“Il figlio dell'altra”, un film su Israeliani e Palestinesi da vedere e da proporre in classe

Il tema è di stringente attualità: il conflitto tra israeliani e palestinesi; difatti proprio in questi giorni sono ripresi i bombardamenti di Hamas e le repressioni israeliane; insomma, una questione internazionale che sembra non trovare un approdo pacifico e che continua a mietere vittime, soprattutto tra i civili.In tutto questo c’è un film che – almeno i film lo fanno! – entra nelle anime delle persone e ci racconta come le differenze possono trovare un punto di incontro; come, quando le grandi questioni lasciano spazio alle esistenze delle persone, le vie d’uscita sono possibili. La questione Israeliana e palestinese, insomma, vista non dai …

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La rabbia serva di Hamas. Un catalogo degli “utili idioti” al servizio dei terroristi

Dai collettivi studenteschi pro Pal. ai rettori che si arrendono alle loro richieste. Da quelli che fischiano gli ebrei in visita ad Auschwitz ai cattivi maestri. E poi le proteste mancate e le atrocità non riconosciute. Dieci figure sulla scena antisionista antisemita (più una perla di speranza e di coraggio)

Un arcipelago con dieci isolotti pro Pal., cripto-filo-Hamas, filo Hamas senza cripto. Dieci figure sulla scena antisionista antisemita. Dieci categorie molto agguerrite, e molto sguarnite di cultura e informazioni. Qualcuno, rozzamente, avrebbe detto dieci categorie di “utili idioti”, consapevoli e non consapevoli, al servizio di Hamas. Dieci variazioni sullo stesso tema. Il decathlon dell’antisionismo urlante. Il catalogo è questo. (Più una perla di speranza e di coraggio)   

1) La capra collettiva

Sono il 99,9 per cento dei collettivi, a essere generosi: tutte capre senza speranza. Ignoranti assoluti. Non sanno nulla, blaterano, ululano, eruttano, si esprimono con suoni gutturali ritmati su slogan di desolante inconsistenza. Gridano “Palestine will be free from the river to the sea”, ma Daniela Santus, che è puntuale e sin quasi pignola nell’analisi storica, ha scoperto attraverso un sondaggio che se chiedi loro quale sia questo benedetto fiume e quale questo benedetto mare, le risposte sembrano, pressoché la totalità, delle tristi parodie dello studente asino. C’è chi ha detto: “Dal fiume Eufrate al mar Rosso”. Altri: “Dal fiume Nilo al Mar Caspio”. Altri ancora: “Dal fiume Tigri al Mar Rosso”, ma anche: “Dal fiume Nilo al Mar Rosso”. Qualcuno, tra gli italiani, ha voluto esagerare e mostrarsi capra da premio Oscar: “Dal fiume Alcantara al mar Mediterraneo” o addirittura (e non ce ne eravamo neanche accorti) “dal fiume Tevere al mar Mediterraneo”. Gridano fino all’afonia che da decenni la striscia di Gaza è occupata da Israele. Ma se provi a riferire che no, guardate, scusate il disturbo, tuttavia grazie all’odiato Sharon tutti gli ebrei di Israele se ne sono andati da Gaza dal 2005 e dal 2006 Hamas esercita un potere dispotico assoluto dopo aver scaraventato dai tetti i rivali dell’Autorità nazionale palestinese e aver speso tutti i soldi in armi, missili e tunnel blindati anziché in cibo e ospedali per i civili, ti guardano sgomenti per tanta improntitudine dell’arrogante sionista. Non azzeccano una data. Pendono dalle labbra di notori pro Hamas come Francesca Albanese, degna rappresentante delle inutili e dannose Nazioni Unite. Provate a chiedergli chi sia stato il fondatore del sionismo Theodor Herzl e ne avrete in cambio solo un’occhiata offuscata dall’ebetudine, incapaci come sono di sostenere qualunque tesi o argomento. Fossi un leader del ’68 mi offenderei con chi paragona il ‘68 con questa Intifada de noantri: loro almeno erano brillanti e persino informati. Questi sembrano comparse di Cinecittà a cui viene chiesto di recitare la parte della folla ululante e senza un briciolo di cultura. Ci riescono benissimo. E si divertono pure, con il miraggio delle tende nei cortili universitari.

