno nel concetto di funzione […].
IV) il quarto periodo infine è quello di Cartesio, è l’identificazione di algebra e geometria attraverso un saper guardare che porta l’attenzione non più sul particolare ente (sia esso numero o figura), ma sulle leggi formali che legano questi enti.
La cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali
Le proteste dei matematici però non rimasero inascoltate. La C.M. 10 luglio 1965, n. 292 consentirà ai Presidi di affidare a due docenti distinti, per ogni due corsi, l’insegnamento della Matematica e quello delle Osservazioni ed elementi di scienze naturali. In tal caso, ovviamente, il docente che avrebbe assunto quest’ultimo insegnamento doveva completare il suo orario di cattedra in una classe collaterale, effettuando così 16 o 17 ore settimanali, mentre l’altro docente, insegnando la sola matematica per 3 ore settimanali in ciascuna classe dei due corsi, avrebbe avuto un carico orario di 18 ore settimanali. La prospettata soluzione però non ebbe gran seguito; i docenti preferirono sempre di più l’impegno nelle sole tre classi di un corso mantenendo l’abbinamento dei due insegnamenti.  Si arriva così dodici anni più tardi con la L. 348 del 16.6.1977 a sancire un insegnamento unitario che assume la denominazione di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali al posto di Matematica e Osservazioni ed Elementi di Scienze Naturali. Un insegnamento di matematica e di scienze integrate, finalizzato anche all’educazione sanitaria, che la legge potenzia portando la cattedra da 16 a 18 ore, 6 ore per classe senza altra distinzione interna. Saranno i programmi del 1979[5] a raccomandare di prevedere  per ciascun anno una distribuzione equilibrata dei tempi da dedicare rispettivamente alla matematica e alle scienze sperimentali, e ciò  perché, dati i frequenti collegamenti e la costante interazione prevista nel lavoro di classe fra la matematica e le scienze sperimentali, non è possibile stabilire una rigida ripartizione dell’orario settimanale fra le due aree.
Quei programmi del 1979 rappresentano il punto di arrivo e la meta qualitativa più elevata delle riflessioni sul rinnovamento pedagogico e didattico che aveva infervorato l’ultimo ventennio. Alla loro redazione lavorarono molti dei personaggi che quel dibattito avevano alimentato. realizzando un documento che ancora oggi si presenta il  più completo e maturo e di armonica e coerente sintesi di pedagogia e scienza. Quei programmi, definiti anche tra i migliori d’Europa, rimasero, sia per l’organizzazione dei contenuti in grandi temi che per la modalità di scrittura e per i principi pedagogici, il riferimento per i programmi ministeriali che li seguirono, da quelli delle elementari del 1985 a quelli per il PNI e a quelli del progetto Brocca, cioè fino a quando ha avuto un senso parlare di programmi ministeriali.
La legge sull’autonomia scolastica (1997) infatti affiderà alle scuole il compito di costruire il programma di insegnamento, riservando al Ministero quello di definire gli obiettivi formativi cui i programmi delle scuole, tutte le scuole del territorio nazionale, devono tendere. Ai programmi ministeriali si sostituiscono così le Indicazioni Nazionali,  ovvero gli standard di conoscenze e competenze che ogni scuola avrebbe dovuto perseguire. Un cambiamento la cui influenza sul piano pedagogico e didattico si palesa  potenzialmente notevole.
