Addio ad Abraham Yehoshua, il romanzo di Israele

La democrazia ha ucciso il romanzo, diceva scrivendo da Gerusalemme. La forza e l’audacia di un narratore che non badava ai punti e alle virgole per preferire “lacrime e risate, le vitamine della buona scrittura”

La democrazia ha ucciso il romanzo“, usava dire Abraham Yehoshua, morto ieri a 85 anni. Ogni volta il pubblico sinceramente democratico dei festival letterari fremeva e sussultava. La democrazia, ma come? Non sono cose da dire, neanche da pensare. Chi si trovava nella condizione di avere letto una non modica quantità di romanzi contemporanei (non era ancora esplosa l’epidemia di autofiction) capiva perfettamente il senso della frase. E aveva notato che le capitali del romanzo si erano spostate. Non più Parigi e Londra, come nell’Ottocento, ma Dublino, Bombay, e appunto Gerusalemme. Dove la famiglia sefardita di “Buli” Yehoshua, emigrata da Salonicco, era arrivata con lo scrittore alla quinta generazione. Assieme a David Grossman e Amos Oz, Abraham Yehoshua appartiene alla prima generazione di romanzieri che scrivono di Israele (il premio Nobel Joseph Agnon e Aharon Appelfeld raccontavano piuttosto l’Europa e l’Olocausto). Dei tre, se guardiamo alla forma, è il romanziere più audace (anche se gli intervistatori preferiscono interrogarlo su questioni di convivenza e di politica). In “Un divorzio tardivo” – uscito nel 1982 dopo un soggiorno a Parigi e il servizio militare – si alternano diversi narratori che non badano ai punti né alle virgole. 

  
Tra questi un figlio di dieci anni che racconta a modo suo le indecisioni e la vergogna mal dissimulata del padre: ha una nuova famiglia negli Stati Uniti, è tornato in patria pochi giorni prima della Pasqua ebraica per ottenere il divorzio dalla prima moglie. Per la serie “democraticamente ognuno può giudicare”, sul sito Einaudi una lettrice sentenzia: “La mancanza di punteggiatura mi urta il sistema nervoso. Bocciato”. Un lettore più esigente e allenato che si chiama Harold Bloom (compilatore dell’antidemocratico “Canone occidentale”) ha paragonato Yehoshua a William Faulkner – allora c’era libertà, se ti andava di ispirarti a uno scrittore americano del sud, e lo mettevi in apertura di romanzo, non dovevi giustificarti con nessuno. Altro romanzo, altra acrobazia: “Il signor Mani” racconta sette generazioni di una famiglia, in cinque dialoghi. Sarebbe già un bel tour de force, mettere tutte le informazioni nei dialoghi. Ma Yehoshua decide di riportare, da ogni dialogo, una sola voce. Pochi cenni biografici sui personaggi e un flusso di parole pronunciate. Grazie alla bravura di Yehoshua che intreccia la naturalezza con la precisione non perdiamo mai il filo. E si va a ritroso, da un kibbutz nel 1982 ad Atene di cento anni prima.

L’altra frase di Yehoshua che metteva in agitazione le platee democratiche era l’amore per Edmondo De Amicis e il suo libro “Cuore” (“Edmondo dei languori”, lo ribattezzò il Carducci, convinto di stare un gradino sopra). Il padre gli leggeva “Il piccolo scrivano fiorentino”, uno dei “racconti mensili” lacrimevoli e patriottici inflitti alla scolaresca. Da grande Abraham detto Buli ha modificato la ricetta: “Lacrime e risate sono le vitamine della buona scrittura”. Undici romanzi e quattro raccolte di racconti, tradotti in una trentina di lingue. Un’eredità letteraria generosa, da riprendere in mano sono soprattutto i vecchi titoli. Quelli che abbiamo citato, e “Viaggio alla fine del millennio”. Il primo millennio: nel 999 un mercante di Tangeri salpa verso Parigi, che allora era una cittadina nella selvaggia Europa percorsa da paure millenaristiche. “Mille e non più mille: pensavano che sarebbe arrivata la fine del mondo. Scopo del viaggio, ritrovare il nipote e socio Abulafia. Avevano litigato per via delle mogli, i sefarditi se ne concedevano più d’una. Gli ashkenaziti erano decisamente contrari. La delicata questione verrà affrontata in due avvincenti processi.

