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Santa Chiara, la monaca rivoluzionaria

Alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 è in concorso il film Chiara, di Susanna Nicchiarelli, che racconta la storia di santa Chiara e il suo rapporto con san Francesco, alla cui sceneggiatura ha collaborato la storica Chiara Frugoni, scomparsa nel 2022. Ma chi era nella realtà storica la giovane nobile che scappò di casa per seguire Francesco nel nome di Dio e della povertà cristiana? Ripercorriamo la vita di santa Chiara con l’articolo “La Pasionaria di Dio” di Marco Monaco, tratto dall’archivio di Focus Storia.

Chiara e Francesco. È una notte di marzo. L’aria è tiepida e la campagna fuori le mura è avvolta nel silenzio. Accompagnata da un’amica, una ragazza sta scappando dal palazzo di famiglia e scivola furtiva fra i vicoli diretta verso le mura. Riesce a eludere la sorveglianza e a superare la cinta muraria. Le guardie infatti sono meno ligie del solito: si è appena celebrata la Domenica delle palme, anche i nemici perugini staranno in pace quella notte.
La città è Assisi, l’anno il 1211 o il 1212. La ragazza in fuga è una giovane di sangue nobile: si chiama Chiara ed è figlia del conte Favarone di Offreduccio degli Scifi e di Ortolana. Sta lasciando gli agi della sua casa per raggiungere Santa Maria della Porziuncola, una chiesetta a 7 km da Assisi. La aspetta Francesco: il matto, il predicatore, il sovvertitore dell’ordine sociale che Chiara ha frequentato in segreto per alcuni mesi e che infine ha deciso di seguire. Ora sono insieme: Chiara si fa tagliare i capelli e indossa il saio come gesto simbolico dell’irrevocabilità della sua decisione di rinuncia al mondo.

Maiolica del Monastero di santa Chiara a Napoli.
© Svetlana Jafarova / Shutterstock

Un’epoca di nuovi valori. Chiara nacque probabilmente nel 1193, in un’epoca in cui Assisi attraversava una profonda instabilità politica a causa dello scontro tra impero e papato che coinvolgeva anche le neo-fondate istituzioni cittadine, i Comuni. Sullo sfondo c’era la cultura cortese cavalleresca, che dominava l’Europa. Il movimento, cominciato nella letteratura che cantava le gesta dei cavalieri e l’amor cortese, si era allineato con i valori cristiani: generosità, spirito d’abnegazione e sacrificio, fedeltà e rispetto del nemico.
Soprattutto, rispetto assoluto per la donna, che stava riacquistando una centralità perduta nei secoli precedenti. “Lo stesso Francesco nel segno dell’antica generosità cavalleresca della sua giovinezza, ora mutata di segno, sperava di potere riunire in un’unica fraternità uomini e donne annullando distinzioni sociali e culturali”, scriveva la storica Chiara Frugoni nel saggio Storia di Chiara e Francesco (Einaudi).
Il mondo secondo Chiara. La realtà, però, era ben lontana da quegli ideali. Altro che solidarietà e fratellanza: la società che conoscevano allora era divisa in classi in lotta per la supremazia, gli umili venivano schiacciati dai potenti e ci si ammazzava di continuo per conquistare terre e denaro. Difficile, per Chiara e Francesco, sopportarlo. Il loro obiettivo? Un mondo più giusto, maggiore equità sociale; volevano annullare le differenze ripartendo le risorse, in un’ottica di uguaglianza e parità anche tra i sessi.

