Catherine Spaak e il mito della giovinezza

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Il sorriso composto e sensualissimo, il suo adorabile italiano declinato negli accenti francesi, le gambe mozzafiato, il corpicino da “lolita”…e poi il fascino fresco e raggiante di una giovinezza prolungata da un debutto adolescenziale: inutile dire che il suo caschetto conquistò facilmente il maschio italiano con quella sua bellezza inquietante e conturbante di ragazza borghese, per poi col tempo trasformarsi dapprima in un elegante modello per le ragazze italiane – dettando la moda che accorciava risvolti di gonne e pantaloni – e quindi nella “voce confidenziale” del più elegante salotto televisivo al femminile.

Catherine Spaak è morta a 77 anni dopo una lunga malattia. Era nata il 3 aprile del 1945. Prototipo cinematografico delle inquietudini adolescenziali, sexy e ingenua al contempo, coniugava con candida malizia le intemperanze borghesi delle giovani donne ormai pronte a ribaltare stereotipi e falsi pudori.

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Belga

Borghese, d’altronde, lo era per estrazione prima che per interpretazione cinematografica. Nata in Francia era in realtà belga: suo padre Charles fu sceneggiatore per Renoir e Duvivier, sua madre era l’attrice Claudie Clèves, attrice anche la sorella, mentre suo zio Paul-Henri era stato primo ministro del Regno Belga.

A quattordici anni le riprese del suo esordio sul grande schermo ne «Il buco» di Jacques Becker, film che uscì nel 1960, e nello stesso anno, ancora quindicenne, Alberto Lattuada la volle in «Dolci inganni». Da lì e per molto sarà il prototipo dell’adolescente smaliziata e volitiva. I turbamenti delle acerbe ragazze di buona famiglia hanno così in lei un’interprete indomita: diventerà l’oggetto del desiderio degli uomini e un simbolo per le ragazze d’allora, che nello stereotipo disinibito delle adolescenti d’oltre confine trovavano una via di fuga alle costrizioni di un’Italia rurale che le ancorava a dogmi sorpassati e coercizioni frustranti. Le giovani avevano finalmente così il loro modello di riferimento, in cerca di un riscatto che il boom economico rendeva a portata di mano pur tra le costrizioni e convenzioni di una società ottusamente ancorata al passato.

Catherine Spaak, icona di bellezza ed eleganza

Catherine Spaak, icona di bellezza ed eleganza

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Il cinema

Dopo il già citato «Dolci inganni», in diversi lungometraggi di poco successivi vestirà i panni di altre ragazze audaci e sbarazzine: si pensi a «Diciottenni al sole» di Camillo Mastrocinque, a «La voglia matta» di Luciano Salce o al capolavoro «Il sorpasso» di Dino Risi, tutti del 1962. È un periodo in cui Catherine Spaak è già richiestissima e nel 1963 lavora in ben cinque pellicole, che contribuiscono ad accrescere il suo fascino e la sua icona erotica e irresistibile: «La calda vita» di Florestano Vancini, «Le monachine» di Luciano Salce, «Le donne» (episodio de «L’amore difficile») di Sergio Sollima, «La parmigiana» di Antonio Pietrangeli e l’indimenticabile «La noia» di Damiano Damiani, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, in cui recita accanto a Bette Davis. La sua fama cresce e viene chiamata da registi stranieri come Roger Vadim («Il piacere e l’amore») e Henri Verneuil («Week-end a Zuydcoote») e da grandi autori come Marco Ferreri con «Break-Up – L’uomo dei cinque palloni» e Luigi Comencini con «La bugiarda». Una menzione a parte la merita il cult «L’armata Brancaleone» di Mario Monicelli del 1966, in cui tiene testa a un incontenibile Vittorio Gassman.

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