Ecco la tuta spaziale con cui torneremo sulla Luna

La Nasa ha presentato la nuova tuta spaziale che verrà indossata dagli astronauti che nel 2025 (ma ormai si parla di seconda metà del 2026) torneranno a mettere piede sulla Luna con la missione Artemis 3.

Si tratta di tute prodotte da Axiom, una delle due società alla quale l’ente spaziale americano aveva firmato un contratto attraverso il programma Extravehicular Activity and Human Surface Mobility Program (EHP). L’altra società è la Collins Aerospace.

Rispetto ai modelli precedenti le tute spaziali Axiom Space sono costruite per fornire maggiore flessibilità, maggiore protezione dall’ambiente ostile dello spazio e con strumenti specializzati per soddisfare le esigenze dell’esplorazione spaziale ed espandere le opportunità scientifiche.

Bianca o nera? Non sarà scura come il prototipo presentato: a tuta infatti dovrà proteggere gli astronauti anche da temperature estremamente elevate, dunque sarà bianca per riflettere il calore – il modello svelato al pubblico era ricoperto da quell’involucro scuro solo a scopo espositivo, per nascondere il design “proprietario” della tua. 

Sarà dotata di luci sul casco per esplorare, uno “zaino” contenente il sistema di sopravvivenza e stivali isolati.

Più maneggevoli. Durante la dimostrazione al pubblico è stato mostrato come questa sia molto più maneggevole rispetto a quelle che venivano usate dagli astronauti delle missioni Apollo. Un astronauta può facilmente inginocchiarsi, piegarsi, avere una visione ampia dal casco ed eseguire una serie di manovre che le vecchie tute non permettevano. Ogni astronauta le potrà indossare senza l’aiuto di un compagno, infilandosi da dietro. 

Le tute permetteranno alle donne e agli uomini che le indosseranno di trascorrere anche 8 ore sul suolo lunare. Entro la fine dell’estate 2022 Axiom dovrà consegnare una serie di tute alla NASA, che servano anche per addestrare gli astronauti che poi dovrebbero scendere sul suolo lunare.

Continua la lettura su: https://www.focus.it/scienza/spazio/artemis-astronauti-tuta-spaziale-luna Autore del post: Focus Rivista Fonte: http://www.focus.it

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Partiti! Artemis I sta volando verso la Luna

Dopo la delusione dello scorso 29 agosto, e dei successivi tentativi, quando la partenza di Artemis I fu rinviata per un problema a uno dei 4 motori RS-25, il momento tanto atteso è arrivato alle ore 7:47 (ora italiana) di oggi 16 novembre 2022: l’enorme razzo Sls (Space Launch System), un bestione alto ben 98 metri con a bordo la capsula Orion (in questa occasione, priva di equipaggio umano), si è staccato come da programma dalla rampa di lancio del complesso 39 del Kennedy Space Center in Florida (Usa). È dunque iniziata, ora per davvero, la missione Artemis I, una missione storica.
La destinazione è infatti la Luna a 450mila km di distanza. O meglio, una serie di orbite che la Orion, che nel frattempo si sarà staccata dall’Sls, compirà attorno al nostro satellite naturale (con ampiezze diverse), prima di riprendere la via di casa, circa 25 giorni più tardi, l’11 dicembre, dopo avere percorso un totale di circa 2.100.000 km.
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La missione in breve. Perché è cosi importante una missione dimostrativa senza equipaggio che durerà soltanto 25 giorni, dal 16 novembre all’11 dicembre?
Beh, prima di tutto, la missione non è così breve, sebbene siamo abituati a rover che girano su Marte per anni. Ma soprattutto la capsula Orion eseguirà precisamente le stesse manovre che in futuro verranno effettuate dagli astronauti a bordo della missione Artemis II che nel 2024 riporterà l’uomo in orbita lunare. Una cosa che non avveniva da più di 50 anni, dalla fine del programma Apollo.
Dalla sua riuscita dipende dunque il futuro della missione Artemis e il nostro ritorno sulla Luna. Ma come si svolgerà il viaggio della capsula Orion?

Il significato del logo Artemis

In alto a destra c’è la Luna, nostra prossima destinazione e “fulcro” dei nostri sforzi attuali.