Le prime Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, primaria e secondaria di primo grado (non si chiama più scuola media), sono del 2004  legge Moratti).  Esse non fanno più riferimento ad una cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma contemplano l’insegnamento di Matematica e l’insegnamento di Scienze e Tecnologia. L’unitarietà degli insegnamenti così faticosamente raggiunta fu così rinnegata,[6] smembrata anche nel piano orario che su base annua assegnava mediamente 127 ore alla Matematica e 118 ore complessive a Scienze e Tecnologia, ovvero 85 per Scienze e 33 per Tecnologia[7]. Una separazione però durata poco, poco gradita a docenti, presidi e famiglie e all’amministrazione per le difficoltà di gestione delle cattedre (per legge di 18 ore), e gli stessi matematici sono ritornati sulle loro posizioni e hanno lasciato correre. Le attuali Indicazioni Nazionali, in vigore dal 1° settembre 2013, ricostituiscono l’unitarietà perduta: c’è un solo insegnamento, e non si chiama Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma ha la denominazione di Matematica e Scienze con sei ore settimanali indivise. Il problema però rimane: è quello dei docenti cui si chiede di possedere padronanza di un campo vastissimo di conoscenze e abilità non sorretto da opportunità formative adeguate.
I principi pedagogici e i contenuti dei programmi della scuola media del 1963 e del 1979
Già la premessa ai programmi del 1963 scandisce in chiare e precise raccomandazioni ai docenti quello che è il frutto migliore del pensiero pedagogico:

La continuità pedagogica (non occorre cominciare da zero): sarà […] necessario raccordarsi con l’insegnamento elementare utilizzando subito le nozioni che l’alunno già possiede (per esempio quelle sulle aree di particolari poligoni, sul sistema metrico decimale, ecc.).
L’ordine della trattazione: la ripartizione del programma nei tre anni di corso e l’ordine degli argomenti per ciascuno di essi non hanno valore vincolante. Ad esempio, già nella prima classe, accennando alle successive estensioni del concetto di numero, potrà essere anticipata la nozione di un numero relativo.
L’insegnamento a spirale: l’insegnante che in relazione allo sviluppo psicologico dell’alunno non abbia ritenuto di trattenersi a lungo sui capitoli più complessi, accontentandosi di una prima, sia pure approssimata, visione d’insieme, riprenderà in seguito i medesimi argomenti per un’analisi più approfondita al fine di un migliore svolgimento del programma.
Pedagogia dell’interesse, metodo genetico: nel passaggio dallo studio dei numeri interi a quello dei razionali e dei relativi, il professore potrà far cogliere agli alunni il processo storico e quello formale che hanno condotto alle successive estensioni del numero. Potrebbe anche essere utile dare un cenno, sotto la stessa luce, dei numeri irrazionali che si presentano con l’estrazione di radice quadrata.
Unità della matematica, fusionismo di de Finetti: sarà cura costante l’armonizzare l’aritmetica con la geometria.
Fusionismo in geometria: argomenti di geometria dello spazio potranno essere introdotti parallelamente ad altri riguardanti il piano, se una qualche analogia facilita la comprensione  (quadrato e cubo…).
Visualizzazione, operatività: è consigliabile, ogni volta che se ne presenti l’occasione, il ricorso ai “grafici “, per la traduzione visiva che essi forniscono delle più varie circostanze, tenendo conto che l’insegnamento parallelo di osservazioni ed elementi di scienze naturali offrirà frequenti spunti per la rappresentazione grafica di relazioni.
La sistemazione e la riflessione su ciò che si sa, dal concreto all’astratto: nella terza classe si [….] porterà [….] l’alunno a ripensare e a riflettere sul programma svolto nelle tre classi al fine di far cogliere il senso e la necessità del passaggio da uno studio sperimentale e concreto a concezioni astratte e indagini razionali.
Pedagogia del controesempio: si terrà presente che una nozione può assumere un più chiaro significato se messa a raffronto con una nozione antitetica o parallela : così, per esempio, il sistema di numerazione decimale acquista tutto il suo valore ove lo si confronti con sistemi non posizionali o con sistemi a base diversa dal dieci ; e così, per mettere in risalto le proprietà formali delle operazioni, l’insegnante potrà portare esempi di leggi di composizione su insiemi numerici e non numerici, in cui tali proprietà vengano a mancare.