  

2) Rettori poco retti

Un capitolo a parte merita la categoria dei Rettori italiani, di alcuni Rettori italiani per meglio dire. A differenza di alcuni loro omologhi delle università americane, che si sono ribellati di fronte all’affollarsi violento degli accampamenti antisemiti, questa frazione di Rettori italiani ha fatto capire con evidenza plastica (ci sono i video: quindi se ci sono i video è dogmaticamente vero) in che stato versano le università italiane. Quello di Torino, insieme al Senato accademico con l’eccezione di un’unica eroica dissidente, ha firmato la resa e l’atto di sottomissione mentre i collettivi ululanti reclamavano il boicottaggio delle università israeliane: non fosse una tragedia sembrava una parodia sarcastica dei Monty Python delle Guardie rosse e dei professori umiliati nella Cina della Rivoluzione culturale con le orecchie d’asino e gli sputi e la bastonate dei bravi ragazzi. Per rendere la scelta pateticamente più accettabile si sono inventati a Torino la categoria farlocca del “dual use”, cioè delle ricerche che potrebbero avere ricadute militari, provocando la sollevazione sconcertata di tutti i ricercatori scientifici che fanno ricerca scientifica vera. A Pisa il Rettore ha boicottato ma non ha boicottato, ha detto sì ma anche no, ma insomma doveva dare un segnale di ascolto ai bravi ragazzi che gridavano “from the river to the sea”. Quello di Milano (che poi sarà insolentito dagli insaziabili pro Pal) ha compiuto un capolavoro: per impedire un convegno su Israele previsto nelle aule dell’Università si è inventato un allarme della Digos in cui si diceva che quel convegno avrebbe provocato non un rischio, e neanche un rischio abbastanza alto, ma proprio un “altissimo rischio”. Dopo due giorni la Digos ha smentito di aver intrecciato un dialogo con il Rettore sull’“altissimo rischio” contenuto nell’annunciata manifestazione dei “sionisti”, ma nel frattempo la decisione del Rettore di non rilasciare il permesso e di traslocare il convegno nello spazio virtuale del web era stata già giustamente rifiutata dagli organizzatori. E in Italia ancora non si è materializzato lo spettro di uno dei leader degli accampamenti antisemiti americani che ha esplicitamente dichiarato: dovreste considerarvi fortunati se abbiamo deciso di non ammazzare tutti i “sionisti” (gli ebrei) del campus.

P.S: non tutti i Rettori come quelli di Torino e di Pisa hanno compiuto atto di sottomissione. Quelli di Bologna, Bari e Padova (per ora) hanno tenuto alto l’onore delle università libere: resistere, resistere, resistere.

  

     

3) Carogne purissime

Quelli che fischiano gli ebrei in visita ad Auschwitz sventolando le bandiere pro Pal. e gridando slogan antisionisti all’indirizzo dei parenti dei sopravvissuti della Shoah. Quelli che espongono cartelli con Anna Frank munita di kefiah. Quelli che vogliono cacciare con la forza la cantante israeliana dall’Eurovision, con Greta, che non sa niente di niente, a far da capopopolo dopo essere passata dalla difesa delle balene a quella del capo Hamas Sinwar, la belva che ama seppellire i corpi smembrati dei “traditori”. A Bologna, mentre preparavano le tende per il campeggio Hamas, si è sentita una voce cantare, in arabo: “Gli uomini a Gaza continuano a scavare, torneranno a casa con buste piene di parti del corpo” (i corpi degli ostaggi del 7 ottobre, naturalmente). Quelli che alla Columbia University hanno circondato uno studente ebreo, minacciandolo con slogan feroci. Quelli che in tutta Europa attaccano le sinagoghe, senza che nessuno sollevi nemmeno un abbozzo di protesta, o un briciolo di indignazione, visto che solitamente l’indignazione è una merce così a buon mercato. Quelli che a Manhattan convincono con nodosi, molto nodosi argomenti un teatro a interrompere la rappresentazione di uno spettacolo tratto da uno scritto di Amos Oz, perché bisogna boicottare gli scrittori ebrei e israeliani, ancorché defunti. Quelli che in Australia issano un cartello con su scritto: “Gas the Jews” (ma neanche un comunicato di sia pur temperata dissociazione, nemmeno uno). Poi c’è quella signora che ha avuto a che fare con non si capisce bene quale carriera diplomatica in Italia (ma come fanno a sceglierli così?) e che senza pudore ha insolentito grevemente Liliana Segre, bambina sopravvissuta ad Auschwitz, e non in un giorno qualunque, ma esattamente nel Giorno della memoria, e tuttavia i custodi della memoria resi smemorati dal 7 ottobre hanno fatto passare la cosa come un eccesso di reazione. Quelli che hanno impedito a una ragazza ebrea di entrare nell’edificio di Sciences Po. Quelli che hanno impedito nelle aule universitarie di Roma e di Napoli di parlare a due giornalisti ebrei. Cioè “sionisti”, insomma ebrei.