Il vertice della A è puntato non sulla Luna, ma oltre. Significa che gli sforzi attuali non si esauriranno con la Luna, ma sono una preparazione di ciò che verrà dopo.La traiettoria va da sinistra a destra attraverso la barra della “A”, con una direzione opposta a quella del logo Apollo. Questo evidenzia una differenza: stavolta la Luna è una tappa del nostro percorso verso Marte, simboleggiato dal colore rosso della traiettoria.L’arco blu, infine, è la Terra, nostro punto di partenza e di vista: tutto ciò che impareremo e acquisiremo “tornerà” sul nostro Pianeta blu.
© Nasa

Dopo la partenza da Terra ed essere entrata per breve tempo in orbita terrestre bassa, la capsula Orion verrà spinta verso la Luna dal secondo stadio del razzo Sls. Nel momento in cui leggerete questa notizia, probabilmente la rotta Terra-Luna sarà già stata imboccata: il programma prevede che Orion lasci l’orbita terrestre dopo 1 ora e 38 minuti dal decollo (riguarda la partenza e scopri le varie fasi del lancio).
Quando Orion dopo qualche giorno raggiungerà il nostro satellite, effettuerà un volo radente (un flyby molto ravvicinato) a soli 100 km di altezza. A quel punto, il modulo di servizio, costruito in Europa e in Italia, accenderà i suoi motori inserendo Orion in orbita lunare. Si tratta di una cosiddetta “orbita retrograda distante”, ovvero la capsula ruoterà in senso contrario rispetto alla rotazione lunare e a una distanza fino a 64.000 km dalla Luna (la Stazione Spaziale, per intenderci orbita a 400 km di altezza).

Si tratta di un record, rispetto  al precedente di 16.000 km circa, raggiunto con la missione Apollo 13.
Nella prima settimana di ottobre, dopo circa un mese di orbite, Orion effettuerà un secondo flyby ravvicinato e si dirigerà verso casa. Successivamente il modulo di servizio (vedi foto che segue) si separerà da quello di comando (sono i due componenti della navicella Orion) e rientreranno in atmosfera: il primo brucerà, il secondo la attraverserà toccando i 40mila km/h di velocità, verrà rallentato da un paracadute e infine completerà il suo rientro l’11 ottobre con un bel tuffo nel mare al largo di San Diego (California).

La capsula Orion. Nella parte alta vi è il modulo di comando e sotto quello di servizio. Alla costruzione di quest’ultimo ha partecipato anche l’Italia grazie ad Asi e Leonardo. Serve a dare energia (grazie ai pannelli solari, costruiti in Italia), acqua e ossigeno al modulo di comando, dove alloggerà l’equipaggio.
© Nasa

La carica dei cubesat. A bordo non ci saranno astronauti in carne e ossa, ma tre manichini equipaggiati con una serie di sensori per raccogliere dati utili per le future missioni.
Del carico faranno parte inoltre 10 minisatelliti, cubesat, grandi come scatole di scarpe e destinati a svolgere vari esperimenti: Icecube, per esempio, che una volta in orbita attorno al nostro satellite naturale, userà uno spettrometro per studiare il ghiaccio lunare; NEA Scout, che dopo essere stato “liberato” si dirigerà, spinto da una vela solare, verso un asteroide per studiarlo da vicino.
L’unico componente di bordo a toccare il suolo lunare sarà il minisatellite giapponese Omotenashi, parte di una missione che ha l’obiettivo di dimostrare la possibilità di atterrare sulla Luna con un piccolo satellite a basso costo.

Il Moonikin Campos, che prende il nome da Arturo Campos, sarà presente in Artemis I, sulla navicella Orion. Il Moonikin Campos, insieme ad altri due manichini, Helga e Zohar, consentirà di misurare i dati relativi a radiazioni, accelerazioni e vibrazioni durante la missione; le informazioni raccolte da queste “repliche del corpo umano” saranno utili per le future missioni con equipaggio.
© Nasa

Il megarazzo. Se siete giunti fino a qui, vale la pena soffermarsi sul vero protagonista della partenza di oggi, il lanciatore Sls, alto 98 metri e con un diametro del primo stadio di 8,4 metri. È in grado di sprigionare una potenza di 39 meganewton e di lanciare verso la Luna 27 tonnellate di massa.
Si tratta di un lanciatore (vedi illustrazione qui sotto) che ha molto a che vedere con lo Space Shuttle. Come la navicella spaziale che fino al 2011 ha portato satelliti, telescopi e astronauti nello spazio, l’Sls ha motori principali RS-25 che bruciano idrogeno e ossigeno liquido. In più, come lo Shuttle, ha due booster laterali a combustibile solido. 
Sia i motori principali del primo stadio sia i booster laterali sono riciclati dal programma dello Space Shuttle.
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La Space Launch System (Sls), il gigantesco razzo impiegato dalla Nasa per il programma Artemis è un colosso alto 98 metri il cui sviluppo (insieme alla capsula Orion) è costato, dal 2011 a oggi, oltre 23 miliardi di dollari. Pur riutilizzando motori e altri componenti, ogni lancio “costa” 2 miliardi di dollari. Al lancio, produce quasi 4.000 tonnellate di spinta.
© Nasa / Focus

Al momento ci sono almeno 16 motori RS-25 riciclati sufficienti per 4 lanci del Sls (che adopera 4 motori ciascuno) e booster per otto lanci. Dopodiché la Nasa produrrà nuovi motori e nuovi booster.