Metodo euristico, il valore dell’esercizio: l’esercizio non dovrà essere soltanto strumentale per il consolidamento della tecnica delle operazioni e dei procedimenti; esso deve essere inteso a fare gradualmente acquisire all’alunno il pieno possesso dei significati concettuali. Pertanto non ci si dovrà trattenere su complicati calcoli (espressioni aritmetiche laboriose; scomposizioni in fattori primi di numeri molto grandi; …).
Metodo attivo: alcune esercitazioni consisteranno in relazioni scritte e orali aventi il fine precipuo di fare esprimere all’alunno il proprio pensiero su elementari questioni matematiche derivanti da osservazioni spontanee e sopra le quali l’insegnante avrà chiamato la sua attenzione con suggerimenti, esperienze e ricorso a sussidi didattici (modelli, dispositivi, ecc.). Tali relazioni abitueranno l’alunno alla riflessione, alla correttezza e alla sobrietà di espressione.

 Con chiarezza, sobrietà e concisione si esprime quasi tutto: dai metodi dell’insegnamento attivo, alla pedagogia del controesempio, al metodo bruneriano (ma già di Comenio) dell’approfondimento ciclico o a spirale, dal fusionismo ad un primo accenno di riferimento alla matematica moderna (le leggi di composizione), dal valore della prospettiva storica e dell’esercizio, all’invito a parlare e scrivere di matematica.
Non c’è nulla che non vada e tutto è talmente chiaro e comprensibile che ogni riflessione, ogni possibile miglioramento non può che andare proprio nella direzione di mirare a rafforzare quei principi pedagogici e ad esplicitare meglio taluni contenuti adeguandone anche il linguaggio ai nuovi tempi. È su questo che si discute nell’arco di un quindicennio[8]:  si concorda che manca un riferimento esplicito alla matematica moderna e principalmente agli insiemi e alle strutture e ancora  alla statistica e alla probabilità, alla matematizzazione del reale, alle tecnologie, e si ammette che va precisato meglio il previsto “ricorso ai grafici”, dunque alla geometria cartesiana. Infine va data una risposta alle questioni sull’ordine della trattazione: genetico, psico-genetico, per problemi, ecc.
I programmi del 1979 realizzano tutto ciò prevedendo sette “grandi temi” che mostrano già nei titoli ciò che dei contenuti si vuole rimarcare e rafforzare:

La geometria prima rappresentazione del mondo fisico
Insiemi numerici
Matematica del certo e matematica del probabile
Problemi ed equazioni
Il metodo delle coordinate.
Trasformazioni geometriche
Corrispondenze ed analogie strutturali.

Sul piano pedagogico le concezioni e i metodi già presenti nella premessa del ’63 trovano un loro completamento:
–    nell’insegnamento dinamico della geometria: lo studio della geometria trarrà vantaggio da una presentazione non statica delle figure, che ne renda evidenti le proprietà nell’atto del loro modificarsi; […] La geometria dello spazio non sarà limitata a considerazioni su singole figure, ma dovrà altresì educare alla visione spaziale. È  in questa concezione dinamica che va inteso anche il tema delle trasformazioni geometriche.
–    nell’insegnamento per problemi: si terrà presente che risolvere un problema non significa soltanto applicare regole fisse a situazioni già schematizzate, ma vuol dire anche affrontare problemi allo stato grezzo[9] per cui si chiede all’allievo di farsi carico completo della traduzione in termini matematici.
Ad una didattica per problemi è direttamente connesso il riferimento esplicito alla  matematizzazione intesa come interpretazione matematica della realtà nei suoi vari aspetti (naturali, tecnologici, economici, linguistici…) e particolare rilievo viene ancora dato alla interdisciplinarità e alla operatività: si farà ricorso ad osservazioni, esperimenti, problemi tratti da situazioni concrete così da motivare l’attività matematica della classe e  si sottolineano i legami con la formazione della competenza linguistica, con l’educazione tecnica, con la geografia (metodo delle coordinate, geometria della sfera, …), con l’educazione artistica (prospettiva, simmetrie,…).