  

4) Oscar dell’abiezione

L’Oscar dell’abiezione antisemita va, nonostante la fitta concorrenza, a Roger Waters, ottant’anni, ex Pink Floyd: “Hamas era giustificata a resistere all’occupazione del 1967”; “gli israeliani inventano storie, probabilmente i primi 400 israeliani uccisi erano militari e quello non è un crimine di guerra. L’intera cosa è stata poi gonfiata da Israele con l’invenzione di storie su bambini decapitati”.

   

5) Non una di meno, una ti meno

Anche se non si arriva al negazionismo dell’unico satiro al mondo che non fa ridere, cioè il simpatico Daniele Luttazzi che proclama la teoria secondo cui i “presunti” stupri del 7 ottobre sarebbero soltanto miserabili fake news, le donne del movimento autonominatosi “Non una di meno” hanno già decretato che le donne israeliane (ebree ma anche arabe) violentate dai predoni di Hamas sono donne di serie B. Non meritevoli di solidarietà, da ignorare, cancellare, inghiottire nel nulla mentre si esalta la resistenza degli stupratori in lotta contro l’oppressore sionista. Hanno fatto un corteo contro il femminicidio, ma sul femminicidio di massa del 7 ottobre nemmeno una parola, nemmeno un accenno, nemmeno un fiato e anzi a Firenze hanno cacciato con la forza dal corteo una ragazza che voleva ricordare quella strage di donne. C’è chi si stupisce, ma non c’è da stupirsi: loro stanno dalla parte degli jihadisti, e chi se ne importa delle donne ebree. Da loro neanche una parola, un accenno, un fiato persino sulle donne afghane che i talebani di nuovo al potere hanno nuovamente segregato, picchiandole, impedendo di studiare alle ragazze e alle bambine, imponendo alle donne oppresse con una crudeltà indicibile di indossare il burka dell’umiliazione e con la minaccia della fustigazione pubblica se solo osassero uscire di casa senza un maschio barbuto al comando. Non una parola, un alito, un accenno anche di sfuggita sulle donne iraniane che si fanno ammazzare sulle strade di Teheran per rivendicare il diritto di non seppellirsi nel buio del velo obbligatorio e insomma per il diritto di essere libere. Sì, il taglio di una ciocca di capelli ogni tanto da modelle e attrici non si nega a nessuno. Ma quando si scopre che Nika Shakarami, una ragazzina sedicenne nell’Iran degli ayatollah, è stata violentata dagli energumeni della “polizia morale” prima di essere assassinata nel mattatoio allestito dal regime è come se la notizia non esistesse. E nemmeno un pensiero, non uno di meno, di sapere come vengono trattate le donne dai tagliagole di Gaza, senza il barlume di una libertà, di una dignità pubblicamente riconosciuta, come accade invece nelle fetenti terre dell’“entità sionista”. Ma non c’è verso, non si fanno convincere. Sbadigliano. Eludono. Fanno finta di niente. Proponiamo una manifestazione di “Non una di meno” davanti all’ambasciata iraniana? Ma non esiste proprio, come si dice a Roma con la solita indolenza cinica e un po’ stracciona: quella non è nemmeno la “cultura patriarcale” che opprime le donne dell’occidente. Anzi, la notte in cui l’Iran ha attaccato Israele con missili e droni, da quelle parti non una di più ha evitato di tifare per i bombardieri di Teheran. E continueranno, eccome se continueranno.

6) Lo slogan più trucibaldo

Quello gridato dagli accampati di Harvard, un tempio della cultura e del sapere oggi diventato covo di nefandezze antisemite, e che recita così, testuale: “Goodbye Nazis, go back to Poland”. Gli ebrei che devono tornare in Polonia, cacciati dalla Palestina. Che accadde agli ebrei in Polonia? Chiedere dettagli ai professori universitari del Boycott Israele.

