Villette a schiera e superbonus: nuove scadenze e vincoli

Villette a schiera e riqualificazione energetica. La legge di Bilancio ha messo nero si bianco le nuove scadenze per il Superbonus e i vincoli da rispettare. Come regolarsi in vista di una scadenza così stretta? E cosa fare se il general contractor che aveva garantito tutti i lavori “a costo zero” sparisce da un giorno all’altro? Per chi ha a cuore l’ambiente e vuol ridurre i consumi di energia puntando sulle fonti rinnovabili le alternative ci sono, e a sapersi organizzare si può ottenere un buon risultato con una spesa comunque contenuta. Vediamo le alternative.

Il fisco verde Con pannelli

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Un passo avanti nella fusione nucleare

Come anticipato da diversi media durante lo scorso week end, il dipartimento dell’Energia del governo degli Stati Uniti ha annunciato uno strepitoso risultato realizzato dal National Ignition Facility (Nif) del Lawrence Livermore National Laboratory: durante un’esperimento gli scienziati sono riusciti per la prima volta a realizzare un processo di fusione nucleare producendo più energia di quella necessaria a innescare la reazione. Si tratta di una svolta fondamentale in un campo che affascina gli scienziati ormai da decenni e che potrebbe cambiare completamente il modo in cui produciamo energia elettrica.
L’esperimento del Nif è fondamentale perché nel mondo esistono diversi laboratori e start up che inseguono il sogno di realizzare la fusione nucleare, cioè di riprodurre il processo che fa brillare le stelle, ma in piccolo e in modo controllato. Ognuno ha la sua personale ricetta per raggiungere questo obiettivo che sulla carta è semplice: i fisici sanno già da tempo come realizzare una reazione di fusione nucleare che duri qualche secondo (è servita anche a fare le bombe H). Trasformare lo stesso principio in una risorsa pacifica vuol dire mantenere sotto controllo la fusione per lunghi periodi di tempo, in modo stabile. Per farlo, occorre produrre in grandi quantità un plasma ad altissime temperature – cioè un gas abbastanza caldo per innescare la fusione – e al tempo stesso mantenerlo confinato, in modo che non bruci tutto quello che lo circonda e non disperda calore. 
Finora inoltre i vari esperimenti non erano mai riusciti a produrre più energia (parliamo di pochissima energia e per pochissimi secondi) di quella immessa nel sistema per produrla. In altre parole, finora hanno sempre consumato più energia di quella prodotta. 
Il 5 dicembre 2022, però, nei laboratori del Nif 192 “cannoni laser ad alta potenza” hanno fatto esplodere un minuscolo cilindro grande quanto la punta di una matita che conteneva idrogeno congelato, innescando una reazione di fusione nucleare. In meno di 100 trilionesimi di secondo, 2,05 megajoule di energia – all’incirca l’equivalente di una libbra di TNT (quasi mezzo kg) – hanno bombardato la pallina di idrogeno producendo un flusso di particelle di neutroni – il prodotto della fusione – che aveva l’equivalente energetico di circa 1,5 libbre di TNT. Il tutto producendo un guadagno di energia di circa 1,5.
Il risultato è notevole, ma tutti gli esperti, compreso lo stesso direttore del Lawrence Livermore National Laboratory, precisano che ci vorranno ancora decenni prima di avere una prima centrale elettrica a fusione.

E non è detto che ci si riesca. Se vi sentite persi, facciamo un passo indietro e andiamo con ordine.

Che cos’è la fusione nucleare?

Da 4 miliardi e mezzo di anni, il Sole illumina e scalda la Terra traendo energia da un processo chiamato fusione nucleare. In questa definizione sono comprese varie reazioni che avvengono nel nucleo stellare, dove c’è una temperatura di 15 milioni di gradi e una pressione di circa 300 miliardi di atmosfere. In quell’ambiente, i nuclei di idrogeno si uniscono tra loro formando nuclei di elio. L’elio così generato ha una massa leggermente inferiore a quella dei due atomi d’idrogeno di partenza, e la massa mancante si converte in energia secondo la legge scoperta da Albert Einstein (E = mc2). È per questo che il Sole produce con tanta efficienza il calore che ci mantiene in vita: moltiplicando la massa per “c2” (la velocità della luce al quadrato), basta infatti una quantità di materia molto piccola per ottenere valori di energia grandissimi.
Da alcuni decenni l’uomo cerca di riprodurre le stesse reazioni in laboratorio. Se gli scienziati riuscissero nell’intento, potremmo avere energia pulita in grandi quantità, senza dover ricorrere a fonti climalteranti come carbone, petrolio e gas naturale.
Un ulteriore vantaggio sarebbe la scarsissima presenza di scorie radioattive (ci arriviamo) che avrebbero una vita molto breve al contrario di quelle delle centrali nucleari attuali, che restano radioattive anche per molte migliaia di anni.

