Un nuovo caso di guarigione completa dall’HIV

Un 53enne di Düsseldorf, in Germania, è stato dichiarato “ufficialmente libero” dall’HIV a distanza di nove anni da un trapianto di cellule staminali che aveva ricevuto per guarire da una forma di leucemia. Quello appena descritto su Nature Medicine è uno dei cinque casi al mondo di guarigione completa dal virus che causa l’AIDS – anche se, per la pericolosità del trattamento effettuato, sarebbe inappropriato affermare che abbiamo trovato una cura per l’HIV. Si tratta infatti di avvenimenti molto rari, che rientrano nella letteratura scientifica e che sono piuttosto il frutto di drammatiche e altrettanto fortunate combinazioni di eventi.

l’HIV, poi il cancro. Il paziente di Düsseldorf era stato dichiarato positivo all’HIV nel 2008 e aveva cominciato i trattamenti con farmaci antiretrovirali (le terapie che “cronicizzano” l’AIDS permettendo a chi è sieropositivo di condurre una vita normale) nel 2010. L’anno successivo l’uomo si era ammalato di leucemia, un tumore del sangue che aveva inizialmente curato con la chemioterapia.

Nel 2013 una ricaduta della malattia ha convinto i medici dell’Ospedale Universitario di Düsseldorf University a sottoporre il paziente a un trapianto di cellule staminali: quelle dell’uomo da curare, che continuavano a produrre globuli bianchi malati, sono state neutralizzate con la chemio e sostituite con quelle di un donatore.

Doppia guarigione. E qui arriva il punto di svolta della vicenda. I medici hanno avuto l’opportunità di scegliere, come donatore, una persona con una mutazione genetica che la rendeva naturalmente immune all’HIV, perché disabilita un recettore (chiamato CCR5) che il virus usa per infettare le cellule immunitarie. Con un unico, rischioso trapianto, il paziente avrebbe potuto guarire sia dalla leucemia sia dall’HIV.

E così è stato: l’uomo è guarito dalla leucemia e nel 2017 ha interrotto i trattamenti con immunosoppressori necessari a prevenire il rigetto. Nel novembre 2018 i medici hanno sospeso anche le cure antiretrovirali e oggi, a oltre quattro anni di distanza, non ci sono segni di infezione attiva nel suo corpo né di replicazione del virus dell’HIV.

Pochi fortunati. Il paziente di Düsseldorf è ufficialmente guarito così come altre quattro persone sottoposte a vari tipi di trapianti di cellule staminali (pazienti che restano anonimi e che sono conosciuti con il nome degli ospedali o delle città in cui sono stati seguiti: City of Hope (Comprehensive Cancer Center, California), Londra, Berlino, New York.

La lista è provvisoria perché legata agli anni trascorsi liberi da trattamenti antiretrovirali e al margine di certezza sull’effettiva guarigione, ma il punto è che questi trapianti, che sono procedure rischiose e potenzialmente letali, si rendono necessari per guarire da altre malattie – come il cancro – e non sono proponibili come terapie su larga scala.

Potrebbero però ispirare nuove cure: un approccio alternativo che si sta esplorando è l’utilizzo dell’editing genetico per alterare il gene CCR5 nel sistema immunitario delle persone sieropositive.

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Chi è la prima donna al mondo guarita dall'HIV

Una donna di origine non bianca-caucasica residente negli USA è la terza persona al mondo ad essere guarita dall’HIV. Le prime due caratteristiche non sono di poco conto: la paziente, che ha ricevuto un trapianto di cellule staminali per essere curata da una forma di leucemia, è la prima persona di genere femminile ad andare in remissione completa dall’infezione; ed è proprio il background di razza mista che ha indirizzato i medici verso una terapia inedita, basata sulle cellule di cordone ombelicale di un donatore e non – come accaduto finora – su quelle di midollo osseo.

Un’altra via. Dopo la diagnosi di HIV nel 2013, la paziente, della quale non è nota l’identità, è stata in cura con una terapia antiretrovirale – lo standard clinico oggi raccomandato per quasi tutte le persone con HIV – che ha tenuto il virus sotto controllo. Nel 2017 una leucemia mieloide acuta, un tumore del sangue che attacca le cellule del midollo osseo, ha costretto la donna a un trapianto.