  

    

7) Profumo coloniale

Quelli che dicono che il sionismo è stato un progetto infame di infami e ricchi colonialisti venuti in Palestina per opprimere con le loro potenti armi e i loro imbattibili eserciti i palestinesi. A loro si potrebbe dedicare una citazione tratta da “Una storia di amore e di tenebra” di Amos Oz, alle pagine 160-161 dell’edizione italiana Feltrinelli, per la traduzione di Elena Loewenthal: a Gerusalemme, nel 1934, “nei cortili sorsero magazzini, piccoli capanni, tetti di lamiera, baracche montate alla bell’e meglio con assi ricavate dai bauli in cui i residenti avevano trasportato le proprie cose, come in virtù dell’ambizione di ricreare in questo posto copia perfetta dei borghi d’origine, in Polonia e Ucraina, in Ungheria e Lituania. (…) E intanto a Kerem Abraham abitavano piccoli impiegati dell’Agenzia ebraica, insegnanti, infermiere, scrittori, autisti, segretari, rivoluzionari, traduttori, commessi, pensatori, scribacchini, cassieri di banca o di cinema, ideologi, modesti negozianti, anziani soli che tiravano avanti con i loro risparmi in miniatura”. Colonialisti furiosi, davvero. Privilegiati come le infermiere e gli scribacchini che erano scappati dai pogrom: “Tutti cercavano di credere che i tempi brutti sarebbero passati, che lo stato ebraico sarebbe sorto quanto prima e tutto sarebbe cambiato in meglio: già, la misura delle disgrazie era ormai colma”. Disgrazie colonialiste. Pogrom antiebraici colonialisti.

  

8) Il fantasma dell’illibertà

Dovunque nel mondo c’è una tirannia, una qualunque forma di illibertà, lì senza alcun dubbio troverai Mein Kampus (copyright Giuliano Ferrara). E’ una legge inderogabile, che non conosce eccezioni. Se c’è da protestare per qualche dissidente cinese sparito nelle segrete di Pechino, lì certamente non troverai nessuno dei chiassosi collettivi. Se si è sgomenti per la sorte della popolazione musulmana degli Uiguri in Cina, questo sentimento non sarà condiviso da nessuno dei musulmani jhadisti che tanto attraggono il Movimento. Così attenti a quel che accade a Gaza, eppure non muoveranno mai un dito, men che meno alzeranno le loro possenti voci, per deplorare i bombardamenti dell’amico Putin su un ospedale pediatrico di Mariupol, per la strage di Bucha, per le pizzerie di Kramatorsk distrutte dai missili con tutti i civili bruciati dai potenti denazificatori di Mosca, per i condomini colpiti a Kyiv durante la notte per fare quanti più morti possibili, per il terrore sparso sulla cittadinanza di Odessa. Per la sorte di Navalny, poi, il silenzio è assoluto, senza increspature, ghiacciato come la Siberia in cui Putin aveva spedito il più famoso dei dissidenti. Non fanno rumore i dissidenti avvelenati, il ricordo di Grozny rasa al suolo, le migliaia di bambini ammazzati ad Aleppo e nel resto della Siria dal duo di tagliagole formato da Assad e Putin. Niente, sempre amici. E neanche un brivido solidale con i ragazzi di Tbilisi che portano le bandiere della Georgia e dell’Europa mentre i filo-russi vorrebbero bastonarli bestialmente come “agenti” di “influenze straniere”, cioè con la testa e con il cuore rivolto all’odiato occidente scomunicato dal Patriarca Kirill, la vera guida spirituale dei movimenti oscurantisti che si agitano nelle piazze e nelle università del mondo democratico. Lì il principio di autodeterminazione dei popoli non viene nemmeno menzionato. Quei coetanei della Georgia vogliono la libertà? Ma i seguaci dell’illibertà non hanno nulla da spartire con loro.

  

     