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Come funziona la fusione nucleare in laboratorio

Scendendo più nel dettaglio, le reazioni di fusione più studiate in laboratorio sono un po’ diverse da quelle che avvengono davvero nelle stelle, perché le condizioni fisiche sono comunque differenti, e sono reazioni tra due atomi “parenti” dell’idrogeno, il deuterio e il trizio. Entrambi hanno proprietà chimiche simili a quelle dell’idrogeno, ma sono più pesanti, perché hanno un nucleo diverso (oltre all’unico protone dell’idrogeno hanno, rispettivamente, uno e due neutroni in più).
Il deuterio si ottiene dall’acqua, dove si trova in una frazione di 0,015% rispetto all’idrogeno: basta il deuterio contenuto in una bottiglia d’acqua per generare la stessa energia di 500 litri di gasolio. Il trizio, invece, è instabile e si estrae dal litio, un metallo relativamente abbondante nella crosta terrestre ma è anche leggermente radioattivo. Deve essere prodotto in continuazione, è più costoso del deuterio, ma visti gli interessi in gioco non è un grande problema.
Per effettuare la fusione, i due elementi vengono portati a circa 100 milioni di gradi (molto di più che nel Sole, perché nei laboratori la pressione è più bassa) così da ottenere un plasma, ovvero una specie di gas, dove le particelle subatomiche si muovono indipendentemente.

È in questa situazione che i nuclei possono scontrarsi e fondersi.

Reazione nella fusione nucleare controllata: un nucleo di deuterio e uno di trizio si fondono per creare un nucleo di elio e un neutrone. Liberando energia.
© Focus

Alla fine, una reazione tipica di fusione avviene così: un nucleo di deuterio reagisce con uno di trizio, producendo un nucleo di elio e un neutrone (v. figura sopra). «Entrambe queste particelle vengono prodotte con una certa energia cinetica, cioè di movimento», spiega a Focus Piero Martin, docente dell’Università di Padova e responsabile della fisica per Dtt (Divertor Tokamak Test facility), uno degli esperimenti italiani di fusione nucleare, in costruzione nel centro Enea di Frascati, nei pressi di Roma. «Il neutrone, in particolare, può essere fermato da uno strato di materiale all’esterno del reattore, che si scalda e permette di ricavare energia elettrica. L’elio, invece, rimane nel reattore, quindi cede la sua energia per riscaldare l’ambiente in cui avvengono le reazioni».
Come detto, le temperature necessarie sono elevatissime: 100 milioni di gradi e più, quasi 10 volte più alte che nel centro del Sole. In passato queste condizioni sono state raggiunte per 20 secondi presso il reattore Kstar in Corea del Sud. Come scrivevamo su Focus nel 2021, oltre alla temperatura, contano infatti anche altri parametri, come la densità e il confinamento. La densità richiesta, rispetto a quello cui siamo abituati, è molto bassa: 100mila volte inferiore a quella atmosferica. E questo rende la fusione un processo sicuro, perché con densità del genere non si producono esplosioni disastrose.

L’esperimento del National Ignition Facility

L’esperimento al Nif, come spiega Martin, ha permesso di amplificare l’energia: «Per la prima volta nella Storia degli esperimenti nucleari, la reazione ha dato più energia di quella che abbiamo speso per innescarla. Nello specifico il fattore di amplificazione in questo caso è stato di 1,5, cioè del 150%, ovvero se volessimo fare un parallelo con un investimento finanziario, avremmo ottenuto un guadagno del 50%».
Rispetto ad altri esperimenti, quello del Nif prevede l’impiego del laser. O meglio, come rivela Martin: «Un sistema faraonico di 192 laser ad alta energia che colpiscono un bersaglio delle dimensioni di un granello di pepe pieno di atomi di idrogeno». Semplificando un po’, tutto parte quando un impulso laser molto debole, circa 1 miliardesimo di joule, viene creato, moltiplicato e trasportato su fibra ottica lungo una serie di amplificatori e specchi.
Come in un’enorme flipper grande quanto tre campi di football americano, i fasci laser vengono fatto sbattere su speciali specchi deformabili, filtri spaziali e altri dispositivi finché l’energia dell’impulso non cresce di un fattore di 10 miliardi.

In 5 milionesimi di secondo i raggi compiono circa 1,5 km e la loro potenza passa da 1 miliardesimo di joule a 4 milioni di joule. 

Come funzionano i laser del Nif
Video in inglese, facilemente seguibile con i sottotitoli

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Amplificazione. In un certo senso il Nif è un grande amplificatore laser. Da un impulso iniziale a bassa energia, creato da una specie di enorme flash si ottengono 192 raggi laser altamente energetici e strettamente focalizzati che vengono fatti convergere al centro della camera di confinamento inerziale, una struttura sferica rivestita di alluminio del diametro di 10 metri al cui interno c’è il minuscolo bersaglio contenente idrogeno.
I bersagli del Nif sono controllati con precisione in un sistema di raffreddamento criogenico che mantiene il combustibile deuterio-trizio congelato all’interno di una capsula di dimensioni millimetriche chiamato hohlraum. Quando l’hohlraum viene riscaldato dai laser a temperature superiori a 3 milioni di gradi Celsius, i raggi X risultanti si riscaldano e soffiano via, o asportano, la superficie della capsula bersaglio, chiamata ablatore.
Ciò provoca un’implosione simile a un razzo che comprime e riscalda il deuterio-trizio a temperature e densità estreme fino a quando gli atomi di idrogeno si fondono, creando nuclei di elio (particelle alfa) e rilasciando neutroni ad alta energia e altre forme di energia.