Santa Chiara raffigurata nella vetrata della Cappella di Notre Dame des Flots (Le Havre).
© Credit jorisvo / Shutterstock

Una monaca controcorrente. Con la sua scelta Chiara deluse le aspettative dei parenti che avevano in serbo per lei nozze con un rampollo di famiglia altolocata. Per due volte cercarono di ricondurre la giovane con la forza tra le mura di casa, senza successo. Ortolana, la madre di Chiara, era molto devota: intraprese anche un pellegrinaggio a Roma e uno in Terrasanta, cosa pericolosa e rara per una donna a quell’epoca.
Perché allora tanta opposizione all’idea di una vita religiosa per la figlia? Nessun problema se avesse deciso di entrare in un convento di clausura. Allora, le donne di famiglia nobile potevano diventare “monache da coro” e in alcuni casi badesse, mentre quelle di umili origini sarebbero diventate “serviziali”: avrebbero cioè dovuto occuparsi di assistere le altre monache o di curare gli infermi. Chiara fece scandalo perché rifiutò la clausura e la divisione in classi. E soprattutto fu rivoluzionaria la sua scelta di condividere con Francesco la vita errante.

Una vita da outsider. Come Francesco, anche Chiara ebbe difficoltà a far accettare all’establishment ecclesiastico la sua visione del monachesimo. Persino il cardinale Ugolino da Ostia, “amico” di Chiara e Francesco, sostenitore degli ordini minori, nonché futuro papa che la aiutò nella diffusione dei monasteri, cercò di inquadrare le “povere dame” entro le rigide norme della disciplina benedettina.
La sua idea era che si mantenessero grazie alle rendite dei terreni ricevuti in dotazione. Chiara aveva in mente un’altra immagine di convento. Ma solo negli ultimi anni mise nero su bianco la sua Regola. All’inizio si limitò a consigli affettuosi alle consorelle. Non ricorreva mai alla penitenza intesa come mortificazione del corpo, non usava il principio d’autorità e voleva un monastero aperto al mondo, pronto ad accogliere chiunque avesse bisogno. Però era inflessibile su alcuni principi come la povertà, l’umiltà e la carità, che dovevano essere messe alla prova quotidianamente, non in una vita ascetica.

Santa Chiara e san Francesco in un dipinto del XVIII secolo, a Matera.
© Renata Sedmakova / Shutterstock

Una sorella povera e inflessibile. Quando nel 1219 il cardinale Ugolino formulò le sue Costituzioni ispirate alla Regola benedettina, stravolse completamente il senso della scelta di Chiara. Il progetto di Ugolino sembra formulato per spegnere punto dopo punto le novità del programma di Francesco che Chiara aveva fatto proprio: niente povertà, niente lavoro manuale, ma separazione dal mondo esterno, preghiere, mortificazioni corporali, silenzio e, infine, rendite e dotazioni che permettessero a quelle carceri sante di funzionare. 
Lontana dalla corte papale. Non fu l’unico tentativo di soffocare la vitalità rivoluzionaria delle sorelle di San Damiano (la chiesa di Assisi dove Chiara si stabilì e visse per oltre quarant’anni). A più riprese, infatti, si tentò di fare accettare alla testarda Chiara la Regola benedettina. Ugolino stesso, diventato papa nel 1228 con il nome di Gregorio IX, tornò alla carica più determinato che mai a imporre alle riottose sorelle la clausura, la proprietà e la netta separazione tra fratres e sorores.

Basilica di santa Chiara ad Assisi.
© Millionstock / Shutterstock

Volutamente dimenticata. Quando Tommaso da Celano (1190- 1265) fu incaricato dal pontefice di redigere per la seconda volta la Vita di Francesco, Chiara non venne nominata neanche una volta. Un’assenza rumorosa, da cui traspariva la volontà di annullare gli elementi del messaggio di Francesco in netta contraddizione con la corte papale. Messaggio che invece fu proprio Chiara a portare avanti con maggior energia e coerenza di quanto avessero fatto i francescani. In alcuni momenti dovette cedere e accettare almeno formalmente le regole ugoliniane. Ma riuscì a salvare sempre il privilegio più prezioso per lei: quello dell'”altissima povertà”.

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Spiagge: che cosa c’è sotto la sabbia?

