Affaritaliani a LibriAmo tra le Masserie: Sgarbi dialoga con Perrino su Canova

Angelo Maria Perrino Vittorio Sgarbi

Il direttore di Affaritaliani.it Perrino ha presentato a Fasano l’ultima fatica letteraria di Sgarbi: “Canova e la bella amata”

Vittorio Sgarbi, critico d’arte, nonchè sottogretario alla Cultura, torna a Fasano, in Puglia, per regalare al pubblico una serata “magica”, ricca di arte, bellezza e spunti di riflessione. Nella suggestiva cornice di Masseria Torre Coccaro, nella serata di lunedì 19 dicembre, Sgarbi ha presentato la sua ultima “fatica” editoriale: “Canova e la bella amata“, edito da La Nave di Teseo.

Angelo Maria Perrino Vittorio SgarbiAngelo Maria Perrino e Vittorio Sgarbi in Puglia a “LibriAmo…tra le masserie”
 

Lo scrittore, ospite della rassegna “LibriAmo…tra le masserie”, organizzata dal Mondadori Point locale di Laura De Mola, e introdotto dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino, ha avuto così modo di raccontare la vita, la carriera e le opere di Antonio Canova, uno dei più grandi scultori italiani, tanto discussi quanto sottovalutati. Da Paolina Borghese a Le tre Grazie, da La pace di Kiev al ritratto di Letizia Ramolino Bonaparte, madre di Napoleone, da Amore e Psiche a un calco della testa di Elena, Sgarbi ha illustrato la perfezione e la bellezza dell’artista. 

Affaritaliani.it dialoga con Sgabri, Perrino: “Serata all’insegna dell’arte e della bellezza”

Vittorio SgarbiVittorio Sgarbi in Puglia a “LibriAmo…tra le masserie”
 

Serata magica nella meravigliosa, incantevole Masseria Coccaro di Fasano, con Vittorio Sgarbi e la sua lezione magistrale su Canova”, ha commentato sui suoi canali social il direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino. “Sala gremita, pubblico attentissimo a seguire ragionamenti non banali sulla bellezza e sull’arte, come prove dell’esistenza di Dio, sul dovere civico dell’artista di condividere, attraverso la politica, il suo talento e le sue competenze. Come fece Canova”, ha sottolineato ancora Perrino. “Grazie Vittorio, sei stato davvero unico. E grazie Laura De Mola, instancabile organizzatrice di eventi culturali pieni di senso e profondità, levità e scioltezza. Serata indimenticabile”, ha concluso il direttore di Affaritaliani.it


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Quando non c’erano le calamite da frigo: i souvenir di Canova

Pare che Antonio Canova (1757-1822) fosse una vera celebrità internazionale, un artista talmente famoso che, nel primo Ottocento, il suo atelier era una meta turistica tra le più gettonate di Roma, specialmente per i viaggiatori del Grand Tour.
Angelica Kauffmann, Ritratto di Antonio Canova, 1815
Tanti sono i pittori che hanno rappresentato quello studio, pieno di bozzetti. In questo acquerello, realizzato alla fine del Settecento, si possono osservare appesi al soffitto i cosiddetti telai metrati, strumenti usati per prendere le coordinate spaziali dei punti del bozzetto in gesso e riportarli sul blocco di marmo, una procedura che ho raccontato in questo articolo. Questa operazione era condotta in genere dagli aiutanti dello scultore.
Francesco Chiarottini (1748-1796), Lo studio di Canova
Alla stessa epoca appartiene questo ritratto di Canova nel suo studio, accanto alla statua dell’Amorino realizzata nel 1793 per John David La Touche di Marlay. Le altre opere rappresentano alcune importanti commissioni avute fino a quel momento.
Domenico Conti, Ritratto di Antonio Canova nel suo studio, 1793
Di poco precedente è un dipinto in cui lo scultore mostra un modello di Amore e Psiche a Henry Tresham, un pittore inglese che faceva l’intermediario tra gli artisti di Roma e i collezionisti d’oltremanica.
Hamilton Hugh Douglas, Antonio Canova nel suo studio con Henry Tresham e un modello della scultura di Amore e Psiche, 1788-1791
Nei decenni successivi lo studio è stato riproposto anche da autori che non hanno conosciuto Canova, perché nati dopo la morte dello scultore. Ma evidentemente quell’artista era talmente leggendario che, nonostante il Neoclassicismo fosse tramontato da un pezzo, rimaneva il simbolo universale della vera arte.
Qui è raffigurato mentre lavora al bozzetto di Paolina Borghese come Venere Vincitrice (1804-1808). La donna, sorella di Napoleone Bonaparte e moglie del principe romano Camillo Borghese, si sta rivestendo con l’aiuto di un’ancella, dopo aver posato sdraiata su un’agrippina.
Lorenzo Valles (1831-1910), Paolina Borghese nello studio di Canova
In questo dipinto del 1880 lo scultore è ritratto invece mentre osserva a distanza la versione in argilla di un gruppo scultoreo (un particolare del Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria). Nella stanza anche una modella (che nella realtà Canova non usava) e un committente inglese (il duca di Bedford) seduto in attesa. Tutto intorno altri bozzetti in gesso e in terracotta di opere esistenti.
Pompeo Calvi, Interno del laboratorio di Canova a Roma, 1880
Ma dov’era questo celebre studio? In effetti ce ne sono stati tre. Quando Canova arriva a Roma nel 1779 ottiene uno spazio dentro l’Ambasciata della Serenissima a Palazzo Venezia, assieme a una pensione per sostenersi nell’Urbe. In quello studio iniziano a transitare molto presto committenti italiani e stranieri.
Ma nel 1783, con l’arrivo di un nuovo ambasciatore, l’artista sceglie di spostarsi in via delle Colonnette, vicino Piazza del Popolo, in un grande studio ricoperto esternamente dai frammenti classici della sua collezione. Il piano terra ero la spazio pubblico mentre il piano superiore era quello privato in cui lo scultore teneva la sua collezione di dipinti e la biblioteca. Questo studio, definito da Stendhal “luogo unico sulla terra” è quello più celebre.
Roberto Roberti (1786-1837), Lo studio di Canova in Roma
Ma a Roma ce n’è anche un altro, noto oggi come Atelier Canova Tadolini, che lo scultore lasciò nel 1818 al suo allievo più fidato, Adamo Tadolini, perché riproducesse le copie delle sue sculture. Oggi quello studio, che ha ospitato quattro generazioni di artisti, è un ristorante molto particolare, in cui si mangia tra statue in gesso e bassorilievi.

