Covid, alunni da vaccinare perché contagiosi come i prof: lo dicono i pediatri

La società italiana di pediatria è intervenuta in merito alla questione delle vaccinazioni da Covid-19 per l’età pediatrica.
In un post sui canali ufficiali, la società ha dichiarato: “In accordo con la American Academy of Paediatrics, la Società Italiana di Pediatria avverte l’esigenza di beneficiare di uno specifico intervento di prevenzione vaccinale Covid19 per l’età pediatrica. In questo modo, sarà possibile permettere di prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenute da varianti emergenti con maggiore trasmissibilità”.
“Abbiamo bisogno di un vaccino sicuro, efficace, – continua la Sip – abbiamo bisogno di uno scudo con cui difendere …

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Si potrebbe creare un vaccino contagioso?

Immaginate un vaccino che si propaghi da una persona all’altra, o da un esemplare a un altro nel caso di animali, proprio come il virus che vuole combattere: è una possibilità di cui si parla da tempo, ma l’idea è stata rivitalizzata dalla pandemia di covid. In teoria, “seminare” un vaccino contagioso per esempio nelle popolazioni di animali selvatici sospettate di essere serbatoi di virus pericolosi per l’uomo, potrebbe addirittura creare un’immunità di gregge già in quelle specie, e impedire eventuali spillover virali sul nascere. È però un’idea controversa e non priva di rischi: vediamo perché.

Troppo tardi. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, il 60% di tutte le malattie infettive e il 75% di quelle emergenti è di origine zoonotica: significa che ha origine negli animali e, in più, non è possibile prevedere il momento in cui sarà trasmessa all’uomo. Quando però succede gli interventi messi in campo sono tutti di tipo reattivo. Si mette cioè una costosa pezza su una situazione di emergenza, ma spesso la diffusione virale è ormai fuori controllo, come abbiamo visto per l’attuale pandemia di covid.

Cosa bolle in pentola. I progressi nell’editing genetico e una migliore comprensione di come si diffondono i virus hanno accelerato l’ipotesi, già avanzata negli anni ’80, di creare virus attenuati, geneticamente modificati, capaci di diffondersi tra gli animali e sollecitare un’immunità all’infezione anziché la malattia vera e propria. Prevenendo i contagi direttamente negli animali si ridurrebbe la probabilità che i loro virus giungano all’uomo.
Attualmente sono allo studio vaccini contagiosi contro Ebola, la tubercolosi bovina e la febbre di Lassa, una malattia emorragica virale che ha origine nei ratti e che è responsabile ogni anno di circa 300.000 contagi umani in Africa occidentale. Ma vaccini di questo tipo potrebbero arrestare sul nascere altre malattie zoonotiche, come la peste (trasmessa dal morso delle pulci infettate dai ratti), la febbre nel Nilo occidentale (presente negli uccelli selvatici e diffusa dalle zanzare), la malattia di Lyme (trasmessa dalle zecche), la rabbia (in genere trasmessa dai pipistrelli).

Grande potenziale. Nel corso di uno studio, poi pubblicato su PNAS, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Idaho ha usato modelli matematici e dati su precedenti studi per indagare l’utilità di vaccini trasmissibili nell’eliminare i patogeni nelle popolazioni animali, prima che possano avvenire salti di specie. Vaccini che utilizzino come vettori virus della stessa famiglia dell’herpes, come quelli attualmente allo studio contro molti patogeni umani, potrebbero riuscire a controllare rapidamente la diffusione di malattie direttamente nelle riserve animali, si legge nell’articolo.

Come spiega un articolo a tema sul sito di National Geographic, i vaccini contagiosi attualmente allo studio per gli animali utilizzano come vettore il citomegalovirus (CMV), un virus appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, che una volta contratto rimane nell’organismo per tutta la vita, induce una forte risposta immunitaria e quasi mai una malattia grave. Inoltre, questi virus sono diversi da specie a specie, e usarli come vettori riduce il rischio di un eventuale passaggio del vaccino a una specie animale da non vaccinare.

