La plebe di Napoli raccontata da Domenico Rea
Ermanno ha raccontato la nostalgia. Mimì invece scava tra i piaceri e le miserie. Aveva scelto Boccaccio come maestro. La sua prosa veniva dal profondo dei secoli ma era modernissima, asciutta, stava in piedi da sé senza spiegare nulla.
Se Domenico Rea ebbe una musa, quella era la plebe. Ma chiedersi quanto la sua trasposizione letteraria corrispondesse alla plebe reale del Dopoguerra, cioè quanto fosse realistica, a questa distanza è abbastanza insensato. Quei miserrimi così radicati nella corporeità, agiti dalla fame e dalla lussuria, mossi da innocenza e vergogna, stretti tra culto del denaro e quel senso dell’onore che si riscatta battendo o ammazzando una femmina, sono una creazione. Com’è una creazione il teatro tragico e comico, dove vivono molti dei personaggi: Nofi. Il mitologico agro campano dove Mimì aveva radici ben piantate e dove, sulla pagina, si parla una lingua scolpita e senza fronzoli, “icastica come il latino”, secondo la dichiarazione d’intenti resa dall’autore a meno di trent’anni.
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Continua la lettura su: https://www.ilfoglio.it/cultura/2022/08/13/news/la-plebe-di-napoli-raccontata-da-domenico-rea-4326054/ Autore del post: Il Foglio Quotidiano Fonte: https://www.ilfoglio.it/