Vacanze al mare. Senza immaginare che, quando andiamo in spiaggia e stendiamo il telo mare sulla sabbia o giochiamo a racchettoni, lo stiamo facendo sopra un pezzo di storia geologica d’Italia. Sotto i nostri piedi – e ombrelloni – ci può infatti essere roccia che svettava sulle Alpi, materiale espulso da antiche eruzioni vulcaniche, pietra dorata scesa dagli Appennini. Già, perché le spiagge della nostra penisola (almeno buona parte di esse, come vedremo) nascono in montagna.
«Sono formate dal materiale eroso all’interno dei bacini idrografici dei fiumi e da questi portato a valle: tutta Italia, dalle Alpi agli Appennini, contribuisce quindi a creare le spiagge italiane. E così come è complessa la geologia della penisola e delle sue montagne, così è differente la composizione delle spiagge», riassume Enzo Pranzini, docente di dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze e autore del libro Granelli di sabbia.

Veniamo giù dai monti. Un giro d’Italia da spiaggia a spiaggia, oltre che bellissimo, è dunque un vero Grand Tour geologico. Che facciamo con la guida degli esperti. Per ricostruire le “fonti” delle spiagge dobbiamo innanzitutto risalire i fiumi. «Trasportano il materiale proveniente dalle rocce che affiorano nella loro area di alimentazione, sbriciolate dai fenomeni di erosione», spiega Massimo Moretti, docente di Sedimentologia all’Università di Bari e coordinatore del Corso di laurea in Scienze Ambientali di Taranto.
«All’arrivo al mare, entra in gioco un secondo mezzo di trasporto: le correnti. Sono generate dalle onde e portano le sabbie verso terra e verso mare, o anche lungo la costa: in pratica, le onde che non arrivano perfettamente perpendicolari alla costa spostano la sabbia anche parallelamente a essa. Questo processo si chiama deriva litorale, segue i venti dominanti (che generano le onde, ndr) e permette alle sabbie di viaggiare per centinaia di km lungo le coste».

Cominciamo il nostro tour dal Po e dalla parte settentrionale dell’Adriatico. «Il Po trasporta materiali da due catene montuose, Alpi e Appennini settentrionali: i sedimenti portati sono dunque diversi e questa complessità è riflessa nelle spiagge adiacenti il delta del Po», dice Moretti. E continua Enzo Pranzini, «le sabbie grigie del Po – con materiali dalle montagne alpine – dominano nella costa più settentrionale dell’Emilia-Romagna. Ma ogni fiume dà il suo contributo e i flussi di sabbie si mescolano. A Rimini e sulla riviera romagnola i sedimenti provengono dall’Appenino e si muovono verso nord spinti dalle correnti indotte dal moto ondoso.

Nella parte nord dell’Adriatico, ci sono i fiumi (come Brenta o Piave) che veicolano sedimenti dalle Alpi Orientali, per esempio nati dai calcari chiari delle Dolomiti. Pensiamo al Tagliamento, che sfocia e porta materiale alla spiaggia di Lignano Sabbiadoro (UD): un tesoro di sabbia gialla, tanto che, al momento di costituire il nuovo comune nel 1959, al toponimo fu aggiunto l’epiteto “Sabbiadoro” prima usato a scopo promozionale. Le sabbie chiare marchigiane e abruzzesi sono alimentate da materiali erosi sugli Appennini, in zone dove prevalgono i calcari». La spiaggia è insomma una sintesi di rocce: ecco spiegate le differenze di colore tra granelli di arenili diversi o anche di una stessa spiaggia.

