Le silenziose tavolate di una volta dove si capiva il senso della giustizia
A casa dei miei nonni durante il pranzo e la cena, rigorosamente a mezzogiorno e alle sette e mezza di sera, si stava in silenzio. Poteva succedere che gli adulti si scambiassero qualche parola, ma accadeva sempre di sfuggita e rivolgendo lo sguardo versi noi piccoli, come a dire: “ci sono loro, ne parliamo dopo”. Per il resto si sentiva soltanto il rumore delle stoviglie e ogni tanto la vece di mia nonna che ripartiva il cibo secondo un ordine prestabilito o quella di mio nonno che aveva invece la sovranità assoluta sul vino, un bottiglione da due litri rigorosamente posizionato a portata di mano. Sia per il cibo che per il vino, non era consentito a nessuno dei commensali di dire di volerne ancora. Chi aveva finito la propria porzione, poteva soltanto confidare nella magnanimità di mia nonna nella ripartizione degli eventuali resti, la quale peraltro, specialmente con i nipoti, faceva sempre molta attenzione a non fare parzialità. A tal proposito applicava un rigido criterio di giustizia distributiva, lievemente temperato dall’età dei nipoti, dal loro appetito e qualche rara volta dai loro gusti. A tutti la stessa porzione, con qualche compensazione, più o meno lieve a seconda delle circostanze, condivisa da tutti noi.
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