Entro poche settimane, se non ci saranno ulteriori rinvii, partirà Artemis I. La Nasa ha comunicato 3 finestre di lancio: il 29 agosto, il 2 settembre e il 5 settembre. Si tratta di una missione importantissima: la prima del programma Artemis che riporterà gli Stati Uniti e i suoi alleati (tra i quali l’Europa, con l’Italia) sulla Luna.
Artemis non è però solo la continuazione del programma Apollo (anche se Artemide, non a caso, nella mitologia greca è la sorella di Apollo, figlio di Zeus). «Con Artemis, non stiamo semplicemente tornando sulla Luna», sottolinea Jeremy Parsons, deputy manager per il programma dei sistemi di esplorazione di terra di Artemis I al Kennedy Space Center, in Florida. «La nostra destinazione finale è Marte. Andremo a esplorare parti della Luna che non abbiamo mai visto e impareremo a vivere nello spazio. Vogliamo capire come usare le risorse lunari per creare strumenti, energia, cibo. Lo scopo finale è quello di spingerci oltre, dove non siamo mai arrivati prima».
Mezzo secolo dopo. È un momento che stiamo aspettando da quasi cinquant’anni. Esattamente dal 19 dicembre del 1972, quando si concluse la missione Apollo 17. Qualche giorno prima, il comandante Eugene Cernan partendo dal suolo lunare aveva detto: “… Lasciamo la Luna come l’abbiamo trovata e, a Dio piacendo, come la ritroveremo quando torneremo, con pace e speranza per tutta l’umanità”. Si pensava, nel giro di qualche mese. Ma, al loro ritorno, Cernan e compagni scoprirono che l’Apollo 17 sarebbe stato l’ultimo capitolo del progetto, e loro gli ultimi esseri umani a camminare sulla Luna. I costi elevati e la guerra del Vietnam avevano spento l’entusiasmo verso lo spazio. Il progetto Apollo si chiuse in sordina e senza troppi convenevoli.
Ora però il ritorno alla Luna è vicino: una nuova generazione di astronauti sta per rimetterci piede. Ma non con questa prima missione, che avverrà senza equipaggio e servirà per testare le componenti principali per un obiettivo che in prospettiva non si ridurrà a viaggi toccata-e-fuga come per l’Apollo. L’obiettivo, sulla Luna, è di rimanerci.
Tuttavia, le difficoltà per creare una colonia terrestre in un ambiente senz’acqua e senza atmosfera sono enormi; per questo le agenzie spaziali hanno optato per una strategia “a puzzle”. Ogni missione inserirà un pezzo, e Artemis I è la prima tessera di questo puzzle. Durerà circa tre settimane e permetterà di testare sul campo alcune componenti fondamentali: per esempio, lo scudo termico del modulo di comando (quello che nelle missioni successive conterrà gli astronauti). Durante il rientro sulla Terra, lo scudo sarà sottoposto a una temperatura di oltre duemila gradi.
Tre, due, uno… GO! In generale, per una missione verso la Luna e per scendere sulla sua superficie, servono tre componenti fondamentali: un razzo (perché fino alla Luna bisogna arrivarci), una navicella (che ospiti gli astronauti nel modo più sicuro e confortevole possibile) e un modulo di allunaggio, l’equivalente del famoso Lem delle missioni Apollo. In quel caso, il razzo era il Saturno V e la navicella era chiamata modulo di comando; per Artemis il razzo si chiama Space Launch System, o più semplicemente Sls, e la navicella spaziale Orion, in onore della costellazione di Orione.
L’Sls, definito dalla Nasa “il razzo più potente del mondo”, è un colosso alto 98 metri il cui sviluppo è costato, dal 2011 a oggi, oltre 23 miliardi di dollari. «L’Sls è un pachiderma», sottolinea Elkin Norena, resident manager per l’Sls al Kennedy Space Center. «Sarà il razzo più potente di sempre e avrà il 50% di spinta in più rispetto al Saturno V. Al lancio, sarà in grado di produrre quasi 4.000 tonnellate di spinta. Vederlo decollare sarà uno spettacolo incredibile».
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La Space Launch System, l’enorme lanciatore della Nasa utilizzato dal programma Artemis.
© Nasa/Focus
Il giorno del lancio, a sei secondi dal decollo, si accenderanno i suoi quattro motori principali RS-25. E forse potrà sorprendere sapere che questi motori sono di riciclo. Sono gli “avanzi” (rimodernati) dei motori degli Space Shuttle, le navette spaziali andate in pensione nel 2011, e hanno volato sugli Shuttle diverse volte. Il loro riutilizzo si deve sia all’esigenza di limitare i costi sia perché si sono rivelati ottimi. «Sono molto affidabili. Questo tipo di motori lo abbiamo usato per 135 missioni, e sappiamo come funziona», aggiunge Norena. «Andare nello spazio è difficile. Quando inventi qualcosa di nuovo devi testarlo mille volte prima di mandarlo in orbita. Se hai tra le mani qualcosa di affidabile e che sai può fare al caso tuo, non stai a reinventare tutto da capo». Una volta terminato il countdown si accenderanno anche i due booster laterali, razzi ausiliari a propellente solido, per circa 20 secondi; anche alcune loro parti sono residui del programma Shuttle.