Per quanto riguarda gli argomenti, forte è il riferimento all’uso dei materiali[10], e raccomandate sono altresì le costruzioni con riga e compasso e l’uso ragionato degli strumenti di calcolo.
Dopo le accuse di insiemistificazione, il riferimento agli insiemi è posto in una formulazione saggia: il linguaggio degli insiemi potrà essere usato come strumento di chiarificazione, di visione unitaria e di valido aiuto per la formazione di concetti. Si eviterà comunque una trattazione teorica a sé stante, che sarebbe, a questo livello, inopportuna.
Una limitazione è poi inferta ad uno strumento antichissimo:
le proporzioni,  che hanno sempre occupato un posto importante nell’insegnamento già dalle elementari con un legame privilegiato con la realtà e la risoluzione di problemi concreti. Ad esempio, nell’istituto magistrale (l’indirizzo di studio che ha preparato eserciti di maestri)[11] erano particolarmente importanti per le finalità educative e perché consentono di risolvere un’ampia classe di problemi di applicazione dell’algebra alla geometria in modo elementare,   riconducendoli in genere ad equazioni di primo grado (noti il rapporto tra due grandezze e la loro somma o differenza o prodotto, o somma dei quadrati, ecc. ). Ad evitare esagerazioni, nei programmi del 1979 è scritto: l’argomento […] non deve essere appesantito imponendo, come nuove, regole che sono implicite nella proprietà delle operazioni aritmetiche, ma deve essere finalizzato alla scoperta delle leggi di proporzionalità (y = kx; xy = k).
Per quanto riguarda gli argomenti “nuovi”, il successo pieno spetta però alla geometria cartesiana:
il  metodo delle coordinate con il rappresentare graficamente fenomeni e legami fra variabili, aiuterà a passare da un livello intuitivo ad uno più razionale. Alcune trasformazioni geometriche potranno essere considerate anche per questa via. E quella delle coordinate è una via che è divenuta quasi maestra nella pratica didattica a tutti i livelli di scolarità. Tant’è che nella prova scritta di matematica agli esami di licenza media  la geometria analitica è apparsa sempre presente in almeno uno dei 3 o 4 quesiti in cui è articolata la prova[12].  Né la situazione sembra essere mutata in questi anni di disorientamento normativo: dalle prime Indicazioni Nazionali Moratti a quelle Fioroni e alla loro armonizzazione in vigore dal primo settembre del 2013.
Bruno de Finetti (1906-1985)
L’ordine e la struttura per temi
Una rilevanza decisamente maggiore assume poi l’attività di sistemazione e di riflessione su ciò che si è appreso, che trova una suo riferimento specifico soprattutto nel tema 7 ed è rimasta una costante nella didattica della matematica, tenuta particolarmente presente nella redazione dei successivi programmi. Dal punto di vista pedagogico è l’affermazione del convincimento che l’organizzazione dei contenuti matematici debba seguire la formazione dei concetti (Polya: concept formation) ed è la via da seguire per l’introduzione di un’assiomatica. Per la geometria, ad esempio, l’obiettivo da perseguire nella scuola superiore sarà di costruirne l’organizzazione invece di darla come cosa già bella e fatta, in una sua confezione tipo. La sistemazione logica dei contenuti è rinviata agli anni conclusivi del ciclo di studi secondari e ciò trova concretizzazione nei programmi per il PNI e nei piani di studi Brocca, come già detto precedentemente[13]. Si parte invece nei bienni con un lavoro propedeutico di organizzazione logica di piccole “parti”, un insieme ben definito di teoremi legati in una catena deduttiva che fa trasparire l’inferenza logica e prepara il campo alla comprensione del significato di un sistema deduttivo.
Sono  però l’ordine della trattazione e la modalità della struttura per temi le caratteristiche che risaltano di più.