L’hohlraum che accoglieva il minuscolo cilindro di idotopi dell’idrogeno utilizzato nella fusione nucleare del Nif.
© Nig

Se l’implosione è simmetrica e la compressione e la temperatura nel “punto caldo” al centro della capsula sono sufficienti, le particelle alfa risultanti si diffonderanno e riscalderanno il combustibile freddo circostante, innescando una reazione di fusione autosufficiente.
Questo processo può generare energia pari o superiore all’energia fornita al bersaglio, una condizione nota come accensione. Nel 2021 il NIF aveva annunciato di avere ottenuto una reazione efficiente al 70 per cento, producendo quindi l’equivalente del 70 per cento dell’energia che era stata immessa tramite i laser nel sistema. Un risultato interessante, ma ancora insufficiente. Il 5 dicembre, invece, il risultato è stato pienamente positivo: 2,05 megajoule (MJ) di energia hanno raggiunto il bersaglio, producendo 3,15 MJ di energia di fusione.

La camera di confinamento inerziale del National Ignition Facility, dove 192 raggi laser hanno fornito più di 2 milioni di joule di energia ultravioletta a un minuscolo pellet di combustibile per creare una reazione di fusione nucleare.
© Nif

Prospettive e limiti dell’annuncio

La sfida di questo nuovo nucleare, che per il momento produce solo calore, è funzionare in maniera efficiente, anche per un’azienda elettrica. Secondo Martin: «La prima difficoltà sarà applicare questi esperimenti a un reattore nucleare. Il secondo grande ostacolo che incontreremo sul nostro cammino sarà quello di estrarre l’energia e renderla disponibile, per farlo bisognerà riuscire a trasformare il calore prodotto da questi processi in energia elettrica». Inoltre bisogna tener presente che questo meccanismo al momento non è così facilmente replicabile.

«Si tratta», aggiunge Martin, «di un esperimento “faraonico”, non semplice da riprodurre in un reattore, infatti, solo per far fondere la capsula sono stati necessari 192 giganteschi laser, usati in genere per simulare le esplosioni delle armi atomiche. Un risultato scientifico di grandissima importanza, ma che non potrà avere un’applicazione immediata».

Nucleare pulito. Per vedere questa energia uscire da una presa elettrica probabilmente dovremo aspettare la seconda metà del secolo, il che non è strano perché il tempo di penetrazione sul mercato di qualsiasi fonte dal carbone, al gas al petrolio ha richiesto decenni. «Tuttavia», conclude Martin, «penso che in questo momento storico non sia così lontana dalla verità la risposta sui tempi del nucleare che diede negli anni Sessanta il fisico russo Lev Arcimovič : “La fusione sarà pronta quando la società ne avrà bisogno”. Finora abbiamo investito troppo poco sulla ricerca in campo energetico, se pensiamo che per ogni dollaro speso in armamenti, il mondo spende un centesimo nella ricerca sull’energia di ogni tipo, dal nucleare alle rinnovabili. Con l’inizio della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che un gasdotto può essere molto più utile di un carro armato, e se aggiungiamo la grande crisi ambientale legata al cambiamento climatico, sono fiducioso del fatto che ci sarà un’accelerata negli studi sul nucleare. I vantaggi della fusione, oltre ai governi, sono chiari anche i privati, che nel corso dell’anno scorso hanno investito la cifra strabiliante di 4,7 milioni di dollari su questa ricerca».

Un limite ulteriore.  Per diversi esperti, la tecnologia laser sperimentata al Nif è meno promettente di altre utilizzate per esempio in Italia e in Europa (i cosidetti Tokamak, vedi sotto). Uno dei motivi è che il bilancio energetico positivo che è stato raggiunto riguarda soltanto l’energia che colpisce l’obiettivo, non tutta l’energia necessaria ad alimentare i laser del Nif, che pur essendo i laser più potenti del mondo, sono anche tra i meno efficienti. In pratica, soltanto una parte dell’energia utilizzata nell’esperimento ha raggiunto il “pellet” di idrogeno utilizzato nella reazione (per far funzionare i 192 laser sono infatti necessari 300 megajoule). Il che non toglie nulla al risultato raggiunto negli Stati Uniti, ma aiuta a metterlo in prospettiva.

Di Paola Panigas e Gian Mattia Bazzoli, con alcuni virgolettati e spiegazioni tratti da articoli sulla fusione già pubblicati da Focus e Focus.it.

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