Un’indagine letteraria, emotiva e autocoscienziale con al centro Etty Hillesum

Né saggio né biografia. Il libro di Elisabetta Rasy è una ricerca autoriale sulla giovinezza. E il cuore è quella ragazza ebrea olandese e la sua “irriducibile individualità”

“Non credo che un libro possa cambiare la vita, credo però che possa cambiare qualcosa dentro di noi”, scrive Elisabetta Rasy, e dimostra come un libro possa avviare un gioco di rimandi, di rispecchiamenti, di scoperte rabdomantiche che rivelano a noi stessi quello che di noi non conosciamo. Nelle prime pagine di Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza, titolo inaugurale della collana Scrittrici/Scrittori di HarperCollins, Rasy racconta perché ha scelto la ragazza ebrea olandese, morta ad Auschwitz il 30 novembre del 1943, come cuore di un’indagine letteraria, emotiva e autocoscienziale, attorno a quell’età contraddittoria, spensierata e infelice, che è la giovinezza.

In un libro che non è una biografia, anche se ripercorre le tappe della vita di Etty, e non è un saggio letterario convenzionale o una semplice riflessione su cosa significa diventare e voler diventare scrittori (nelle sue pagine incontriamo Katherine Mansfield e Virginia Woolf, Charlotte Salomon e Joseph Conrad, la Micol Finzi-Contini di Bassani ed Edith Stein), Rasy spiega perché il “continuo ascolto di sé, la continua attenzione all’anima nella sua irriducibile individualità” fanno di Etty Hillesum la “perfetta maestra della giovinezza”. Non tanto anagrafica, quanto quella che “con l’esercizio dell’attenzione, bisogna sforzarsi di conservare nel cuore perché la vita sia, come lei diceva con la sua fiducia nel valore della contraddizione, ‘una lotta di minuto in minuto, ma una lotta invitante’”.

Terribile e luminosa è stata la giovinezza di Etty, per come lei stessa ne parla nei diari che vanno dal marzo del 1941 all’ottobre del 1942, quando sceglierà, nonostante gli amici la implorino di mettersi in salvo, di tornare nel campo di smistamento di Westerbork, accanto ai genitori e al fratello minore, ultima tappa prima di Auschwitz. Pubblicati dalla metà degli anni Ottanta (in Italia da Adelphi), il Diario e le Lettere di Etty Hillesum hanno rapidamente dato luogo a un fenomeno di culto e a interpretazioni radicalmente opposte di quella sua scelta. Frutto di inconsapevolezza e di ingenuità, secondo alcuni, se non di passività. Cosciente ricerca del martirio, secondo altri. Ma lei sapeva perfettamente ciò che la aspettava e non ha mai cercato il sacrificio.

“Voglio seguire il destino del mio popolo”, afferma soltanto a un certo punto, chiedendo a tutti di rispettare una decisione che non è rassegnazione. Il suo, al contrario, è un gesto estremo di libertà e di fedeltà a se stessa, scrive Rasy. Niente di più lontano di lei da un agnello sacrificale: Etty difende a testa alta un nucleo invincibile di amore per il mondo, di fierezza, di responsabilità. “Lo dice e lo ripete che questa è la sua ambizione, essere fedele al suo sentire, al suo stile umano. Ecco, dunque, che trova le sue strade: non la fuga, non l’odio, ma l’amicizia, l’amore, la preghiera”. 

Giovane per sempre Etty lo è, per noi che la leggiamo, e non solo perché la sua vita è stata spezzata prima dei trent’anni nel più infernale dei gironi del Novecento. Giovane è la sua volontà di pensare la bellezza e il futuro, anche quando intorno a lei tutto parla di dolore, sopraffazione e morte. Giovane è la sua determinazione a diventare un giorno una scrittrice, traguardo raggiunto mentre lei crede sia ancora remoto, perché quel magnifico diario che copre l’ultimo anno e mezzo della sua vita prima dell’internamento lo considera solo parte della terapia stabilita per lei dal chirologo Julius Spier, l’uomo difficile di cui si è innamorata.

Giovane è l’aspirazione a dare ai suoi pensieri la forma perfetta, anche quando, nella baracca di Westerbork, scrive una lettera in condizioni per noi inimmaginabili. Giovane è il suo entusiasmo per quello che va scoprendo nell’amato Rilke o in sant’Agostino, dei quali copia brani interi, senza sapere che anche le sue parole sarebbero diventate per tanti lettori come “un responso della Sibilla, tanto più oracolari perché non seguono nessuna domanda precisa” e perché “danno insieme la risposta e la domanda”, scrive Rasy. Giovane è l’attitudine alla libertà di una donna nata nel 1914, convintamente estranea al paradigma matrimoniale che l’epoca dettava al sesso femminile, ma capace di costruirsi una famiglia stravagante e irregolare, fatta di amici e amanti. Etty è giovane perché non ha voluto consegnare a nessuno, tantomeno al mostro nazista e antisemita, la propria anima e la propria voglia di cercare un senso nelle cose. Non va trasformata in un’immaginetta devozionale, dice Elisabetta Rasy, e non si può non essere d’accordo, anche perché a Etty quell’immaginetta non sarebbe piaciuta. 

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