9) Cattivi maestrini

E poi ci sono gli insegnanti, i docenti, i professori, frutto dello sfascio della scuola, in tutta evidenza. Anche Jonathan Lethem, oltre a essere uno scrittore, è un professore. Non è figlio dello sfascio della scuola italiana, ma la superficialità del corpo insegnante oramai senza argini non conosce confine, barriera, frontiera, lingua. E Lethem questo insegna ai suoi allievi a proposito di Israele e antisemitismo: “Si tratta di combattere un governo sanguinario e corrotto. E’ una coerente e persistente critica rivolta allo Stato di Israele e alla sua politica di apartheid”. Ecco la parola chiave che unisce tutti i cattivi maestrini: apartheid. Anche gli insegnanti italiani, firmando il manifesto per il boicottaggio di Israele, fanno ricorso a quella parola: apartheid. Hanno scritto che i palestinesi combattono non contro il governo di Israele, ma contro 75 anni di oppressione, cioè contro lo Stato di Israele in quanto tale, secondo una risoluzione dell’Onu in cui si stabiliva il principio del “due popoli, due stati” (“due stati democratici”, specificava con la sua consueta pignoleria sanamente iper-liberale Marco Pannella). Poi in un altro manifesto è venuta fuori la cifra di 70 anni, che è una cifra un po’ casuale, tanto per dire un numero, tanto per sparacchiare una data così per dire, visto che non si ricorda negli annali della storia qualcosa di totalmente decisivo avvenuto nel 1954. Ma i professori italiani anti Israele e filo Intifada non arretrano di un millimetro: apartheid deve essere e apartheid sarà. E i parlamentari arabi alla Knesset? Non contano: apartheid. E la nuova Rettrice araba dell’Università di Haifa Mona Maroun? Non conta: apartheid. E il partito Raàm, arabo-israeliano, che nel 2021 aveva un suo esponente nel governo, addirittura viceministro degli Interni? Non conta: apartheid. E le donne arabe israeliano stuprate il 7 ottobre? Non conta: apartheid. Non contano i dati di fatto, le circostanze, l’inverosimiglianza di un popolo segregato che pure esprime un ministro del governo. Conta solo il mantra, la formuletta narcotizzante da ripetere all’infinito senza interlocuzione, senza confronto, senza amore per la cultura e per la storia. Come nel caso dell’insegnante di Torino, che dopo aver declamato una lezioncina contro l’orrore di Israele che opprime da sempre i palestinesi, ha preteso dai suoi sfortunati studenti un temino sull’argomento: con quale libertà per i poveretti costretti a ripetere le fesserie dell’insegnante per non essere bocciati è facile immaginare.

  

10) Intifada (anti)gay

Ecco il risultato di una ricerca indipendente pubblicata in Italia da Fanpage: “A Gaza essere omosessuale è un reato punibile con la morte. E’ infatti in vigore l’ordinanza del codice penale inglese del 1936, che criminalizza i rapporti omosessuali tra uomini adulti anche se consenzienti”. E ancora, e soprattutto: “Nel 2016, il braccio armato del gruppo militante palestinese Hamas ha giustiziato Mahmoud Ishtiwi, uno dei principali comandanti del gruppo, con l’accusa di sesso gay e furto. Molti palestinesi Lgbtq+ hanno cercato rifugio in Israele. Secondo l’avvocato Shaul Gannon, dell’organizzazione Lgbtq+ israeliana The Aguda – Israel’s LGBT Task Force- circa 2.000 omosessuali palestinesi vivono a Tel Aviv. Secondo Pew Research, il 93 per cento della popolazione palestinese è completamente contraria all’omosessualità, una percentuale tra le più alte al mondo. La Palestina è stata anche nominata da Forbes come uno dei paesi peggiori al mondo per i viaggiatori Lgbtq+”. Ma niente, la sorte degli omosessuali scaraventati dalle finestre nel regime dispotico di Hamas a Gaza non è in cima alle preoccupazioni delle truppe che nelle metropoli occidentali sventolano le bandiere dell’orgoglio gay insieme a quella dei predoni asserragliati nei tunnel di Gaza. Se avessero voglia di leggere (ma ne dubito) e avessero il coraggio di affrontare una storia che scardina tutte lo loro certezze, i gay occidentali che senza pudore e senza dignità buttano nella spazzatura i gay palestinesi trucidati potrebbero chinarsi sulle pagine del romanzo di Cinzia Leone, “Vieni tu giorno nella notte”, per comprendere il dramma, la tragedia degli omosessuali della Palestina perseguitati dal regime, ripudiati dalle loro famiglie, costretti a fuggire in Israele dove, tra le mille contraddizioni di qualunque società in bilico tra tradizione e modernità, si è tuttavia liberi di amare. O ricordare la storia di Ishtiwi, già dirigente di Hamas, scoperto come omosessuale nel 2016, malmenato e poi torturato, che scrisse in ceppi: “Mi hanno quasi ucciso”. Ma forse, diranno gli acuti protagonisti delle piazze d’Occidente, era una spia sionista che si è inventato tutto.