Artemis 1, 2 e 3. Come detto, questa è la prima di tre missioni che dovrebbero consentire di riportare gli Stati Uniti e i suoi alleati (tra i quali l’Europa, con l’Italia) sulla Luna.
Dopo Artemis I sarà infatti il turno di Artemis II (prevista per il 2024, con l’obiettivo di portare un equipaggio di astronauti a orbitare attorno alla Luna senza scendere sulla superficie) e a seguire Artemis III (non prima del 2025, con l’obiettivo dell’allunaggio).
Il nome Artemis – Artemide nella mitologia greca è la sorella di Apollo – richiama immediatamente alla mente il programma Apollo, che più di mezzo secolo fa consentì al genere umano di raggiungere uno dei traguardi più esaltanti si sia mai prefissato.
Ma, sottolineano alla Nasa, non si tratta semplicemente di un secondo tempo di quel film: con Artemis l’uomo torna dunque sulla Luna, esplorando parti a oggi sconosciute, ma si prepara anche per raggiungere la sua destinazione finale, Marte. Lo scopo è “imparare a vivere nello spazio”, sfruttando le risorse della Luna per generare l’energia, costruire gli strumenti e produrre il cibo necessario per chi dovrà abitarci.

Lo spazioporto. Con Artemis III inizierà anche la parte più ambiziosa del progetto, cioè la costruzione del Lunar Gateway: si tratta di uno “spazioporto” in orbita attorno alla Luna, dove le navicelle spaziali potranno attraccare e darsi il cambio, in modo simile a quanto accade oggi sulla Stazione spaziale internazionale.
Per sbarcare sulla Luna da lì gli astronauti useranno una navetta, la Starship, e dopo essere sbarcati raggiungeranno la base permanente al polo sud (Artemis Base Camp) a bordo di jeep lunari.
La Nasa ha dichiarato ufficialmente che Artemis III non arriverà prima del 2025, ma anche l’ipotesi del 2026 potrebbe essere ottimistica.

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20 luglio 1969, Apollo 11: ecco la Luna

Artemis I, si torna sulla Luna

Entro poche settimane, se non ci saranno ulteriori rinvii, partirà Artemis I. La Nasa ha comunicato 3 finestre di lancio: il 29 agosto, il 2 settembre e il 5 settembre. Si tratta di una missione importantissima: la prima del programma Artemis che riporterà gli Stati Uniti e i suoi alleati (tra i quali l’Europa, con l’Italia) sulla Luna.
Artemis non è però solo la continuazione del programma Apollo (anche se Artemide, non a caso, nella mitologia greca è la sorella di Apollo, figlio di Zeus). «Con Artemis, non stiamo semplicemente tornando sulla Luna», sottolinea Jeremy Parsons, deputy manager per il programma dei sistemi di esplorazione di terra di Artemis I al Kennedy Space Center, in Florida. «La nostra destinazione finale è Marte. Andremo a esplorare parti della Luna che non abbiamo mai visto e impareremo a vivere nello spazio. Vogliamo capire come usare le risorse lunari per creare strumenti, energia, cibo. Lo scopo finale è quello di spingerci oltre, dove non siamo mai arrivati prima».
Mezzo secolo dopo. È un momento che stiamo aspettando da quasi cinquant’anni. Esattamente dal 19 dicembre del 1972, quando si concluse la missione Apollo 17. Qualche giorno prima, il comandante Eugene Cernan partendo dal suolo lunare aveva detto: “… Lasciamo la Luna come l’abbiamo trovata e, a Dio piacendo, come la ritroveremo quando torneremo, con pace e speranza per tutta l’umanità”. Si pensava, nel giro di qualche mese. Ma, al loro ritorno, Cernan e compagni scoprirono che l’Apollo 17 sarebbe stato l’ultimo capitolo del progetto, e loro gli ultimi esseri umani a camminare sulla Luna. I costi elevati e la guerra del Vietnam avevano spento l’entusiasmo verso lo spazio. Il progetto Apollo si chiuse in sordina e senza troppi convenevoli.
Ora però il ritorno alla Luna è vicino: una nuova generazione di astronauti sta per rimetterci piede. Ma non con questa prima missione, che avverrà senza equipaggio e servirà per testare le componenti principali per un obiettivo che in prospettiva non si ridurrà a viaggi toccata-e-fuga come per l’Apollo. L’obiettivo, sulla Luna, è di rimanerci.
Tuttavia, le difficoltà per creare una colonia terrestre in un ambiente senz’acqua e senza atmosfera sono enormi; per questo le agenzie spaziali hanno optato per una strategia “a puzzle”. Ogni missione inserirà un pezzo, e Artemis I è la prima tessera di questo puzzle. Durerà circa tre settimane e permetterà di testare sul campo alcune componenti fondamentali: per esempio, lo scudo termico del modulo di comando (quello che nelle missioni successive conterrà gli astronauti). Durante il rientro sulla Terra, lo scudo sarà sottoposto a una temperatura di oltre duemila gradi.

