Pier Paolo Pasolini e Carlo Bo: un’amicizia inusuale

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Il giorno del centenario della sua nascita, Pier Paolo Pasolini, poeta eretico e martire, è ricordato nell’odissea di una società perduta, che l’ha trascinato nel fango per poi attendere la sua resurrezione. I suoi versi, le sue immagini, le sue parole risuonano come punto da cui partire per disinnescare l’illusione di un presente annegato inesorabilmente. Nel turbinio della sua tormentata vita, lo celebriamo assieme a Carlo Bo, critico e letterato di straordinaria fama, il quale ha saputo convertire i peccati del poeta in una colorata confessione d’amore.
«A Carlo Bo, il suo affezionato (affezio-|nato anche se non corrisposto)|Pier Paolo Pasolini|Firenze 29 luglio 1954», scriveva Pasolini a Carlo Bo. Questa frase, sigillata ne La meglio gioventù: poesie friulane (Sansoni, 1954), è l’emblema di un rapporto tra i due scrittori non troppo lineare, a giudicare dalla dedica a tratti canzonatoria.

Tanto diversi, quanto complementari

Da un lato Pasolini, poeta, romanziere, pedagogo, figura controversa e scomoda; dall’altra Carlo Bo, rettore dell’università di Urbino, cattolico. Tanto diversi, quanto complementari.

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Il processo a Ragazzi di vita

È il 21 aprile del 1955 quando la casa editrice Garzanti pubblica il romanzo Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini; esattamente tre mesi dopo, il libro è segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con l’accusa di contenere argomento osceno e pornografico. Aldo Garzanti e Pasolini sono convocati a prima udienza nel gennaio del 1956, il 18 aprile in seconda udienza e il 4 maggio in terza. In tale occasione è proprio Carlo Bo, assieme a Contini, De Robertis e Alfredo Schiaffini, a difendere il poeta friulano dalle numerose accuse. «Il libro ha un grande valore religioso perché spinge alla pietà verso i poveri e diseredati. Non ho trovato alcunché di osceno nel romanzo. I dialoghi sono dialoghi di ragazzi i quali non si esprimono bene; e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà», dichiara il rettore in sede di processo.

Il 4 luglio dello stesso anno, il Tribunale Civile e Penale di Milano pronuncia l’assoluzione dell’imputato. «Orbene […] i “ragazzi” sono contraddistinti, di massima, da quella stessa apatia morale, immobilità, indifferenza, incapacità di perdersi coscientemente e di coscientemente risorgere, di sublimarsi, di anelare, che li accomuna a tutti gli altri, ragazzi, o no, che fittamente popolano le manifestazioni artistico-letterarie dei nostri tempi», cita la sentenza.

Carlo Bo: tra angoscia e ricerca di verità

Carlo Bo è l’intellettuale cattolico che non biasima per nulla la modernità, anzi, disegna una critica stringente verso la difesa ancestrale di modelli passati, propria di un cattolicesimo europeo ancorato alla tradizione. Il suo cristianesimo si modella sulle lezioni di Pascal, Kierkegaard e Manzoni: una religione intrisa di dolore e angoscia, costretta a dipanarsi tra le sofferenze della realtà. Con la difesa di Pasolini e altri, fu in grado di consolidare il legame tra l’impegno civile e letterario (come suggerisce il titolo Letteratura come vita, saggio pubblicato da Bo nel 1938 sulla rivista «Il Frontespizio»), in quanto la letteratura è e sarà sempre costante ricerca di verità.

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