Però…

Poi ci sarebbe la categoria dei coraggiosi, e che non avrebbero nessun interesse, per mestiere e vocazione, a mettersi contro l’ondata mainstream post 7 ottobre. Uno per tutti: Vasco Rossi, che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto: “’Free Palestine’ è un bello slogan, ma se implica la distruzione dello Stato di Israele, allora sarebbe più onesto dirlo. E alla distruzione di Israele io mi ribello. Leggo cose superficiali, in cui non mi riconosco. Mi hanno dato del sionista, ma io non so neppure cosa voglia dire. So che se mettessi il like a ‘Palestina libera’ mi amerebbero tutti; ma io non sono fatto così”. Menomale, grande Vasco.  

Leopardi e la fisica del suo tempo

In Giacomo Leopardi adolescente l’eco delle principali questioni fisiche e matematiche dibattute dai grandi della scienza a lui contemporanei.
Giacomo Leopardi (1798- 1837)
L’articolo di Matmedia “Leopardi fisico e matematico” propone una riflessione sulla formazione scientifica di Giacomo Leopardi,  formazione che avrà un ruolo fondamentale nel suo pensiero filosofico e influenzerà la sua poetica.
Le prime opere adolescenziali denotano grande erudizione ma anche capacità di sintesi e senso critico nelle argomentazioni. Ricordiamo, in proposito, le Dissertazioni filosofiche, comprendenti anche dieci  argomenti di fisica, scritte tra il 1811 e il 1812 ossia all’età di 13 e 14 anni  e la Storia dell’astronomia, scritta un anno più tardi.
Il suo talento precoce era favorito e  stimolato culturalmente dal padre Monaldo, molto esigente  riguardo all’istruzione dei figli e, nonostante le sue idee conservatrici, sempre pronto ad aggiornare  la sua biblioteca accogliendo le  novità in campo scientifico e filosofico
Giacomo e i suoi fratelli potevano  disporre, inoltre, di un piccolo laboratorio per gli esperimenti scientifici. “Studio matto e disperatissimo” da parte dell’adolescente,  ma anche  interesse per la conoscenza del mondo fisico, della Natura, del Cosmo  e grande fascino esercitato su di lui dai grandi scienziati  quali Copernico, Keplero, Galileo  e, soprattutto, Newton.
L’attenzione ai contributi scientifici  negli scritti  di Leopardi, da parte dei critici o interpreti, risale alla seconda metà  del secolo scorso.
Alcune intuizioni da parte di  Italo Calvino nelle “Lezioni americane” e i continui riferimenti alle “Operette morali” nelle sue “Cosmicomiche”, mettono in luce la consapevolezza scientifica che sta alla base di alcune immagini o riflessioni leopardiane, solitamente analizzate dal punto di vista stilistico o nel loro significato filosofico,
Walter Binni, uno dei maggiori studiosi della poetica e del pensiero di Giacomo Leopardi, ne suggerisce un “habitus  mentale” di derivazione scientifica  affermando che: «L’illuminismo fu non solo fornitore a Leopardi di materiali e stimoli filosofici e morali, ma scuola di coraggio della verità, di bisogno di estrema chiarificazione, di lucidità ad ogni costo sulla via del suo attivo pessimismo».
In  occasione della celebrazione del bicentenario della nascita del poeta  (nel 1998) e, qualche decennio più tardi, nel bicentenario  dell’infinito (nel 2019) si assiste sia  a una riscoperta e una valorizzazione dei saggi  di carattere scientifico del giovane Leopardi, sia a una rilettura in chiave moderna delle opere della sua maturità.
Secondo Pietro Greco, giornalista e divulgatore scientifico scomparso due anni fa,
«…L’evoluzione del rapporto tra Leopardi e la scienza si muove con velocità differenziali e direzioni diverse lungo almeno quattro direttrici, certo interconnesse, ma abbastanza autonome da poter essere individuate con una certa precisione…» (Città della scienza /centro studi/Leopardi-e-la-scienza-16 agosto 2016)
Le quattro direttrici di cui parla Greco possono essere ricondotte facilmente ad alcune tematiche di indubbia attualità:

Valore sociale della scienza
Esaltazione della ragione e del rigore scientifico per spiegare i fenomeni
Ricerca del “ senso del mondo”, percezione della complessità del reale
Sfiducia nel meccanicismo e rifiuto del riduzionismo intrinseco nella scienza

Nel saggio “L’infinita scienza di Leopardi”( 2019), gli autori (Giuseppe Mussardo , professore ordinario di Fisica Teorica alla SISSA di Trieste e Gaspare Polizzi, storico della filosofia e della scienza del Centro nazionale studi leopardiani) concentrano le loro riflessioni su tre temi fondamentali :

