Antonio Pascale, “La foglia di fico” e una meravigliosa ricerca vegetale del senso della vita
Il poeta T. S. Eliot all’inizio del secolo scorso lavorava in banca, e più o meno di questi tempi cento anni fa raccontò in un poema immortale la desolazione della terra votata alla tecnica e alla guerra, e la raccontò nel mito e nella vita quotidiana di una metropoli come Londra, aprile è il più crudele dei mesi, mescola memoria e desiderio, genera lillà da terra morta eccetera; lo scrittore Antonio Pascale all’inizio di questo secolo lavora al ministero delle Politiche agricole e forestali, e racconta la vitalità della terra con l’unicità ironica della natura umana, sostenuta da quell’Atlante che è la tecnica, la domesticazione faustiana del grano, io ti faccio riprodurre e tu mi nutri, con conseguenze varie, e abita anche lui nella memoria e nel desiderio, nel mito di Demetra e Persefone, nella botanica delle passioni, tra le piante e le graminacee della nativa Caserta e del Matese, poeta vero e narratore e saggista senza illusioni. Il suo ultimo libro deve obbligatoriamente vincere tutti i premi del mondo, salvo quello al liquore, perché “La foglia di fico” è meraviglioso letteralmente, suscita meraviglia, incanto, istruisce, diverte, commuove e dà un tono discreto e razionale alla famosa ricerca, notoriamente impossibile, del senso della vita.
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