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La seconda vita di Clubhouse, il social dimenticato che ancora funziona in Russia

Appena un anno fa, tutti correvano sul servizio audio-only delle chiacchiere social. Poi gli annunci della concorrenza hanno fatto cadere tutto nel dimenticatoio. Ma in Russia la guerra ha falcidiato il panorama digitale, e l’oblio che aveva colpito Clubhouse si sta rivelando (per ora) la sua fortuna

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Da giorni girano sui social le immagini di alcuni grandi magazzini russi, pieni di negozi di catene e brand occidentali con le serrande abbassate per via del boicottaggio. Il web russo somiglia molto a questi luoghi ormai desolati: pieno di app e siti disponibili in tutto il mondo ma di fatto bloccati a chi si collega dalla Russia. Alcuni utenti russi hanno però trovato un alleato in un servizio che appena un anno fa era tra i più discussi del mondo tecnologico e oggi vanta un ruolo di parìa tale da non essere stato interessato dalla censura di Vladimir Putin. Parliamo di Clubhouse, l’applicazione che lo scorso inverno convinceva tutti e sembrava pronta a ridisegnare i contorni del settore tecnologico: un servizio audio-only che serviva per chiacchierare con amici o estranei, organizzandosi in stanze digitali a tema.  

Appena un anno fa, tutti correvano su Clubhouse (se avevano un iPhone: la versione per Android è arrivata tardi, quando il mondo si era già dimenticato di questa meteora) e sceglievano quale discussione stare ad ascoltare. Influencer, giornalisti, esperti e gente comune, tutti riuniti attorno a questa next big thing, con grandi discussioni sul futuro dell’audio nel mondo dei social. Le cose sono cambiate in fretta con la primavera 2021 e l’allentamento delle restrizioni delle misure anti Covid: le persone potevano stare all’aria aperta con relativa sicurezza e presto smisero di stare chiusi in casa ad ascoltare cyber-diatribe tra estranei. Per quello – sovvenne ai più all’improvviso – c’era il bar.

  

Le conseguenze dell’ascesa e caduta di questo servizio si sono fatte sentire da quando la guerra in Ucraina ha falcidiato il panorama digitale russo, relegando le speranze di connessione dei cittadini a due app: Telegram (che ha soppiantato Whatsapp come chat più usata in Russia, per ovvie ragioni di mancanza di concorrenza) e, appunto, Clubhouse. Quest’ultima, come ha rivelato il giornalista Chris Stokel-Walker sulla rivista online Input, viene ora utilizzata anche da chi vuole informarsi o discutere dell’invasione, spesso con toni molto critici nei confronti del regime russo.

  

Certo, la pacchia non durerà per sempre e ci si aspetta che la morsa del Cremlino arrivi a strozzare anche questo canale di comunicazione. Ma il fatto che tutti si siano dimenticati di questo servizio abbastanza da trasformarlo in un’improbabile oasi di libertà la dice lunga sui meccanismi dell’hype tecnologico. Dopo i primi successi di Clubhouse, Facebook annunciò di essere al lavoro su un clone del prodotto, lo stesso fecero LinkedIn e Twitter. Proprio Twitter ha presentato ormai da tempo il suo esperimento, chiamato Spaces. Sono bastati questi annunci a decretare la fine di Clubhouse, facilmente copiato e sostituito dai giganti del settore. 

Anche prima che Putin decidesse di invadere l’Ucraina, però, Clubhouse vantava ancora dieci milioni di utenti. Gli Stati Uniti e i paesi europei sembrano essersene dimenticati, ma il servizio va ancora forte in Asia del sud, dall’India al Nepal, dove il suo utilizzo è esploso proprio con il tardivo lancio dell’app per Android. Qui si usa l’app per recitare preghiere o discutere di finanza e politica, con stanze digitali gremite di utenti. 

Clubhouse non è ancora morta, quindi. È stata semplicemente superata e poi dimenticata, in particolare in occidente, e c’è voluta la scomparsa totale della concorrenza per farlo tornare in voga in un paese isolato.

Oltre i social e le mode: che cos’è diventato Clubhouse

L’ultima volta che ho aperto Clubhouse era la primavera del 2021: in quel periodo, mentre il mondo iniziava a riemergere dal secondo lockdown, il social network audio fondato da Paul Davison e Rohan Seth raggiungeva l’apice del successo.