La navicella Orion. Sessanta secondi dopo il lancio, l’Sls sarà già a 18 chilometri di altezza, oltre la troposfera, e una volta in orbita si staccherà la capsula Orion, che si trova nella sua parte superiore. La Orion è composta da due segmenti principali: il primo è il modulo di servizio, realizzato in Europa, che serve per la propulsione e il controllo della navicella e per fornire l’energia elettrica (ricavata grazie a pannelli solari). È anche la “stiva” per immagazzinare l’acqua e l’aria per gli astronauti. Il secondo è il modulo di comando, dove nelle future missioni prenderà posto l’equipaggio. Sono solo questi due moduli che faranno il viaggio Terra-Luna, dove la Orion effettuerà alcune orbite vicine alla superficie lunare (tecnicamente si chiamano flyby) e altre più larghe. E dopo circa sei giorni riprenderà la strada verso casa.
Una volta di ritorno, nei pressi della Terra, il modulo di servizio si separerà da quello di comando, che entrerà nell’atmosfera a 40mila chilometri l’ora, per poi aprire i paracadute, rallentare e ammarare. Dei 98 metri dell’Sls alla partenza, solo il modulo di comando della Orion, alto poco più di 3 metri, farà rientro sulla Terra, ammarando al largo di San Diego, nel Pacifico.
La capsula Orion. Nella parte alta vi è il modulo di comando e sotto quello di servizio. Alla sua costruzione ha partecipato anche l’Italia grazie ad Asi e Leonardo (vedi box sotto).
© Nasa
I passi successivi. Il programma Artemis, dopo il primo passo al quale stiamo per assistere, sarà strutturato in più missioni che dovrebbero estendersi fino al 2030 e oltre.
Le tre già approvate sono Artemis I, Artemis II (in origine prevista per il 2023 ma posticipata al 2024) e Artemis III, ora fissata non prima del 2025. Artemis II sarà il corrispettivo dell’Apollo 8, la prima missione con un equipaggio che arrivò fino alla Luna ma senza scendere sulla sua superficie. Così anche l’equipaggio di Artemis II farà un breve giro intorno al nostro satellite, senza allunare.
Dopo queste prove generali, la Nasa punta al primo allunaggio dopo mezzo secolo con Artemis III, che sarà a tutti gli effetti la versione millennial dell’Apollo 11: l’equipaggio scenderà sulla Luna per una settimana. Anche se il terzo elemento fondamentale per le missioni umane, il modulo di allunaggio, a tutt’oggi non esiste. Dovrebbe realizzarlo l’azienda privata SpaceX di Elon Musk, che ha vinto un bando indetto dalla Nasa sconfiggendo, tra gli altri, una cordata capeggiata da Blue Origin, l’azienda dell’altro magnate Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Dopo un ricorso di quest’ultimo, l’assegnazione è stata confermata lo scorso novembre a SpaceX, che dovrebbe realizzare allo scopo una versione della sua navicella Starship, attualmente in fase di test.
La base orbitante. Artemis III segnerà anche l’inizio della costruzione del Lunar Gateway, una delle novità più fantascientifiche dell’intero progetto. Il Gateway sarà un porto in orbita attorno al nostro satellite al quale le navicelle spaziali potranno attraccare e darsi il cambio. Da lì si potrà scendere sulla superficie lunare e risalire. Una navicella, probabilmente la Starship, farà da “ascensore”. E una volta sbarcati, gli astronauti useranno delle jeep lunari per raggiungere l’Artemis Base Camp, la base permanente situata al polo sud.
Tutto questo però arriverà verso la fine del decennio. L’inizio della costruzione del Gateway è previsto non prima del 2026, ma anche questa è una previsione ottimistica. L’amministrazione Trump nel 2019 mise pressione sulla Nasa per programmare Artemis III nel 2024, sia per affermare la supremazia statunitense sulla Cina, che ai tempi aveva appena annunciato l’intenzione di atterrare sulla Luna entro il 2030 (v. riquadro a fianco), sia perché così Trump, sperando di essere rieletto, avrebbe potuto vedere l’uomo di nuovo sulla Luna entro la fine del suo secondo mandato. Ma la Nasa ha dichiarato ufficialmente che Artemis III non arriverà prima del 2025.
LE MISSIONI DI ARTEMIS
Nome
Obiettivo
Durata
Dataprevista
Artemis I
Flyby della Luna senza equipaggio
3 settimane
Settembre 2022
Artemis II
Flyby con equipaggio
10 giorni
Maggio 2024
Artemis III
Allunaggio con equipaggio (con almeno una donna)
4 settimane
Non prima del 2025
Artemis IV
Invio di un equipaggio sul Gateway
4 settimane
Marzo 2026
Artemis V-X
Equipaggi sulla Luna per periodi sempre più lunghi, costruzione di una base lunare
Da definire
2027 – 2032
Generazione Artemide. Se pensiamo a quanto le missioni Apollo abbiano influenzato la generazione che le ha vissute, non è difficile intuire che Artemis potrebbe avere un impatto perfino maggiore, grazie anche ai social media che renderanno l’esperienza più immediata. Non è un caso che la Nasa abbia coniato l’espressione “Generazione Artemis” per riferirsi ai bambini e alle bambine che cresceranno con l’immagine dei nuovi astronauti che popoleranno la Luna. «Ho due figlie di sette e nove anni», conclude Jeremy Parsons, «e adoro l’idea che tra pochi anni possano vedere degli astronauti atterrare sulla Luna, sapendo che in futuro potrebbero essere tra loro. Mi fa sentire fiero di quello che stiamo facendo». La Generazione Artemis sarà la generazione degli ingegneri spaziali e delle astronaute, viaggerà tra la Terra e la Luna come noi viaggiamo tra Roma e New York e Orion sarà il loro Freccia Rossa. E saranno i primi esseri umani a potersi definire “extraplanetari”.
Emma Gatti per Focus
Una versione meno aggiornata di questo articolo è stata pubblicata su Focus, a gennaio 2022.