L’editore Mattioli 1885 traduce tutto Dickens: il via col “Circolo Pickwick”
Riecco, per il lettore stufo di brodini, la riscoperta di un formidabile genio, ma le edizioni questa volta saranno integrali: “Puntiamo da sempre al valore delle opere riproposte nel loro complesso”, ci dice il curatore Paolo Cioni
Nel 1836 Charles Dickens stava per diventare Charles Dickens. Aveva ventiquattro anni, scriveva copioni intrisi di shakespearianesimo ammirativo e si era appena sposato. Giovinezza trafelata dopo un’infanzia infelicissima: fortuna massima per uno che sappia cosa farsene. Il padre – storia nota – era in prigione per debiti e lo scrittore aveva dodici anni quando si impiegò in una fabbrica di lucido da scarpe. “So che lavoravo dalla mattina alla sera. So che facevo ogni sforzo per far durare il mio denaro. So che lo mettevo in un cassetto, dentro a sei piccoli involti, su ogni involto il nome di un giorno della settimana. Mi ricordo di aver camminato per strada sempre insufficientemente saziato”, disse di quel periodo durissimo, ed è inevitabile sorridere per tutti noi che leggiamo le Fanciulleidi dei nostri coevi, tutte vittimismo iperventilante a fronte di drammini da niente. A quindici anni entrò in uno studio legale, imparò la stenografia perché mai e poi mai si immaginava in toga e cominciò a scrivere bozzetti per i giornali, ottenendo un posto come relatore parlamentare, palestra cui attribuirà i meriti per la sua prodigiosa capacità di scrittura.
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