La cattedrale del devoto Bruckner è una sinfonia in cerca di nuova musica
Un’altra progressione, un altro scarto ritmico, un’altra cellula da ripetere e modellare alla ricerca di un tema ancora mai ascoltato. A distanza di 48 ore, lo scorso fine settimana a Roma, si sono potute ascoltare due esecuzioni con interpreti diversi dell’ultima sinfonia del grande compositore: la Nona
Momento Bruckner a Roma? A distanza di 48 ore, lo scorso fine settimana, si sono potute ascoltare due esecuzioni con interpreti diversi della sua ultima sinfonia: la Nona, numero fatidico per tradizione ottocentesca dopo la pietra miliare beethoveniana, e per giunta incompiuta, priva com’è del quarto movimento di cui rimangono solo abbozzi. Anche se per noi è ormai opera definitiva e conclusa, con quel lungo accordo degli ottoni che chiude, morendo, l’Adagio e ci dà il senso della fine: dell’opera, di una vita, di un secolo di musica. Forse era così anche per il compositore, che aveva già impiegato tanto a scrivere, correggere e riscrivere quell’ora abbondante di musica, mentre tornava ossessivamente a ritoccare anche le sue opere precedenti, e in due anni, dal 1895 al giorno della morte, l’11 ottobre del ’96, non riuscì a venire a capo del Finale. La consapevolezza, compiuti i settant’anni, che quella sinfonia – in re minore, la stessa tonalità della Nona di Beethoven e del Requiem (incompiuto) di Mozart – sarebbe stata, anche in soli tre movimenti, la sua ultima parola al mondo. E del resto, che cosa mai avrebbe potuto scrivere dopo, il devoto Anton Bruckner, avendo dedicato questa sua sinfonia “dem lieben Gott”, al buon Dio?
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