Tre, due, uno… GO! In generale, per una missione verso la Luna e per scendere sulla sua superficie, servono tre componenti fondamentali: un razzo (perché fino alla Luna bisogna arrivarci), una navicella (che ospiti gli astronauti nel modo più sicuro e confortevole possibile) e un modulo di allunaggio, l’equivalente del famoso Lem delle missioni Apollo. In quel caso, il razzo era il Saturno V e la navicella era chiamata modulo di comando; per Artemis il razzo si chiama Space Launch System, o più semplicemente Sls, e la navicella spaziale Orion, in onore della costellazione di Orione.
L’Sls, definito dalla Nasa “il razzo più potente del mondo”, è un colosso alto 98 metri il cui sviluppo è costato, dal 2011 a oggi, oltre 23 miliardi di dollari. «L’Sls è un pachiderma», sottolinea Elkin Norena, resident manager per l’Sls al Kennedy Space Center. «Sarà il razzo più potente di sempre e avrà il 50% di spinta in più rispetto al Saturno V. Al lancio, sarà in grado di produrre quasi 4.000 tonnellate di spinta. Vederlo decollare sarà uno spettacolo incredibile».
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La Space Launch System, l’enorme lanciatore della Nasa utilizzato dal programma Artemis.
© Nasa/Focus

Il giorno del lancio, a sei secondi dal decollo, si accenderanno i suoi quattro motori principali RS-25. E forse potrà sorprendere sapere che questi motori sono di riciclo. Sono gli “avanzi” (rimodernati) dei motori degli Space Shuttle, le navette spaziali andate in pensione nel 2011, e hanno volato sugli Shuttle diverse volte. Il loro riutilizzo si deve sia all’esigenza di limitare i costi sia perché si sono rivelati ottimi. «Sono molto affidabili. Questo tipo di motori lo abbiamo usato per 135 missioni, e sappiamo come funziona», aggiunge Norena. «Andare nello spazio è difficile. Quando inventi qualcosa di nuovo devi testarlo mille volte prima di mandarlo in orbita. Se hai tra le mani qualcosa di affidabile e che sai può fare al caso tuo, non stai a reinventare tutto da capo». Una volta terminato il countdown si accenderanno anche i due booster laterali, razzi ausiliari a propellente solido, per circa 20 secondi; anche alcune loro parti sono residui del programma Shuttle.

La navicella Orion. Sessanta secondi dopo il lancio, l’Sls sarà già a 18 chilometri di altezza, oltre la troposfera, e una volta in orbita si staccherà la capsula Orion, che si trova nella sua parte superiore. La Orion è composta da due segmenti principali: il primo è il modulo di servizio, realizzato in Europa, che serve per la propulsione e il controllo della navicella e per fornire l’energia elettrica (ricavata grazie a pannelli solari). È anche la “stiva” per immagazzinare l’acqua e l’aria per gli astronauti. Il secondo è il modulo di comando, dove nelle future missioni prenderà posto l’equipaggio. Sono solo questi due moduli che faranno il viaggio Terra-Luna, dove la Orion effettuerà alcune orbite vicine alla superficie lunare (tecnicamente si chiamano flyby) e altre più larghe. E dopo circa sei giorni riprenderà la strada verso casa.
Una volta di ritorno, nei pressi della Terra, il modulo di servizio si separerà da quello di comando, che entrerà nell’atmosfera a 40mila chilometri l’ora, per poi aprire i paracadute, rallentare e ammarare. Dei 98 metri dell’Sls alla partenza, solo il modulo di comando della Orion, alto poco più di 3 metri, farà rientro sulla Terra, ammarando al largo di San Diego, nel Pacifico.