Se fosse stata bianca, la paziente avrebbe avuto maggiori probabilità di trovare un midollo compatibile nel registro dei donatori, quasi tutti caucasici. Così i medici dell’International Maternal Pediatric Adolescent AIDS Clinical Trials Network (IMPAACT) sono ricorsi a un’altra fonte di cellule staminali per ripopolare il midollo osseo di cellule sane: un cordone ombelicale. Il sangue del cordone non richiede infatti che donatore e ricevente di un trapianto abbiano profili immunologici perfettamente sovrapponibili, anche dal punto di vista etnico.

Un aiuto in più. Le cellule staminali del cordone (capaci di differenziarsi e specializzarsi in uno dei molti tipi di cellule del corpo umano) sono da tempo usate nei trapianti per curare i tumori del sangue (vedi il sito dell’AIRC per approfondire), tuttavia impiegano settimane prima di innestarsi e formare una popolazione consistente di globuli bianchi nel midollo osseo: un grosso rischio per chi ha un’infezione cronica da HIV. Per questo la donna ha ricevuto anche periodiche trasfusioni di sangue da un parente compatibile, una sorta di “ponte” per consentire al trapianto di andare a buon fine.

Sparito. Ha funzionato: a 37 mesi dal trapianto la paziente ha interrotto le terapie antiretrovirali e dopo 14 mesi dallo stop è ancora libera dal virus – nel suo sangue non ci sono tracce di HIV né degli anticorpi contro di esso. Il caso clinico, che non è ancora stato descritto in una rivista scientifica, è stato presentato nel corso dell’edizione 2022 della Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, CROI).

Come è stato possibile? Le cellule del cordone ombelicale del donatore recavano, nel DNA, due copie di geni con la mutazione CCR5 delta-32, che alterano l’espressione del recettore (la porta cellulare) che l’HIV solitamente usa per infettare. In pratica si blocca l’accesso al virus. E poiché dopo tre mesi dal trapianto, i globuli bianchi della paziente derivavano ormai interamente da quelli del donatore, e avevano quindi la mutazione protettiva, è stata possibile una remissione completa.

Rappresentanza femminile. Finora la letteratura medica ne aveva descritte soltanto altre due, entrambe in pazienti maschi che avevano ricevuto un trapianto di midollo osseo da donatori con la stessa mutazione HIV resistente. Uno è Timothy Ray Brown, noto anche come “il paziente di Berlino”. Brown è rimasto libero dal virus per 12 anni dopo il trapianto, prima di morire di leucemia nel 2020. L’altro è Adam Castillejo, il cosiddetto “paziente di Londra”, apparentemente guarito dall’HIV ormai da più di due anni dopo le cure contro un linfoma. Come spiegato sul New York Times, l’infezione da HIV ha una progressione diversa nelle donne e negli uomini: le prime rappresentano la metà dei casi mondiali, ma sono soltanto l’11% dei pazienti coinvolti nei trial clinici su trattamenti e vaccini.

Vantaggi. Rispetto ad altre forme di trapianto di staminali, il trattamento usato per la paziente (con la combinazione di cellule del cordone e di trasfusioni di sangue del parente) sembrerebbe aver dato minori controindicazioni: la donna non ha sviluppato la complicanza più temuta in questi casi, la malattia del trapianto contro l’ospite, e dopo 17 giorni è stata dimessa dall’ospedale. Inoltre, poiché per il cordone non serve una compatibilità così stretta tra donatore e ricevente, potrebbero beneficiarne anche pazienti per i quali è più difficile trovare donatori, come quelli di origine etnica mista.

Ciò non significa che questo tipo di trapianto sia “per tutti”. Per i rischi che comporta è applicabile soltanto alle persone che abbiano sviluppato gravi forme di tumori del sangue resistenti alle altre terapie. Guarire del tutto dall’HIV resta un rarissimo e stupefacente “effetto collaterale” delle cure anticancro.