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La stazione spaziale non è a rischio caduta

In queste ore sta circolando molto una dichiarazione di Dmitry Rogozin, responsabile dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, che avrebbe affermato come le sanzioni internazionali messe in campo dopo l’invasione dell’Ucraina potrebbero interrompere i lanci dei razzi e delle navicelle russe che riforniscono la Stazione Spaziale Internazionale e le operazioni che la mantengono in orbita.
Rogozin, che non è uno scienziato ma che si trova alla guida dell’agenzia spaziale russa per motivi politici e lo stretto legame con il presidente russo Vladimir Putin, non è nuovo a minacce di questo genere e ha già fatto dichiarazioni dello stesso tenore nei giorni scorsi, ma si tratta di pura propaganda. Vediamo perché.
Caduta progressiva. La Iss si trova a 400 km di altezza, dove l’atmosfera è molto tenue (ma c’è) e ha un effetto frenante. Per questo la Stazione cade lentamente verso Terra e quindi ogni tanto è necessario correggere l’orbita, rialzandola. Per fare tutto ciò si utilizzano i motori di manovra del modulo russo Zvezda oppure i motori delle navette russe Progress (quelle che portano materiale ed esperimenti alla Iss da parte russa) attraccate alla Stazione.
È quanto è successo venerdì 11 marzo quando il cargo russo Progress MS-18, attraccato alla Stazione, ha acceso i propri motori per sei minuti, su comando del Controllo Missione russo, come previsto. Come fa notare Paolo Attivissimo: “La realtà dei fatti è completamente opposta alle sparate di Rogozin”.
Se è corretto dire che normalmente il mantenimento della quota orbitale dipende dai russi, è altrettanto vero che questa operazione è stata compiuta anche dal veicolo spaziale della Nasa Cygnus, di costruzione statunitense e anche’esso normalmente utilizzato per rifornire la Stazione Spaziale.
In quanto tempo? La quota orbitale della Iss si abbassa molto lentamente (si parla di mesi o anni) e il rischio che precipiti improvvisamente perché l’agenzia russa smette di fare i cosiddetti reboost programmati è una bugia propagandistica. Inoltre Nasa ed Esa, grazie anche a SpaceX, stanno sviluppando nuove procedure che possano essere svolte da altre navette. Il tutto per rendere la Stazione Spaziale Internazionale indipendente dai russi per queste operazioni. 
Diverso è il caso, invece, di accensione dei motori per cambiare in tempi rapidi la quota della ISS per evitare la collisione con i detriti spaziali. In questi casi la cooperazione con Roscosmos è imprescindibile e si può fare solo con i motori russi.

La Stazione Spaziale Internazionale vista di lato con i diversi moduli e le agenzie che li hanno sviluppati e ne assicurano il funzionamento. Le sanzioni internazionali potrebbero rendere impossibile la collaborazione russo-europea, rendendo problematica la manutenzione e l’evoluzione del modulo Nauka, che dipende in gran parte dal braccio telecomandato europeo ERA. Guarda i moduli dall’interno.
© ESA–K. Oldenburg

La fine della ISS. La Stazione Spaziale Internazionale è in orbita dal 1998 e gli anni si fanno sentire. La sua esistenza è comunque segnata, a prescindere dalla guerra in Ucraina. Grazie ai dati in suo possesso, la Nasa è fiduciosa che l’avamposto spaziale possa rimanere in salute fino al 2030, sebbene l’ultima analisi completa abbia proiettato i dati fino al 2028.
Come avverrà la dismissione? Un gruppo di ingegneri della NASA e dell’agenzia spaziale russa Roscosmos ha già definito alcuni aspetti delle modalità di “rientro” (ispirandosi a quanto fu fatto con la stazione russa MIR), con l’obiettivo primario di non provocare danni. Stando all’idea degli ingegneri verranno lanciate alcune navicelle Progress russe che, agganciate e grazie a una serie di accensioni dei loro motori, abbasseranno progressivamente l’orbita della stazione.
La traiettoria della ISS sarà tale da far precipitare questo oggetto gigantesco in un’area disertata dalle navi nell’Oceano Pacifico, dove c’è il cosiddetto cimitero dei satelliti. Con circa 400 tonnellate, la Stazione Spaziale è di gran lunga l’oggetto di fabbricazione umana con la massa maggiore che abbia mai fatto il giro della Terra. E siccome più grande è un oggetto, più è probabile che l’atmosfera non lo bruci completamente, è facilmente comprensibile che la Nasa stia studiando nel dettaglio il piano di rientro. 