La capsula Orion. Nella parte alta vi è il modulo di comando e sotto quello di servizio. Alla sua costruzione ha partecipato anche l’Italia grazie ad Asi e Leonardo (vedi box sotto).
© Nasa

I passi successivi. Il programma Artemis, dopo il primo passo al quale stiamo per assistere, sarà strutturato in più missioni che dovrebbero estendersi fino al 2030 e oltre.
Le tre già approvate sono Artemis I, Artemis II (in origine prevista per il 2023 ma posticipata al 2024) e Artemis III, ora fissata non prima del 2025. Artemis II sarà il corrispettivo dell’Apollo 8, la prima missione con un equipaggio che arrivò fino alla Luna ma senza scendere sulla sua superficie. Così anche l’equipaggio di Artemis II farà un breve giro intorno al nostro satellite, senza allunare.
Dopo queste prove generali, la Nasa punta al primo allunaggio dopo mezzo secolo con Artemis III, che sarà a tutti gli effetti la versione millennial dell’Apollo 11: l’equipaggio scenderà sulla Luna per una settimana. Anche se il terzo elemento fondamentale per le missioni umane, il modulo di allunaggio, a tutt’oggi non esiste. Dovrebbe realizzarlo l’azienda privata SpaceX di Elon Musk, che ha vinto un bando indetto dalla Nasa sconfiggendo, tra gli altri, una cordata capeggiata da Blue Origin, l’azienda dell’altro magnate Jeff Bezos, fondatore di Amazon. Dopo un ricorso di quest’ultimo, l’assegnazione è stata confermata lo scorso novembre a SpaceX, che dovrebbe realizzare allo scopo una versione della sua navicella Starship, attualmente in fase di test.

La base orbitante. Artemis III segnerà anche l’inizio della costruzione del Lunar Gateway, una delle novità più fantascientifiche dell’intero progetto. Il Gateway sarà un porto in orbita attorno al nostro satellite al quale le navicelle spaziali potranno attraccare e darsi il cambio. Da lì si potrà scendere sulla superficie lunare e risalire. Una navicella, probabilmente la Starship, farà da “ascensore”. E una volta sbarcati, gli astronauti useranno delle jeep lunari per raggiungere l’Artemis Base Camp, la base permanente situata al polo sud.
Tutto questo però arriverà verso la fine del decennio. L’inizio della costruzione del Gateway è previsto non prima del 2026, ma anche questa è una previsione ottimistica. L’amministrazione Trump nel 2019 mise pressione sulla Nasa per programmare Artemis III nel 2024, sia per affermare la supremazia statunitense sulla Cina, che ai tempi aveva appena annunciato l’intenzione di atterrare sulla Luna entro il 2030 (v. riquadro a fianco), sia perché così Trump, sperando di essere rieletto, avrebbe potuto vedere l’uomo di nuovo sulla Luna entro la fine del suo secondo mandato. Ma la Nasa ha dichiarato ufficialmente che Artemis III non arriverà prima del 2025.

LE MISSIONI DI ARTEMIS

Nome
Obiettivo
Durata
Dataprevista

Artemis I

Flyby della Luna senza equipaggio

3 settimane

Settembre 2022

Artemis II

Flyby con equipaggio

10 giorni

Maggio 2024

Artemis III

Allunaggio con equipaggio (con almeno una donna)

4 settimane

Non prima del 2025

Artemis IV

Invio di un equipaggio sul Gateway

4 settimane

Marzo 2026

Artemis V-X

Equipaggi sulla Luna per periodi sempre più lunghi, costruzione di una base lunare

Da definire

2027 – 2032

Generazione Artemide. Se pensiamo a quanto le missioni Apollo abbiano influenzato la generazione che le ha vissute, non è difficile intuire che Artemis potrebbe avere un impatto perfino maggiore, grazie anche ai social media che renderanno l’esperienza più immediata. Non è un caso che la Nasa abbia coniato l’espressione “Generazione Artemis” per riferirsi ai bambini e alle bambine che cresceranno con l’immagine dei nuovi astronauti che popoleranno la Luna. «Ho due figlie di sette e nove anni», conclude Jeremy Parsons, «e adoro l’idea che tra pochi anni possano vedere degli astronauti atterrare sulla Luna, sapendo che in futuro potrebbero essere tra loro. Mi fa sentire fiero di quello che stiamo facendo». La Generazione Artemis sarà la generazione degli ingegneri spaziali e delle astronaute, viaggerà tra la Terra e la Luna come noi viaggiamo tra Roma e New York e Orion sarà il loro Freccia Rossa. E saranno i primi esseri umani a potersi definire “extraplanetari”.

Emma Gatti per Focus
Una versione meno aggiornata di questo articolo è stata pubblicata su Focus, a gennaio 2022.

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