Attorno al successo di Canova, intanto, era nato un fiorente mercato di veri e propri ‘souvenir‘ costituiti dalle miniature delle sue opere e destinato a tutti i viaggiatori del Grand Tour che volevano portare con sé il ricordo del maestro (non potendosi permettere le sue costose sculture). Un po’ come il merchandising che si trova oggi all’interno dei musei, ma senz’altro più raffinato…
Questi oggetti non erano creazioni di Canova o della sua bottega ma di tanti artisti locali che grazie a queste riproduzioni davano lustro allo scultore e al contempo ci guadagnavano anche loro. Tra questi prodotti c’era il cofanetto a forma di libro di Francesco Carnesecchi (1796-1872) del 1822-1844 con le riproduzioni in gesso delle sculture di Canova da un lato e di Bertel Thorvaldsen (un importante artista neoclassico danese che visse in Italia per oltre quarant’anni) dall’altro. Ecco il lato con le opere di Canova e il relativo elenco.

Lo stesso manufatto, con una selezione di opere differente, era proposta anche da Pietro Paoletti (1801-1847). Questi piccoli bassorilievi erano prodotti in serie partendo da uno stampo in negativo inciso a mano dall’artista su pietra.

Giovanni Liberotti aveva creato addirittura un sistema di bacheche impilabili per potersi portare a casa tutte le bellezze del Grand Tour, dalle statue dei Musei Vaticani a quelle di Napoli, oltre alle immancabili opere di Canova. In alternativa si poteva optare per il volumetto da libreria.
 
Molto apprezzate erano anche le miniature dei leoni che Canova scolpì per la base del monumento funerario a Clemente XIII in San Pietro. Queste sono in marmo giallo antico e risalgono alla fine del XVIII secolo.

Le statue invece venivano riprodotte in scala in bronzo o alabastro, come questi esempi ottocenteschi.

Più particolari erano i ciondoli ottenuti incidendo il calcedonio con i profili creati da Canova, come questo esemplare intagliato da Luigi Pichler (1773-1854) nel 1815.

Benedetto Pistrucci (1783-1855), incisore di gemme e medaglista, proponeva invece delle placchette di ardesia con le miniature modellate in cera gialla. In alcune creava addirittura delle originali composizioni, come quella in cui Napoleone come Marte pacificatore di Canova è in piedi su una biga per il suo trionfo.

Questi ‘capricci’ canoviani erano spesso realizzati attraverso stampe. Quelle di Michele Fanoli (1807-1876) degli anni ’40 dell’Ottocento rappresentano grandi spazi in cui le statue sono ambientate come in un museo immaginario.

Più tradizionali sono le incisioni di Raffaello Morghen del 1787 e 1790 che riproducono Teseo e il Minotauro e la tomba di Clemente XIII. Queste stampe contribuirono enormemente alla diffusione dell’opera di Canova quando l’artista era in vita e alla creazione della sua fama.

I viaggiatori del Grand Tour, insomma, avevano a disposizione una grande varietà di souvenir canoviani da portare a casa: medaglie in gesso, ciondoli in pietra, modellini in marmo, statuine in bronzo e stampe di ogni genere.
Tutto questo ci fa capire qualcosa in più del sistema dell’arte del passato, un meccanismo che non è poi molto diverso da quello attuale e che ci ricorda che l’arte non è mai disgiunta dagli aspetti economici e commerciali. Anzi, nasce quasi sempre laddove c’è ricchezza (e vivacità culturale).

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