E se i russi spengono tutto? Più problematica sarebbe invece una sospensione totale della collaborazione con Roscosmos nel programma della Stazione Spaziale Internazionale perché il segmento russo è responsabile della guida, della navigazione e del controllo dell’intero complesso. 
Nell’aprile 2021 il vice primo ministro russo Yury Borisov aveva suggerito che la Russia si sarebbe ritirata dal programma della Stazione Spaziale Internazionale già nel 2025 per perseguire una stazione spaziale nazionale.
La guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni potrebbero accellerare questo processo annunciato, ma difficilmente renderlo imminente, sia perché sarebbe irrazionale sia perché sulla Stazione ci sono ancora cosmonauti russi, Anton Shkaplerov e Pyotr Dubrov, insieme a quattro astronauti statunitensi Mark Vande Hei, Kayla Barron, Raja Chari e Thomas Marshburn e l’europeo Matthias Maurer.

Fantascienza e fantapolitica. Alcuni hanno ipotizzato che la Russia potrebbe sganciare i suoi moduli. Non è tecnicamente fattibile perché i due settori, quello occidentale e quello russo, sono integrati e non potrebbero funzionare uno senza l’altro. Il comparto russo  fornisce propulsione e controllo d’assetto, come detto; quello occidentale, semplificando, fornisce l’energia attraverso i pannelli solari. Entrambi i settori producono ossigeno, ma quello russo è meno efficiente e da solo non sarebbe sufficiente.
Altri avanzano l’idea che i russi potrebbe chiudere i portelli fra i due segmenti, ma in caso di emergenza lascerebbero in pericolo gli astronauti statunitensi ed europei. In caso di emergenza, infatti, ci si rifugia nelle Soyuz e si è pronti ad abbandonare la Stazione. L’ipotesi è un po’ improbabile.
La cosa più verosimile che potrebbe accadere è che la Russia si ritiri dagli accordi di far volare cosmonauti (ovvero russi) sulle Dragon (statunitensi) e astronauti (occidentali) sulle Soyuz (russe).

Check in – Check out. Intanto i programmi previsti per i prossimi mesi sono stati confermati e solo in parte modificati: il 18 marzo è previsto il lancio di una navicella Soyuz che dovrebbe portare in orbita tre cosmonauti e far rientrare subito dopo Shkaplerov e Dubrov insieme allo statunitense Mark Vande Hei. Atterreranno in Kazakistan e forse questo potrebbe creare qualche problema a Vande Hei.
Il 28 marzo dovrebbero arrivare sulla Iss i 4 membri della missione privata Axiom Space-1 che rimarrano in orbita per 10 giorni.
Intorno al 15 aprile, invece, arriverà sulla Iss l’astronauta europea Samantha Cristoforetti insieme agli statunitensi Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watkins a bordo di una capsula Crew Dragon (la quarta). Daranno il cambio ai 4 membri della missione Crew Dragon 3 il cui rientro è pervisto il 21 aprile.
Rifornimenti. Anche le navicelle senza equipaggio che riforniscono la Iss di cibo, una parte dell’acqua e materiale per gli esperimenti scientifici continuano i loro programmi di approviggionamento. Nasa ed Esa si affidano infatti alle navicelle Cygnus (che abbiamo visto possono anche rialzare l’orbita della Stazione) e Cargo Dragon di SpaceX.
L’ultima Cygnus (la 17) ha portato sulla Stazione oltre 3.500 kg di materiale a febbraio. La prossima missione di rifornimento (SpaceX CRS-25) è prevista per maggio. In questo senso gli astronauti occidentali non devono temere ritorsioni dall’agenzia russa.

I primi stop. Tuttavia le prime avvisaglie che qualcosa sta cambiando nei rapporti di collaborazione spaziale si sono già viste. Roscosmos ha fatto sapere in un tweet che non collaborerà più con la Germania negli esperimenti scientifici fin qui condotti nel settore russo: “il programma spaziale russo sarà adeguato sullo sfondo delle sanzioni. Ora la priorità (nella ricerca spaziale) sarà la progettazione di satelliti nell’interesse della difesa della Nazione”.

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Dormire (e altre attività quotidiane) sulla ISS.

Ecco come sarà la fine della ISS

La fine della Stazione spaziale internazionale, che sta orbitando attorno alla Terra da più di vent’anni, è segnata. Prima di tutto, è stato deciso come finirà: bruciando nell’atmosfera terrestre. 
Fin da quando fu costruita, era chiaro che la Stazione spaziale internazionale sarebbe diventata obsoleta, prima o poi, e ora il momento si avvicina. Quando sarà il momento fatidico? La NASA e le altre agenzie che sono partner in questa avventura scientifica tengono quotidianamente sotto controllo le condizioni della stazione orbitante; grazie ai dati in suo possesso, la NASA è fiduciosa che l’avamposto spaziale possa rimanere in salute fino al 2030, sebbene l’ultima analisi completa abbia proiettato i dati fino al 2028.