Valutato 4 miliardi di dollari, dotato di 10 milioni di utenti attivi quotidianamente e frequentato da una miriade di celebrità (tra cui Elon Musk, Oprah Winfrey, Drake, Kevin Hart, Chris Rock e tantissimi altri), Clubhouse sembrava rappresentare il futuro dei social.

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Da allora, la situazione è cambiata drasticamente: secondo le stime più recenti, Clubhouse conterebbe oggi non più di 3 milioni di utenti attivi (cifra che potrebbe comunque essere ottimistica), mentre nell’aprile scorso la società ha annunciato il licenziamento di oltre metà della forza lavoro. Da fenomeno, Clubhouse è diventato una meteora di cui nessuno parla più. Che cos’è successo alla piattaforma che, grazie alle stanze tematiche in cui tutti potevano intervenire a voce e in diretta, l’esperto di tecnologia Ben Thompson aveva definito  “il social network al tempo degli auricolari”, destinato a un successo “inevitabile”.

La ragione principale del declino di Clubhouse è stata evidenziata dalla società stessa, nel comunicato in cui annuncia gli importanti cambiamenti apportati nel tentativo di dare nuova vita a questo social network: “Dopo il coronavirus siamo tutti tornati a scuola e a lavoro, di conseguenza partecipare alle discussioni nelle stanze è diventato più difficile. Nonostante milioni di membri della nostra comunità ancora oggi vivano questa esperienza, molti altri invece non lo fanno più”.

Il successo di Clubhouse non era legato tanto alla diffusione degli auricolari, ma a una particolarissima fase storica che ci ha costretti a stare chiusi in casa o comunque a vivere una socialità molto limitata. Concluso quel periodo e tornati alla nostra concitata quotidianità, un social che (a differenza dei tradizionali Instagram o TikTok, che usiamo in modo frammentato) richiede di restare collegati a lungo e a orari prefissati, si è trovato ad affrontare enormi difficoltà.

Consapevoli di tutto ciò, i programmatori di Clubhouse hanno radicalmente trasformato la piattaforma, la cui ultima versione, con tanto di nuovo logo, è diventata disponibile il 6 settembre. In effetti, il nuovo Clubhouse è praticamente irriconoscibile rispetto a quello che utilizzavamo un paio d’anni fa e, una volta aperto, lascia anche abbastanza smarriti: non c’è nessun calendario che permetta di orientarsi tra le stanze previste per la giornata e i follower accumulati nel tempo sono stati sostituiti da un numero molto inferiore di amici.

Tutto ciò perché Clubhouse non vuole più essere un social network, ma diventare una piattaforma di messaggistica audio che ci permetta (come scritto sempre nel comunicato) di “sentire la voce dei nostri amici nel corso della giornata e di conoscere nuove persone come lo facciamo nel mondo reale, attraverso amici comuni”. In sintesi, oggi Clubhouse scommette sulla trasformazione delle stanze in chat audio di gruppo, in cui lasciare un messaggio vocale cui può replicare ciascuno degli altri invitati, che possono essere amici di chi ha inaugurato la chat oppure amici dei suoi amici.

L’enfasi quindi non è più su influencer e creator in grado di creare partecipatissime stanze, ma su chat intime in cui alcuni amici chiacchierano tra loro. La comunicazione, inoltre, non è più in tempo reale, ma asincrona: noi lasciamo un messaggio vocale e i nostri amici lo ascolteranno e risponderanno quando lo vorranno (nel comunicato si sottolinea che sarà comunque possibile anche creare stanze live).

Se avessi amici che usano attivamente Clubhouse, aperta la app dovrei insomma vedere le chat in cui qualcuno di loro ha lasciato messaggi vocali cui posso replicare. Mentre sono in metropolitana o in macchina, potrei così ascoltare i messaggi audio che i miei amici hanno lasciato nella chat in cui commentiamo l’ultima puntata della nostra serie tv preferita o qualunque altra cosa.

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Da questo punto di vista, la trasformazione di Clubhouse è coerente con il cambiamento in atto nel mondo social. Oggi gli utenti preferiscono scambiare comunicazioni e contenuti all’interno di gruppi intimi piuttosto che sulla piazza pubblica di Facebook o Instagram, che sono quindi sempre meno social network e sempre più dei social media, destinati principalmente alla fruizione passiva di contenuti prodotti da creator professionisti o aspiranti tali.

Per avere successo, il nuovo Clubhouse, che permette di lasciare messaggi vocali a gruppi ristretti di amici, dovrà però riuscire in un’impresa molto difficile: convincerci a fare su un’altra piattaforma ciò che già oggi facciamo regolarmente su WhatsApp.

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