Andiamo tra Liguria e Toscana, «tra la foce del Magra (Bocca di Magra, SP) e Livorno. Il Magra, dall’Appennino Tosco-Emiliano, porta al mare anche i sedimenti del Vara: viene dall’Appennino Ligure ed è ricco di materiali scuri e con punte di verde dovute a rocce verdognole come le ofioliti. Le sabbie sono spinte a sud, arrivando a Marina di Pietrasanta (LU) dove incontrano i sedimenti più chiari dell’Arno (che sfocia a Marina di Pisa), che la corrente trasporta a nord e a sud fino a Livorno. Negli spostamenti, i sedimenti si lasciano dietro i granuli più grossi e vengono abrasi: ecco perché nella zona di convergenza di Marina di Pietrasanta si trova la sabbia più fine da Bocca di Magra a Livorno», dice Pranzini. In bianco o in rosa. Abbiamo parlato del trasporto via fiumi e mare. Prima di continuare il tour, spieghiamo cosa succede… all’arrivo, dove la sabbia si deposita formando la spiaggia. Che è ben più della striscia che frequentiamo in vacanza: la parte emersa è solo una frazione di quella sott’acqua. «Consideriamo spiaggia quell’ambiente che va dalla base delle dune fino alla profondità a cui si risente dell’effetto delle onde, che erodono, trasportano e depositano le sabbie», spiega Moretti. Onde e mareggiate spostano la sabbia, trasportandola verso la costa o verso il largo. Non c’è solo la sabbia, poi. «Esistono spiagge di ghiaia, che si formano spesso nei pressi dei delta dei fiumi», dice Moretti.

E nelle zone con pochi corsi d’acqua? «Un esempio è la Puglia: ci sono solo due fiumi pugliesi capaci di trasportare grandi quantità di sedimenti nel Mare Adriatico: il Fortore, per le zone a nord del Gargano, e l’Ofanto a sud.

Ci sono vaste zone carsiche dove buona parte delle precipitazioni viene inghiottita nella falda profonda senza scorrere in superficie. Nella parte ionica del Salento si creano però le spiagge bioclastiche: sono quelle formate da frammenti di conchiglie e di altri organismi marini, rotti dall’azione delle onde. Sono costituite nella quasi totalità da carbonato di calcio, il componente inorganico di conchiglie e altri resti di animali. È il caso delle spiagge di Porto Cesareo o di Pescoluse in provincia di Lecce», spiega Moretti.
Sabbia del Salento. Il carbonato di calcio è bianco e dà alle sabbie un colore candido. Queste spiagge dipendono in realtà da una pianta: la posidonia, che forma praterie sommerse. «Questi organismi con guscio vivono nel posidonieto e quando muoiono i loro resti finiscono sulla spiaggia con quelli della posidonia. Questa si decompone, i frammenti dei gusci restano. La posidonia quindi è fondamentale per fornire materiale a queste particolari spiagge, oltre a costituire una barriera naturale che limita l’erosione costiera: i suoi resti non andrebbero eliminati dalle spiagge», conclude Moretti. «E comunque in generale nelle spiagge una componente organica c’è sempre».

Analogo è il meccanismo che ha creato una formazione straordinaria: la Spiaggia Rosa dell’isola di Budelli (SS), in Sardegna. È composta da frammenti di gusci di Miniacina miniacea: è un foraminifero, un protozoo che si costruisce un guscio calcareo di colore rosa. Vive sulla posidonia e quando muore arriva sulla costa con i resti della pianta. Sabbie di origine biologica si possono trovare anche nelle pocket beach, le “spiagge a tasca”. «Sono quelle limitate da due promontori, sui quali le onde, frangendosi, perdono energia facendo depositare tutti i gusci degli organismi nella baia fra essi compresa», spiega Moretti. «Normalmente, a meno che non siano sede di un fiume, le pocket beach hanno pochi sedimenti terrigeni (provenienti dall’erosione delle rocce più antiche, ndr). Una minima parte viene dall’erosione delle rocce dei promontori stessi. Il resto, come nelle pocket beach della Puglia, proviene dai gusci dei tanti organismi che popolano i fondali marini». Spiagge sonore. Anche alcuni minerali molto diffusi creano spiagge chiare. «Uno di questi è il quarzo, che è trasparente ed è ben presente nelle nostre spiagge perché molto abbondante nelle rocce. Lo stesso vale per altri minerali chiari come i feldspati. E chiari possono anche essere i sedimenti che vengono dai calcari», riassume Moretti.

