L’ospedale su rotaie

I pazienti sono già in stazione, portati con le ambulanze. Le barelle vengono fatte salire sul treno grazie a rampe: all’interno dei vagoni, le paratie sono state eliminate e le porte interne allargate per permetterne il movimento. A seconda delle loro condizioni, i feriti e i malati sono portati in diverse carrozze: sono “reparti” differenti, che possono offrire tre diversi livelli di assistenza. Siamo sul treno ospedale realizzato da Medici Senza Frontiere in collaborazione con le ferrovie e il Ministero della Sanità ucraini. L’organizzazione umanitaria che porta cure mediche in contesti di crisi (fondata nel 1971 e insignita del Nobel per la pace) ha costruito il treno, riadattando otto vagoni forniti dalle ferrovie ucraine, per portare via feriti e malati dalle zone del fronte verso l’ovest dell’Ucraina, più lontano dai combattimenti.

Sfide tecniche. Su Focus in edicola trovate un articolo con un’infografica dedicato al treno. Abbiamo parlato della sua costruzione con Elvina Motard, ingegnere di Medici Senza Frontiere che ha contribuito all’ideazione e ha seguito la trasformazione del treno. “Abbiamo fatto uno studio di fattibilità per il progetto all’inizio di marzo. Poi c’è stata la progettazione: la sfida era trasformare dei vagoni degli anni ’80, forniti dalle ferrovie ucraine, in veri reparti dove i pazienti potessero ricevere le cure appropriate durante il viaggio. Il 31 marzo sono andata in Ucraina con il team tecnico di Medici Senza Frontiere, per seguire la costruzione insieme al personale delle ferrovie ucraine. E il treno ha fatto il suo primo viaggio il 24 aprile”, ci racconta Elvina Motard. “Abbiamo iniziato dalla carrozza dedicata alla produzione di energia, per alimentare vagoni e apparecchiature mediche: abbiamo deciso di installare un generatore, con un gruppo di continuità e batterie per fornire elettricità in caso di guasto temporaneo al generatore. Abbiamo dovuto “tagliare” la parete esterna del vagone, inserire tutto, richiudere.

Da questa carrozza partono le linee che portano elettricità a ognuna delle altre carrozze. I cavi non potevano restare in basso, perché i pazienti e il personale avevano bisogno di spazio e bisognava poter pulire il pavimento senza ostacoli. Così abbiamo fatto passare tutto in alto”. Altra sfida, la produzione di ossigeno. Come continua Elvina Motard, “Abbiamo creato una unità di terapia intensiva con ossigeno ad alto flusso, per trasportare pazienti anche in condizioni critiche: avere l’ossigeno in serbatoi avrebbe significato molto peso e un rischio di incidenti, così abbiamo optato per sette generatori di ossigeno. Tutto ciò che serve è aria da cui ricavare ossigeno ed energia. Dalla carrozza, l’ossigeno arriva poi con un tubo flessibile a ognuno dei letti nel vagone della terapia intensiva, con un flusso di 30 litri al minuto. Due di questi letti sono dotati di ventilatori meccanici, per pazienti che dovessero aver bisogno di essere intubati, e ad essi si collegano due generatori, fornendo così 60 litri al minuto”. Sono state svuotate e riallestite anche altre carrozze traspormate in reparti (v. infografica).

Attacco alla stazione. Pazienti in condizioni anche critiche possono così essere portati lontani dal fronte. Sul treno medicalizzato hanno viaggiato molti feriti di guerra, la maggioranza a seguito di esplosioni. Alcuni hanno perso gli arti. Come ci racconta Enrico Vallaperta, infermiere italiano che ha coordinato le attività sanitarie sul treno in alcuni viaggi, “il primo mese abbiamo trasportato soprattutto feriti, fratturati, amputati a causa delle guerra. L’obiettivo era liberare gli ospedali nelle zone del fronte, dove arrivavano sempre nuove persone. In una seconda fase, abbiamo potuto occuparci anche dell’evacuazione di anziani da case di riposo, di bambini da orfanotrofi, di malati oncologici che avevano bisogno di cure che gli ospedali nelle zone di guerra non potevano più garantire”.

Vallaperta ha viaggiato prima su un piccolo convoglio di due vagoni organizzato sempre da Medici Senza Frontiere, che ha cominciato a viaggiare il 31 marzo, poi sul grande treno medicalizzato entrato in funzione dal 24 aprile. “Si parte verso le stazioni vicino alle aree in cui si combatte, per raccogliere i pazienti. Siamo passati da Dnipro, Kharkhiv, Poltava, Odessa… Con il treno “piccolo”, per esempio, siamo passati dalla stazione di Kramatorsk, nell’est dell’Ucraina, venti ore prima che fosse bombardata (l’attacco missilistico è avvenuto l’8 aprile, mentre l’area della stazione era piena di persone in fuga, e ha causato 60 morti, ndr)”, continua Vallaperta. “Il treno viaggia senza interruzioni, mentre noi del personale organizziamo tutto, fino alla prima fermata stabilita: lì troviamo già le ambulanze con i pazienti. Poi facciamo almeno altre due soste. E si ritorna verso l’Ovest, in genere si arriva a Leopoli in tarda mattinata: si fanno scendere i pazienti, che le ambulanze portano negli ospedali. Qualche ora di stop tecnico, poi si riparte. In tutto, fino a 40 ore tra andata e ritorno. E il treno medicalizzato assicura ai pazienti, nel loro viaggio, le cure che avevano nell’ospedale da cui sono stati evacuati”.

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