Il 26 aprile tutti a scuola: assembramenti, trasporti e tutti i problemi irrisolti
Il 26 aprile tutti gli studenti torneranno a scuola. Ma quali sono i problemi ancora irrisolti? Il Corriere della Sera ha fatto il punto della situazione.
I trasporti restano il nodo cruciale?
Sono ancora il problema maggiore legato alla riapertura delle scuole perché il rischio di contagio è direttamente proporzionale alla mobilità delle persone.
A dicembre i prefetti, su richiesta del Comitato tecnico scientifico, avevano analizzato nel dettaglio le criticità in ogni provincia
indicando quali fossero gli interventi urgenti a livello locale (orari di punta, affollamento di autobus, treni e metropolitana).
Che cosa è cambiato sul piano pratico?
Queste indicazioni molto spesso sono cadute nel dimenticatoio e non tutti gli enti locali (Comune, Regione, Provincia) ne hanno tenuto conto per riorganizzare i trasporti ricorrendo a soluzioni alternative
come affitto di bus privati o introduzione di orari differenziati per l’ingresso a scuola.
Lo stesso premier Draghi, nella conferenza stampa in cui ha annunciato le riaperture, ha ricordato che per il potenziamento dei mezzi sono stati stanziati 390 milioni e che va rispettato il limite del 50% della capienza.
Le aggregazioni degli studenti prima e dopo l’orario di ingresso sono monitorate?
Anche in questo caso i prefetti avevano proposto delle soluzioni per il «controllo del territorio» suggerendo ad esempio di utilizzare i volontari della Protezione civile o altre associazioni
per evitare che gruppi di ragazzi si riunissero nei pressi della scuola senza attuare le dovute precauzioni (mascherina, distanziamento). La sorveglianza non è stata uniforme.
All’interno degli istituti le regole vengono applicate?
Sono i luoghi ritenuti più sicuri proprio perché è più facile il rispetto delle regole. L’uso della mascherina è ormai diventato quasi automatico per bambini e ragazzi.
Le scuole con classi-pollaio, affollate, che non possono garantire il distanziamento tra i banchi di almeno un metro dovrebbero aver provveduto a creare spazi alternativi dove organizzare le lezioni (ma all’inizio dell’anno mancavano 20 mila aule soprattutto alle superiori).
Una cosa è certa. Anche nel periodo invernale le finestre in classe sono rimaste aperte per garantire il ricambio d’aria e la «dispersione» del virus, precauzione igienica raccomandata dalle linee guida dell’Iss. E la situazione sicuramente migliorerà con l’arrivo dei mesi più caldi.
Qual è il contributo della scuola nel sostegno alla diffusione dei contagi?
La chiusura della didattica in presenza è stata adottata in tutto il mondo per frenare la diffusione di Covid. Tuttavia l’impatto di questo intervento sulle dinamiche epidemiche rimane ancora poco chiaro. I Paesi hanno adottato piani diversi per quanto riguarda il ritorno sui banchi dopo l’allentamento delle misure restrittive.
E in Italia?
In Italia nel periodo 31 agosto-27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio nazionale ha rilevato 3.173 focolai scolastici, che rappresentano il 2% del totale dei focolai segnalati a livello nazionale. Uno studio dell’Istituto superiore di sanità afferma però che il dato è sottostimato e che nella maggioranza dei casi non è stato possibile risalire all’origine dei focolai (prima dell’ingresso, durante le lezioni, all’uscita?).
A che punto è la vaccinazione del personale scolastico?
Il 73% degli insegnanti è stato vaccinato almeno con la prima dose. La categoria era stata indicata fra le priorità nella prima stesura del piano vaccinale che poi a metà marzo è stato modificato per dare la precedenza alla popolazione di anziani e fragili. Inoltre dall’8 aprile il vaccino AstraZeneca, inizialmente raccomandato per le persone di età inferiore ai 60 anni, è stato «dirottato» sugli over 60 e questi cambiamenti hanno rallentato il processo di immunizzazione di docenti e operatori scolastici.
I tamponi agli studenti vengono fatti?
In Italia lo screening degli studenti in entrata non è previsto ma ci sono state esperienze pilota. A marzo la Provincia di Bolzano ha avviato un progetto di screening con tamponi rapidi antigenici e all’inizio di aprile li ha resi obbligatori. Però non sono ancora disponibili. Per chi rifiuta c’è la didattica a distanza. Alcune regioni avevano annunciato l’avvio di controlli con test salivari che però non vengono considerati affidabili.