Con l’aiuto russo. Come avverrà la dismissione? Un gruppo di ingegneri della NASA e dell’agenzia spaziale russa Roscosmos ha già definito alcuni aspetti delle modalità di “rientro” (ispirandosi a quanto fu fatto con la stazione russa MIR), con l’obiettivo primario di non provocare danni. Stando all’idea degli ingegneri verranno lanciate alcune navicelle Progress russe (quelle che portano materiale ed esperimenti alla ISS) che, agganciate e grazie a una serie di accensioni dei loro motori, abbasseranno progressivamente l’orbita della stazione. In un recente rapporto della NASA si legge che potrebbero essere necessari tre veicoli Progress, più l’eventuale aiuto del veicolo spaziale Cygnus, di Northrop Grumman.

La traiettoria della ISS sarà tale da far precipitare questo oggetto gigantesco in un’area disertata dalle navi nell’Oceano Pacifico, dove c’è il cosiddetto cimitero dei satelliti. Con circa 400 tonnellate, la stazione spaziale è di gran lunga l’oggetto di fabbricazione umana con la massa maggiore che abbia mai fatto il giro della Terra. E siccome più grande è un oggetto, più è probabile che l’atmosfera non lo bruci completamente, è facilmente comprensibile che la NASA stia studiando nel dettaglio il piano di rientro. 
Un brutto ricordo. In particolare, l’agenzia spaziale americana vuole evitare che si ripeta quanto accadde alla precedente stazione spaziale, lo Skylab. In quel caso, infatti, un ritardo nel lancio dello Space Shuttle e una concomitante espansione dell’atmosfera in seguito ad un’inaspettata attività solare, fecero precipitare in modo incontrollato quella stazione spaziale e alcuni pezzi finirono sparsi per l’Australia.

Il più grande aveva dimensioni tutto sommato notevoli: come quelle di una bombola del gas. «Il rischio che la stazione spaziale possa cadere da sola sulla Terra non è da escludere», spiega Jonathan McDowell, astronomo di Harvard, specializzato nel tracciare oggetti in orbita terrestre. 
Andrà in rotazione? E a causa dei pannelli solari è possibile che la Stazione spaziale inizi a girare su se stessa in modo del tutto incontrollato. Non sarà assolutamente semplice perché la stazione non può essere divisa in moduli.
La costruzione della Stazione spaziale ha richiesto 42 missioni e a oggi la struttura, si diceva, pesa circa 420.000 chilogrammi: o meglio, questo è il peso che avrebbe se si trovasse sulla Terra e non a 400 km di quota circa, dove la gravità terrestre si fa sentire di meno. Lunga quasi quanto un campo da calcio, la Stazione spaziale vanta un volume abitabile pari a quello di una casa con cinque o sei camere da letto. 
Ogni tanto, una spinta. Anche nel caso in cui la Stazione spaziale internazionale fosse ancora in ottime condizioni, non potrebbe rimanere in orbita “da sola” indefinitamente perché ha bisogno, di tanto in tanto, di una spintarella per evitare che gradualmente sia attratta verso la Terra: questo compito viene svolto dalle navicelle spaziali che attraccano sulla ISS per portare materiale agli astronauti, incluso il carburante necessario proprio per queste spinte. 
Se le consegne di materiale (e di carburante) dovessero interrompersi, la Stazione spaziale resterebbe in balia della gravità, e poi dell’atmosfera terrestre, col risultato che finirebbe per precipitare senza controllo. E poiché la stazione è una partnership tra Stati Uniti, Russia, Canada, Giappone e le nazioni partecipanti all’Agenzia spaziale europea, la decisione di deorbitarla (cioè di toglierla dalla sua orbita operativa) sarà il risultato di un lavoro politico e ingegneristico collettivo.
Al momento la NASA si è impegnata a mantenere la stazione in orbita fino al 2030, anche se le agenzie partner non hanno ancora firmato un accordo. 
E la prossima? Le nuove stazioni spaziali oggi in progetto, prima tra tutte la Axiom Space – che ha in programma di inviare alcuni moduli alla ISS entro il 2024-25 – sono state studiate in modo tale che i moduli stessi possano staccarsi dalla stazione madre e rientrare ciascuno indipendentemente (a differenza dell’ISS, dove la separazione dei moduli non è possibile). Spiega Christian Maender, direttore della produzione e ricerca nello Spazio per la società Axiom, con sede a Houston: «Ogni modulo sarà progettato con la propria guida, navigazione e controllo e proprie capacità di propulsione. Quindi potranno volare essenzialmente da soli e poi, quando necessario, potranno separarsi e tornare attraverso l’atmosfera terrestre autonomamente».

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