I luoghi del cuore di un italiano a Parigi

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Alla richiesta di recensire Un italiano a Parigi, storia di un amore di Alberto Mattioli, come da sana massima giornalistica, sono stato assalito da un cupo brivido: «scansare sempre i libri dei colleghi o saranno crucci»; tanto più poi se l’autore, con cui condivido da decenni le «prime di Sant’Ambrogio alla Scala», fin dal primo capitolo esordisce con: «Un altro libro su Parigi? Nemmeno fotografico? Dopo che ne hanno scritto tutti? Ma chi si crede di essere?». Che è poi quel che pensavo io stesso. Ebbene mi sbagliavo! E avanzando di pagina in pagina ho scoperto che, essere accompagnati a zonzo sulle rive della Senna da questo baudelaireano flâneur , è un gustoso girovagare. Facile spiegarne il perché.

La Canopée

Tanto per cominciare, da innamorato assai critico, Mattioli sistema a dovere la Canopée, la nuova soluzione architettonica che ha sostituito quella già pessima del Forum Les Halles: brutto era in verde il «ventre di Parigi», «non molto migliore» è questo mastodontico e infernale carapace di princisbecco: fulgente più del romano Altare della Patria, non meno disfunzionale e molesto alla vista.

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Un palinsesto

«La città è un palinsesto, dove ogni epoca ha scritto su quelle precedenti senza farne mai tabula rasa» scrive Mattioli. Ed ecco che si condensa in questa frase la magica alchimia parigina, che il cronista “puntuto” affronta con leggera spudorata precisione, conquistando con aneddoti – pur quelli assai noti – anche il più esigente fra gli innamorati di questa incantatrice Medusa metropolitana.

Il Marais

Documentatissima cartina alla mano («Palazzo Rohan-Guéménée in Place des Vosges, era la casa di Victor Hugo… Place de Furstenberg, la Maison Delacroix» etc…) Mattioli si sofferma per strade e boulevard ed inquadra targhe commemorative e monumenti, inchiodando nel passeggio anche il lettore col naso all’insù. Soprattutto, questo Virgilio dal viso barbuto e fintamente bonario, (conosciamo la sua penna acuminata in fatto d’Opera), procede di palazzo in palazzo per raccontarne gli antri più nascosti e gli abitanti più celebrati. «Tornasse al mondo il commissario (…Maigret) non lo riconoscerebbe il Marais. Risanato, ridipinto, gentrificato, è oggi il quartiere più modaiolo (…) pieno di boutique folli e di negozi eccentrici (…) Poi però imbocchi una stradina o un’impasse e li ritrovi, l’artigiano nella sua bottega buia o la passeggiatrice che ancora adesca sulla strada nonostante Internet, e allora capisci che questa città continua a cambiare e a stupirti, ma resta sempre la stessa». J’étais enchanté de tout scolpiva il giovane Simenon.

Musée Carnavalet, la mostra Marcel Proust, un roman parisien

E via così: «Altro luogo dove non si va mai è la Chapelle Expiatoire … Boulevard Haussmann all’altezza del numero 102…proprio dove Proust visse al primo piano… e si fece approntare la famosa stanza da letto rivestita di sughero». Stanza che oggi, approfitto dell’inciso, è conservata al Musée Carnavalet che al romanziere dedica un’imperdibile mostra, Marcel Proust, un roman parisien. Il luoghi parigini più emblematici de À la recherche du temps perdu sono i protagonisti di questa raffinata esposizione (aperta fino al 10 aprile) che ripercorre luoghi, ambientazioni e celebrità parigine rese immortali dal grande romanzo. Il Carnavalet era il museo preferito da Italo Calvino che spesso vi faceva visita e si trova nel cuore del Marais, il quartiere più bello, che Mattioli descrive come «un po’ finto» e unica pecca alla sua cartina immaginaria, inspiegabilmente trascura una tappa fra i brocantes del Village Saint Paul.

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