Mentre i programmi del 1963 sono ripartiti per anno e sembrano quasi contraddire quello che è detto nella bella premessa, quelli del 1979 rompono con gli itinerari standard e canonici, chiariscono che non c’è una sistemazione comoda della matematica, riferimento di una via didattica altrettanto comoda, e rimettono alla professionalità dei docenti la scelta del percorso più efficace: “Nel programma i contenuti sono raggruppati in temi  e non elencati in ordine sequenziale, al fine di facilitare la individuazione di quelle idee che appaiono essenziali allo sviluppo del pensiero matematico degli allievi.”  Il docente non deve ripercorrere nell’insegnamento quella che è stata la sua linea di apprendimento né avere a riferimento un ben definito ed esclusivo sviluppo del pensiero matematico, ma deve essere attento a farlo lievitare nei giovani, pronto e sensibile a  manovrare concetti e procedure da saldare insieme trovandone sempre nuovi accostamenti. “I temi – è scritto – non devono essere quindi intesi come capitoli in successione, ma argomenti tratti da temi diversi potranno, in sede di programmazione, alternarsi ed integrarsi nell’itinerario didattico che l’insegnante riterrà più opportuno”.
La struttura per temi, come già più volte detto, è una modalità che ha avuto successo.
Presa a modello e utilizzata nei successivi documenti, ha tuttavia mostrato col tempo alcuni suoi limiti: per esempio,  induce ad accrescere oltre il sostenibile l’ampiezza dei programmi a scapito della coerenza interna degli argomenti. Si parla dei programmi come di raccolte antologiche, di serbatoi enciclopedici. Si cerca di porvi riparo con la tendenza a voler essere più precisi, a dettagliare e ripartire gli argomenti, a corredarli di osservazioni, orientamenti, raccomandazioni e finanche di esempi di esercizi. È un segnale dell’impoverimento della riflessione nel settore della didattica matematica, che si registra tuttavia proprio quando i tempi sono maturi per l’affermazione di un’altra significativa novità, un’altra pietra miliare, e cioè il passaggio dai Programmi Ministeriali  alle Indicazioni Nazionali della legge sull’autonomia scolastica (L. 59/1997 e D.P.R. n.275/99).
Esso stabilisce la dimensione individuale e personale del programma,  che viene affidato alla singola istituzione scolastica e al singolo docente, mentre riserva all’Amministrazione della Scuola il compito di dettare, per l’intero territorio nazionale le mete, i traguardi di conoscenze ed abilità che lo studente deve possedere e la scuola deve aiutare a raggiungere e ad acquisire. A tali finalità avrebbero dovuto, per norma, corrispondere le Indicazioni Nazionali.
NOTE
[1]   La facoltatività degli insegnamenti (reintrodotta dalla L.53/2003) fu eliminata nel 1977 con la legge n.348.
[2] È  la prima esperienza di sperimentazione cui diede un impulso particolare il Ministro Giacinto Bosco. Nell’anno scolastico 1962/63 funzionavano 300 terze classi e 3 mila seconde classi sperimentali; il loro numero rappresentò un argomento decisivo con cui l’allora ministro Luigi Gui sollecitò il Parlamento all’approvazione della legge istitutiva.
[3] C. Motzo Dentice di Accadia, L’obbligo scolastico e la nuova scuola media, LSE, Napoli, 1965.
[4] «E quali non furono le sue preoccupazioni per la riforma della Scuola Media Inferiore! E quale fu il suo dolore per la battaglia.. … che lo vide perdente, contro l’abbinamento folle dell’insegnamento della Matematica alla Chimica, alla Fisica, alle Scienze Naturali nella Scuola Media unica?» da P. Dupont, Tullio Viola: Un esempio da imitare, Periodico di Matematiche 3/1986.