Somministrati direttamente agli animali tramite iniezioni, i vaccini contro Ebola e tubercolosi bovina che usano questo tipo di vettore risultano altamente efficaci. Ma non è possibile effettuare una prevenzione su larga scala vaccinando gli animali uno a uno. Teoricamente, secondo lo studio su PNAS, un vaccino trasmissibile contro la febbre Lassa ridurrebbe i contagi nelle popolazioni di roditori del 95% entro un anno. Finora sono stati effettuati però soltanto esperimenti in laboratorio, che non testano l’efficacia di questi vaccini sul campo né la sicurezza di un loro eventuale rilascio.

I rischi. I virus sono organismi geneticamente instabili e soggetti a frequenti mutazioni. Un vaccino che si autodiffonda potrebbe evolvere la capacità di saltare ad altre specie, incluso l’uomo, con conseguenze persino più dannose della malattia che si voleva debellare.
Inoltre, liberare del tutto gli animali dai virus che li assillano significa eliminare uno strumento naturale di contenimento delle loro popolazioni: per esempio i roditori che diffondono il Lassa virus sono animali invasivi che distruggono i raccolti e contaminano le derrate alimentari. Senza il virus a tenerli a bada potrebbero aumentare notevolmente di numero. E siccome virus e batteri vivono in ecosistemi altamente competitivi, eliminare un attore da queste invisibili gare potrebbe favorire l’avanzata di altri patogeni più pericolosi.

Non per l’uomo. Un vaccino contagioso non rispetterebbe i confini, e servirebbero politiche e consensi comuni prima di poterlo liberare in natura. Fatto non secondario, non sarebbe mai applicabile all’uomo direttamente: se non siamo riusciti a raggiungere un consenso universale con quelli anti-covid, gratuiti, efficaci, salvavita e… volontari, a maggior ragione non sarebbe possibile ottenere un assenso globale e senza eccezioni a un vaccino che ci raggiunga volenti o nolenti.

Il caso della polio. Vaccini a base virale contagiosi, lasciati liberi di diffondersi senza il controllo umano, comporterebbero infine tutti i rischi insiti nell’evoluzione virale. Il principale è la perdita di efficacia, con un vaccino che evolva per diventare sempre meno simile al virus che vuole combattere e dunque sempre meno efficace. L’altro, assai più remoto, è quello della reintroduzione del virus che si vuole combattere in una popolazione, come è accaduto in rari casi con il vaccino orale contro la polio (OPV), a base di poliovirus attenuati.
Questo vaccino reca un virus indebolito che si replica nell’intestino dei bambini a cui è somministrato, provoca una protezione immunitaria dalla polio che dura tutta la vita, e poi viene espulso con le feci. In questo modo può diffondersi nell’ambiente portando, nelle aree sprovviste di servizi igienici adeguati, una protezione indiretta e “passiva” anche a individui che non l’hanno assunto direttamente.
Ma nei luoghi in cui l’OPV incontra una popolazione largamente non immunizzata, il virus non ostacolato da anticorpi può sopravvivere a lungo nell’ambiente e mutare, fino a tornare a una forma che può procurare l’infezione e causare la paralisi neurologica. Si tratta di casi rarissimi – l’OMS registra meno di 760 casi di polio derivata da vaccini dagli anni 2000, dopo la somministrazione di 10 miliardi di dosi a 3 miliardi di bambini nel mondo – ma che nel pensare a un vaccino contagioso vanno comunque considerati.

Come è andata in natura. Finora l’unico esperimento con un vaccino contagioso fuori dal laboratorio è stato compiuto nel 1999 nell’Isla del Aire, al largo della costa orientale della Spagna, per proteggere una popolazione di conigli da due infezioni altamente letali: la malattia emorragica virale e la mixomatosi. Dopo la cattura di 147 conigli, metà di essi sono stati vaccinati con la versione attenuata di un virus ibrido tra i due da combattere, e metà semplicemente rilasciati dopo che a tutti è stato inserito un microchip. Un mese più tardi il 56% degli animali non vaccinati aveva anticorpi contro entrambi i virus. La trasmissione dell’immunità era avvenuta, ma l’esperimento è rimasto un tentativo isolato.

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