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Addio a Yehoshua, narrò il mondo ebraico, sognava la pace in Medio Oriente

(di Paolo Martini)

Considerato uno dei più grandi narratori contemporanei, da tempo candidato al Premio Nobel della Letteratura, lo scrittore israeliano di fama internazionale Abraham Yehoshua è stato impegnato a raccontare le contraddizioni del Medio Oriente e la complessità del mondo ebraico. E lo ha fatto esplorando un terreno privilegiato, quello dei rapporti familiari, come testimonia il suo primo romanzo, “L’amante” (1977): nella ricostruzione a più voci del destino di una famiglia ebraica si accavallano e si confondono storie diverse di mondi lontani e separati; invano ciascun personaggio tenterà di ritrovare la verità di se stesso.Yehoshua, che è morto oggi all’ospedale Ichilov di Tel Aviv all’età di 85 anni, non è stato solo un grande romanziere con le sue opere tradotte in 28 lingue (in italiano tutti i suoi libri sono pubblicati da Einaudi). Per decenni è stato uno degli intellettuali israeliani più impegnati politicamente, strenuo paladino di una soluzione negoziata del conflitto fra Israele ed i palestinesi, insieme con altri due altri celebri scrittori israeliani, Amos Oz (scomparso nel 2018) e David Grossman. Fino all’ultimo ha sognato e sperato in una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese Nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936 da una famiglia d’origine sefardita, Abraham “Boolie” Yehoshua ha frequentato l’Università ebraica di Gerusalemme ed ha avuto poi una formazione europea, studiando a Parigi tra il 1963 e il 1967, periodo in cui è stato anche segretario generale della Federazione mondiale degli studenti ebrei. Dal 1969 risiedeva ad Ḥaifā, dove, dal 1972, ha insegna letteratura comparata nel locale ateneo. Nel corso della sua carriera accademica, è stato docente nelle università statunitensi di Harvard, Chicago e Princeton.Nella sua formazione di Abraham ha avuto un ruolo determinante il composito sostrato socioculturale della famiglia: il padre Yaakov, anch’egli scrittore e storico, figlio di un rabbino, apparteneva a una famiglia stabilitasi a Gerusalemme da quattro generazioni; la madre, figlia di un ricco mercante sefardita emigrato dal Marocco in Israele nel 1932, era di lingua francese e sensibile alla cultura degli ebrei occidentali. Aperto ai valori culturali ed etici di gruppi religiosi ed etnici diversi, Abraham Yehoshua ha progressivamente rivendicato la propria identità di israeliano laico, teso a realizzare nella sua opera letteraria una simbolica ‘fusione delle diaspore’. All’iniziale predilezione per il grottesco, lo scrittore ha progressivamente affiancato l’interesse verso l’indagine psicologica, condotta con sottigliezza e sorretta da una scrittura che unisce alla sapienza della costruzione un’inesauribile ricchezza tematica e metaforica. Ha conosciuto un crescente successo internazionale, come testimoniano i numerosi premi attribuiti ai suoi libri (tra gli altri, l’Israeli Booker Prize, il Grinzane Cavour, il Wingate Prize; l’Israel Prize, il Bialik Prize, il Jewish National Book Award), ed è considerato uno dei più autorevoli interpreti della complessa realtà di un mondo sospeso tra Oriente e Occidente.Dalla seconda metà degli Sessanta Abraham Yehoshua ha elaborato una poetica in cui i conflitti familiari riflettono una condizione umana lacerante, specchio dell’irresolubilità della storia nei racconti, usciti in raccolta completa in Italia (“Tutti i racconti”, 1996), o in romanzi come “Il signor Mani”, saga familiare scritta in seconda persona, in forma di dialoghi monodici e senza interlocutore. Caratteristica di Yehoshua è una costante sperimentazione stilistica, il cui registro varia di opera in opera: esemplare il romanzo “Un divorzio tardivo”, in cui il ritorno a casa dell’anziano protagonista per ottenere il divorzio dalla moglie rinchiusa in manicomio è narrato in prima persona ogni giorno dal punto di vista di un diverso familiare, ribaltando il racconto su pregiudizi e stili linguistici dei singoli personaggi. Nell’ultimo ventennio Yehoshua ha fondato la sua opera sull’inquietudine e la doppiezza del reale, dietro cui si celano misteri, fantasmi del passato e verità covate nel silenzio: nel matrimonio finito nel ripudio di “La sposa liberata” (2001; nel 2010 è stato tratto l’omonimo film per la regia di Eran Riklis), nei dilemmi sulla solitudine della