Gli equilibrismi del sistema immunitario

Il meccanismo di reazione che ci protegge dai «nemici» (virus, batteri, tumori…) ha in realtà, come obiettivo principale, quello di mantenere una delicata armonia interna. Altrimenti il rischio è che resti attivo anche quando non serve, dando luogo al long Covid, per esempio, o a malattie autoimmuni. Per questo l’idea di «potenziarlo» (ammesso che sia possibile) è sbagliata. E due nuovi libri fanno chiarezza.

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Long covid: abbiamo capito che cosa non è

Dopo tre anni di pandemia, la ricerca su possibili cure contro il long covid, il nome attribuito all’insieme di disturbi che permangono per mesi dopo un’infezione da SARS-CoV-2, sembra aver conquistato almeno un punto fermo. C’è finalmente consenso scientifico sul fatto che il long covid non sia un’unica sindrome con una singola causa, ma piuttosto un gruppo di malattie raggruppate per semplicità sotto allo stesso termine-ombrello, e con diverse origini.

Più cause… Le stime sul numero di pazienti affetti da long covid variano, ma secondo una revisione di studi pubblicata a gennaio 2023 su Nature potrebbe aggirarsi attorno ai 65 milioni, poco meno della popolazione della Francia. Come spiegato in un articolo sulla versione internazionale di Wired, le possibili cause dello strascico da CoViD-19 sono molteplici.
In alcune persone potrebbe essere legato a una reazione autoimmune innescata dalla covid. In altre, da frammenti di SARS-CoV-2 che si aggirano ancora nell’organismo e mantengono “sulle spine” il sistema immunitario, ormai esausto dopo una così lunga attivazione. In altri casi i disturbi riportati potrebbero dipendere da danni agli organi colpiti dalla CoViD-19; o ancora, l’infezione da nuovo coronavirus potrebbe aver riattivato virus latenti che il corpo aveva già incontrato in passato e di cui si rimane portatori, come quello di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi.

… e più sintomi. Queste ipotesi non si escludono a vicenda e in alcune persone potrebbero manifestarsi anche insieme: proprio la varietà di condizioni scatenanti darebbe ragione della vasta gamma di sintomi del long covid. Affaticamento, nebbia mentale, dolori diffusi, tachicardia, difficoltà di concentrazione, depressione sono alcuni dei più comuni, ma ne sono stati catalogati circa 200.

Imparare sul campo. Essendoci più cause ci saranno anche più possibili trattamenti, e saranno gli studi clinici già cominciati sui pazienti a fare chiarezza su quale tipo di cura sia più indicata nelle varie circostanze. Essendoci una così grande urgenza di alleviare i sintomi di chi ne è affetto, la ricerca sulle origini del long covid e sui farmaci per affrontarlo stanno procedendo in parallelo. Complicate dal fatto che non esiste un accordo su cosa definisca il long covid, né un esame o un indicatore ufficiale (come un marcatore nel sangue) per fare diagnosi.

Su chi funziona? E perché? Akiko Iwasaki, immunologa dell’Università di Yale apprezzata a livello internazionale per i suoi studi sul long covid, ha in corso uno studio clinico su un centinaio di pazienti per appurare se l’antivirale Paxlovid della Pfizer usato per trattare i casi sintomatici di covid abbia effetto anche sul long covid, come riportato da alcune persone che ne soffrono.

L’ipotesi clinica su cui si basa la ricerca è quella della riserva virale: se il farmaco davvero funziona, potrebbe essere perché riesce ad eliminare ogni minima traccia residua del virus della covid dall’organismo.

Un lavoro da detective. Iwasaki sa già che il farmaco non darà beneficio a tutti, ma è proprio questo l’elemento che le interessa: capire per quali pazienti è indicato e perché. Il trial dovrebbe includere naturalmente pazienti con long covid derivante da cause diverse, dei quali saranno monitorate le caratteristiche immunitarie (per esempio cellule T iperattive o residui di proteina Spike del SARS-CoV-2) e che riceveranno il Paxlovid o un placebo in modo randomizzato (con assegnazione casuale). In questo modo si potrà vedere con precisione al termine della cura quali siano i biomarcatori più comuni nelle persone che si sono sentite meglio. E quindi risalire alla causa scatenante, almeno per alcuni.

Farmaci sintomatici. Altri studi clinici in corso prendono di mira diversi meccanismi, per esempio l’infiammazione diffusa lasciata nell’organismo dalla covid. Altri ancora provano ad alleviare i sintomi pur non risalendo necessariamente alla causa iniziale: il trial Stimulate-ICP di University College London che ha finora reclutato 500 persone userà un anticoagulante, il rivaroxaban, per trattare i microcoaguli nel sangue derivanti dalla covid che ostacolano l’arrivo dell’ossigeno ai tessuti e che secondo alcuni potrebbero contribuire al long covid. Se il farmaco funzionasse, tuttavia, non ci direbbe nulla su che cosa ha causato i microcoaguli.

Un guadagno per tutti. Dal successo di studi come questi non dipende soltanto il destino dei pazienti con long covid, ma anche quello delle persone interessate da altre complesse e ancora poco conosciute condizioni, come la sindrome da fatica cronica, che con il long covid potrebbero condividere alcune dinamiche e cause scatenanti.

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