[5] Furono emanati con il D.M. 9 Febbraio 1979 del Ministro Pedini e pubblicati nel  S.O. alla Gazzetta Ufficiale n.50 del 20 Febbraio 1979. Della commissione fecero parte i matematici:   Giuseppe Arcidiacono, Luigi Campedelli, Emma Castelnuovo, Liliana Chini Artusi, Cesarina Dolfi, Michele Laforgia, Lucio Lombardo Radice, Giovanni Prodi, Francesco Speranza, Vinicio Villani.
[6] la battaglia per la separazione della cattedra, invece di affievolirsi è stata perseguita, in particolare dall’UMI, all’interno delle commissioni di studio costituite per l’elaborazione delle Indicazioni.
[7] Dall’anno  scolastico 2006/07 portate a 66 ore.
[8] Le critiche non sono mancate. Significativa quella di Don Milani:  “La seconda materia sbagliata è matematica. Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto la terza media ne ha tre anni di troppo [….] In quanto alla matematica superiore come parte della cultura generale si può provvedere in altro modo. Due o tre conferenze d’uno specialista che sappia dire a parole in che consiste […] Non è vero che occorra la laurea per insegnare matematica alle medie. È una bugia inventata dalla casta che ha i figlioli laureati. Ha messo la zampa su 20.478 posti di lavoro un po’ speciali. È la cattedra dove si lavora meno (16 ore settimanali) – È quella in cui non occorre aggiornarsi. Basta ripetere per anni le stesse cretinate che sa ogni bravo ragazzino di terza media. La correzione dei compiti si fa in un quarto d’ora. Quelli che non son giusti sono sbagliati” (da Lettera a una Professoressa, 1968)
[9] È un’espressione molto significativa, quasi trascurata però, per dire di problemi mancanti di qualche dato o da “raffinare” nelle richieste, che consentono anche una personalizzazione della formulazione.
[10] Le esperienze didattiche che E. Castelnuovo realizza già dagli anni ’50  sono diffusissime ed oggetto di “mostre” molto apprezzate. Diffusi sono anche, specie a livello primario, il materiale strutturato di Dienes, i regoli di Cuisinaire-Gattegno, quelli di Stern, i geopiani di Gattegno, le esperienze di Libois e di Papy (il minicomputer) e il materiale “povero” della pedagogia della Montessori.
[11] L’ultima maturità per i “maestri”  c’è stata nel 1999 e con essa c’è stato l’ultimo problema per i maestri: una specialità tutta italiana di algebra applicata alla geometria e di legame con la realtà (cose che oggi si sbandierano senza conoscerne la storia).
[12] D.M. 26.8.1981: “La prova scritta di matematica deve tendere a verificare le capacità e abilità essenziali indicate dai programmi ministeriali, con riferimento ad un certo numero di argomenti scelti tra quelli maggiormente approfonditi nel triennio. A tal fine si darà una prova che dovrà riferirsi a più aree tematiche (fra quelle previste dai programmi) e a diversi tipi di conoscenze; la prova sarà articolata su tre o quattro quesiti, che non comportino soluzioni dipen­denti l’una dall’altra. In tal modo si eviterà che la loro progressione blocchi l’esecuzione della prova stessa. Ad evitare una suddivisione troppo schematica dei contenuti, argomenti tratti da temi diversi potranno opportunamente coesi­stere nei singoli quesiti.
I quesiti potranno toccare sia aspetti numerici sia aspetti geometrici sen­za peraltro trascurare nozioni elementari nel campo della statistica e della probabilità. Uno dei quesiti riguarderà gli aspetti matematici di una situazione avente attinenza con attività svolte dagli allievi nel corso del triennio nel campo delle scienze sperimentali, dell’educazione tecnica o eventualmente di altri ambiti di esperienza.
Ogni commissione deciderà se e quali strumenti di calcolo potranno essere consentiti dandone preventiva comunicazione ai candidati. Durata della prova: tre ore.
[13] Didattica delle Scienze, n. 248, diretta da Mauro Laeng
L’articolo è in gran parte tratto da: Emilio Ambrisi, I 120 anni della Mathesis, Aracne 2015

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