morte di “Il responsabile delle risorse umane. Passione in tre atti” (2005) e nel percorso di confronto con il dolore di un padre il cui figlio è stato ucciso per errore di “Fuoco amico. Duetto” (2008). Un’opera densa e matura sul legame tra vita e creazione artistica è “La scena perduta” (2011), in cui un regista cinematografico si confronta con una scena mai girata che ha cambiato il corso della sua vita.La sua attività di narratore ha inizio con una serie di racconti di tono surrealista, apparsi in riviste letterarie tra il 1957 e il 1963, poi raccolti nel volume “La morte del vecchio” (1963). Nella raccolta successiva, “Davanti alle foreste” (1968), si manifesta l’istanza di un’adesione alla realtà che lo scoppio della guerra dei Sei giorni ha bruscamente imposto allo scrittore. La dimensione politica diviene esplicita nel racconto lungo “All’inizio dell’estate 1970” (1973), in cui sul tema della guerra s’innesta il conflitto generazionale tra padre e figlio, e ancor più in “L’amante” (1977), romanzo d’impianto realistico che ha segnato il primo successo di Yehoshua dove l’indagine socio-psicologica condotta su personaggi arabi ed ebrei vivacemente caratterizzati lascia trasparire la posizione dell’autore rispetto alla guerra del 1973.Agli anni Ottanta appartengono i romanzi della piena maturità artistica: “Un divorzio tardivo” (1982), in cui condensa la storia di una famiglia in una sola giornata, attraverso i monologhi interiori dei nove parenti riuniti per una visita del nonno; “Le cinque stagioni” (1987), larvata allegoria del conflitto tra lo Stato e l’individuo attraverso la maniacale interrogazione su se stesso del protagonista, Molcho), che tenta di elaborare il lutto per la morte della prima moglie, un’ashkenazita, senza riuscirvi a causa della sua “levantina naïveté” di “buon ebreo sefardita”. Uno dei suoi capolavori è ritenuto “Il signor Mani” (1990), sorta di saga familiare che partendo dai giorni nostri risale fino alle guerre napoleoniche: il virtuosismo stilistico di Yehoshua nell’elaborare il monologo interiore in forma di dialogo è reso quasi impercettibile dalla fluida musicalità della pagina e dal suo potere comunicativo.Con il romanzo “Ritorno dall’India” (1994) Yehoshua prende le distanze dalla politica per scrivere una storia d’amore immersa nella fisicità: protagonista è un medico giovane e ambizioso, vittima di una passione impossibile che si alimenta di fantasie morbose. Esente da ogni accensione sentimentale è invece “Viaggio alla fine del Millennio” (1997), romanzo di ambientazione medievale in cui lo scrittore adotta uno stile distaccato per tornare su uno dei temi che più lo appassionano: il dialogo tra Oriente e Occidente, rappresentato attraverso la storia dell’incontro-scontro tra un ricco mercante di Tangeri, ebreo sefardita e poligamo, e suo nipote, marito di una donna appartenente alla comunità ashkenazita, rigidamente monogama.Nel catalogo Einaudi si trovano tutti i suoi romanzi, scritti tra il 1977 e il 2021: “L’amante”, “Un divorzio tardivo”, “Cinque stagioni”, “Il signor Mani”, “Ritorno dall’India”, “Viaggio alla fine del millennio”, “La sposa liberata”, “Il responsabile delle risorse umane”, “Fuoco amico”, “La scena perduta”, “La comparsa”, “Il tunnel”, “La figlia unica”. Einaudi ha anche pubblicato “Il lettore allo specchio” (2003), “Tutti i racconti” (1999), i saggi “Il potere terribile di una piccola colpa”, “Etica e letteratura” (2000), la commedia “Possesso” (2001), gli articoli “Diario di una pace fredda” (1996), il saggio “Antisemitismo e sionismo” (2004), il libretto d’opera “Viaggio alla fine del millennio”, tratto dall’omonimo romanzo, e la raccolta di saggi “Il labirinto dell’identità. Scritti politici” (2009). Del 2005 sono la raccolta di racconti “L’ultimo comandante”, la pièce “Una notte di maggio” e i due racconti illustrati da Altan raccolti in “Un cagnolino per Efrat”, sempre da Einaudi. Con Casagrande nel 2000 ha pubblicato “Il cuore del mondo”; con Elliot nel 2007 “Sedici feriti-Vaduccia”, scritto con Eliam Kraiem; per la casa editrice E/O nel 2012 “Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare”. Tra gli editori italiani che hanno pubblicato suoi scritti anche Giuntina e Leonardo.Abraham Yehoshua è stato sposato con Ika, una psicoanalista, morta nel 2016. La coppia ha avuto tre figli Sivan, Gideon e Nahum, da cui sono nati sei nipoti.

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