Non siamo obbligati ad amare i quadri di Frida Kahlo
Una delle peggiori malattie dell’arte e della cultura contemporanea è la fine delle opinioni, sostituita dalla sindrome del consenso. Qualsiasi giudizio negativo su un prodotto culturale o artistico viene trasferito automaticamente all’identità del creatore o al soggetto dell’opera. Allora, come è capitato di recente su Instagram, se mi azzardo a dire che non mi piace o meglio, che l’arte di Frida Kahlo mi ha veramente stufato, c’è qualcuno che immediatamente mi apostrofa con “porco maschio che critica una delle poche artiste donne che hanno avuto successo in un sistema dell’arte dominato da altri maschi porci”. L’Isis della correttezza politica, i razzistofobici, i generofobici, i terzomondisti vintage e le brigate lgbt, non capiscono che così facendo chi fa le spese del loro odio per il White man walking, il maschio bianco condannato culturalmente a morte, è proprio l’artista “altra”, ridotta e condannata alla propria anagrafica a prescindere dal talento creativo buono o cattivo che sia. Quindi un quadro di Frida Kahlo non è bello perché è bello ma bello d’ufficio perché opera di un’artista donna, messicana, differentemente abile e vissuta nelle grinfie di artisti maschi violenti e prepotenti.
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