Leopardi e il cielo
Leopardi e la materia
Leopardi e l’infinito

ricollegabili facilmente agli studi di astronomia, chimica e fisica.
A  questo punto è opportuno osservare che, se è decisamente interessante  affrontare la poetica e il pensiero di Leopardi alla luce della sua formazione scientifica, altrettanto stimolante  potrebbe essere cogliere nelle opere di  Giacomo adolescente l’eco dei principali dibattiti degli scienziati a lui contemporanei e  pensare a un approccio  originale alla storia della fisica e della chimica.
A  partire dalle curiosità e dai  commenti di un giovane studente  meticoloso e tenace, brillante e desideroso di apprendere, possiamo riflettere sul  panorama scientifico  degli anni di passaggio dal XVIII a XIX secolo e su come venissero  affrontati alcuni temi significativi.
Senza aver la pretesa di una trattazione esaustiva, proponiamo due tematiche  abbastanza ampie  che saranno in seguito approfondite, con spirito specialistico, dagli scienziati  XIX secolo:

la struttura della materia e le sue proprietà
la questione copernicana

La struttura della materia e le sue proprietà
Da: Casa Leopardi, Giacomo e la Scienza, 1996
Dalla lettura delle 10 disertazioni di argomento scientifico 

Dissertazione sopra l’attrazione
Dissertazione sopra la gravità
Dissertazione sopra l’urto dei corpi
Dissertazione sopra l’estensione
Dissertazione sopra l’idrodinamica
Dissertazione sopra i fluidi elastici
Dissertazione sopra la luce
Dissertazione sopra l’astronomia
Dissertazione sopra l’elettricismo