A volte i materiali si mescolano. «La spiaggia bianca della Pelosa a Stintino (SS), oltre al quarzo proveniente dai graniti che affiorano nella zona, ha in realtà più del 50% di frammenti di resti di animali», aggiunge Pranzini. Parlando di quarzo, un capolavoro naturale costituito da questo minerale è la spiaggia di Is Arutas (OR). La formano granuli di quarzo, arrotondati dall’erosione fino a formare chicchi bianchi e rosati, con inclusioni di altri colori come il verde. Sempre di granelli di quarzo è la spiaggia di Cala Violina a Scarlino (GR). La sua particolarità non è il colore. «È una spiaggia sonora: quando vi si cammina sopra, stride come un violino. L’abbondanza di quarzo si deve al fatto che è un materiale molto resistente: gli altri, più erodibili, sono stati persi e non rimpiazzati perché la spiaggia viene poco alimentata da nuovo materiale», dice Pranzini. Il quarzo è rimasto, con il suo effetto sonoro.

Dalle spiagge chiare, passiamo però alle scure. Che origine hanno? «Molte sono prodotte da materiali vulcanici, dallo sbriciolarsi per esempio del basalto (una roccia scura di origine vulcanica)», spiega Pranzini. Nascono da materiale vulcanico le spiagge nere delle Eolie, come Sabbie Nere a Vulcano e Ficogrande a Stromboli. L’arcipelago siciliano ha vulcani ancora attivi, ma a volte le sabbie scure rimandano a vulcani lontani ed estinti. Qualche esempio? «I minerali che arrivano nell’Adriatico dal monte Vulture, in Basilicata: sono scuri e hanno una densità maggiore (circa 3,6 g/cm³) rispetto per esempio al quarzo (circa 2,6 g/cm³). Per questo sono trasportati in modo diverso, selettivo, rispetto agli altri minerali: tra Margherita di Savoia (BT) e Otranto (LE), per esempio, formano tipiche lamine nere che si alternano alle sabbie chiare», dice Moretti.
La magnetite nella sabbia. Questi minerali sono per esempio anfiboli e pirosseni, comuni nelle rocce magmatiche, e magnetite: un minerale ferroso con densità ancora maggiore (oltre 5 g/cm³), con le più intense proprietà magnetiche in natura, presente nelle rocce basaltiche. Basta una calamita per attrarre la magnetite dalla sabbia. «Allo stesso modo dagli antichi vulcani del Lazio “scendono” i sedimenti scuri che alimentano le spiagge della regione e arrivano a conquistare parte del litorale toscano», dice Pranzini.

Sfumature di nero. Le sfumature di nero possono essere molte. Una è quella della spiaggia di Terranera all’Isola d’Elba.

«È ricca di minerali di ferro: provengono dal materiale di scarto dall’attività mineraria sull’isola. Se fossero rimasti dentro la montagna, non sarebbero arrivati sulla riva», dice Pranzini. Qui si estraevano magnetite, ematite, pirite, minerali di ferro i cui frammenti ora si trovano nella spiaggia scura e luccicante. Ci sono però anche spiagge scure con origini slegate dai vulcani. «Come la spiaggia nera di Cala Jannita a Maratea (PZ), sulla costa tirrenica della Basilicata: è alimentata da calcari e dolomie nerastre (rocce sedimentarie, ndr) che affiorano nel bacino da cui le acque arrivano alla costa. Non tutti i calcari sono chiari», dice Pranzini.
Nella tavolozza delle sabbie italiane ci sono anche rosso e arancione. «Dove si vedono, è segno che ci sono ossidi di ferro», conclude Pranzini. È arancione la spiaggia di Porto Ferro (SS) in Sardegna, dove il colore è dato dalla presenza di ossidi di ferro nelle arenarie che la alimentano. Il punto in cui stendiamo l’asciugamano, insomma, merita davvero attenzione.

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Tutti al mare: le spiagge più belle viste dall’alto

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