emerge il modello di realtà che  Giacomo si era costruito e il quadro concettuale unitario entro cui articola  le spiegazioni dei fenomeni naturali.
Si tratta di esercitazioni scolastiche preparate per il saggio annuale con cui  Monaldo Leopardi era solito far concludere gli  studi dei tre figli, Giacomo, Carlo e Paolina.
Il tono è esplicativo, le argomentazioni puntano sulla citazione di fonti autorevoli o sull’evidenza sperimentale.
La fiducia nella forza della Ragione, la fedeltà  al modello  meccanicistico della realtà, il “culto” della figura di Newton, contrastano, agli occhi del lettore moderno, con alcune convinzioni che sarebbero state a breve superate dalle nuove scoperte e dai  mutamenti di carattere metodologico e filosofico che avrebbero caratterizzano il  secolo XIX . Eppure ci sentiamo trascinati dall’entusiasmo del giovane  conferenziere e seguiamo le sue dissertazioni e i suoi ragionamenti, riscontrando con piacere  alcuni sprazzi di modernità.
Del resto, anche tra gli scienziati dell’inizio del secolo si poteva riscontrare un certo disorientamento di fronte alla molteplicità e alla complessità dei risultati ottenuti, in particolare, in elettrochimica,  in elettromagnetismo e in ottica . Spesso  si cercava una spiegazione riconducibile ai vecchi modelli e, anche se venivano enunciate nuove leggi,  non si arrivava a ideare una teoria ampia e dal potere unificante . Solo nella seconda metà del secolo si avrà la sistemazione della termodinamica e l’elaborazione della teoria dei campi. Per una teoria atomica, nell’ambito della fisica classica, si dovrà aspettare il XX secolo.
Nella Dissertazione sull’estensione si legge:
«…Viene altresì annoverata tra le proprietà dei corpi appartenenti alla loro estensione la Divisibilità. Ciascun corpo è formato di particelle, e di molecole unite insieme per mezzo dell’affinità d’aggregazione, di cui sono dotate. Essi sono dunque divisibili, cioè le particelle possono essere slegate, e scomposte, le quali particelle essendo formate di altre molecole ancor più sottili possono anch’esse per conseguenza esser divise. Infatti, noi non possiamo immaginarci un corpo sebben minimo, nel quale non supponiamo due metà, e per conseguenza può senza dubbio affermarsi esser la materia divisibile in infinito numero di parti infinitamente picciole. Deve avvertirsi, che noi non intendiamo di dire che un corpo sia divisibile in infinito fisicamente, ma soltanto geometricamente, e per mezzo de’ voli astratti dell’umana immaginazione».
«Moltissimi sono quegli esperimenti, con i quali vollero i Fisici dimostrare la Divisibilità dei corpi in modo evidentissimo. Tra questi ell’è utilissima l’osservazione riportata dal celebre Poli circa i raggi della luce, poiché “quantunque, com’egli si esprime, siffatti lumi non decidano se il campo assegnato alla rapportata Divisione si estenda all’infinito, nulladimeno ci mostrano ad evidenza, che la materia è capace di esser divisa in un numero di parti così immenso, che giugne fino a stancare la più vivace immaginazione….
Se in una notte serena, segue il mentovato Scrittore, pongasi a cielo aperto una candela accesa, diffonderà questa tanta luce, che si potrà agevolmente scorgere fino alla distanza di due miglia ossìa di 10 mila piedi tutt’all’intorno. È noto presso de’ Matematici, che uno spazio sferico, che abbia il semidiametro di 10 mila piedi in se contiene 4. bilioni 190 mila 40 e più milioni di piedi cubici. … »
Compare poi in una nota la seguente precisazione
(1) I principj della moderna Chimica dimostrano che la luce, e la fiamma non si sviluppano dal corpo che brucia ma bensì dall’aria vitale allorché l’ossigeno passa nel combustibile insieme con il calorico, e con la luce, con cui era unito, e che abbandonando l’aria vitale, si svolgono, e formano il fuoco.
L’esempio è tratto   da un testo famoso e apprezzato, gli  Elementi di fisica sperimentale (1798) di Giuseppe Saverio Poli e Vincenzo Dandolo, aggiornato sugli ultimi risultati di Lavoisier ma legato inevitabilmente ai modelli  settecenteschi del fluido calorico e dei corpuscoli che stanno a fondamento dei fenomeni luminosi.
Il  concetto di affinità tra le molecole è affrontato in modo generico, come si evince anche dalle dissertazioni sull’attrazione e sulla gravità.
In particolare, vogliamo soffermarci su alcune affermazioni del giovane saggista  riguardo l’interazione gravitazionale, accomunata disinvoltamente ad altre  forze di natura attrattiva, come le forze di adesione o di coesione molecolare.
Affermazioni quali:«…non ha solamente luogo  tra i corpi celesti, considerati l’uno relativamente all’altro. Questa forza agisce altresì in tutte le parti della materia. I liquori si alzano nei tubi capillari al di sopra del loro livello a causa dell’attrazione del tubo….»   non sono, come potrebbe  sembrare,   frutto di un ingenuo fraintendimento da parte del giovane studioso, bensì rispecchiano la convinzione, in quel tempo abbastanza diffusa negli ambienti scientifici, che l’attrazione fosse una proprietà della materia e che si manifestasse, oltre che nella gravitazione,  in molti altri  fenomeni di interazione fra corpi  solidi o fluidi o anche tra corpuscoli dotati di massa.
Interessante è il confronto tra le  dissertazioni di Giacomo  e alcuni  brani tratti dalla Storia dell’astronomia dell’astronomo  Jean-Silvain Bailly ridotta in compendio da  Francesco Milizia ( 1791), uno dei testi  su cui Giacomo aveva studiato.
L’autore sembra abbastanza deciso nell’identificare le forze  di attrazione tra molecole e l’attrazione gravitazionale
«Le affinità chimiche, le dissoluzioni, le precipitazioni, le coagulazioni non sono che attrazioni. Queste molecole esercitano a piccole distanze proporzionalmente alle loro masse un’attrazione simile a quella che i globi celesti esercitano negli spazi dell’Universo a distanze enormi…».
«La causa della coesione è l’attrazione o sia la gravità; e siccome la coesione è più o meno in tutti i corpi, Newton con ragione ha conchiuso che la gravità è universale in tutte le parti della materia»
Ribadisce la spiegazione «gravitazionale» che  Newton fornisce per il fenomeno della rifrazione della luce:
«La luce s’inflette passando presso i corpi per l’attrazione che prova e la devia. Passando da un mezzo ad un altro più denso si refrange, va più veloce poiché vi è più attratta»
L’autorità del paradigma newtoniano è ancora molto solido negli ambienti scientifici del primo ‘800.
Sviluppatosi principalmente come empirismo in Inghilterra e come razionalismo in Francia.  aveva alimentato la convinzione che il modello meccanicistico fosse in grado di descrivere e studiare tutti i fenomeni naturali.
La legge di gravitazione universale, in particolare, con il suo potere unificante,  resta il modello da seguire, almeno per analogia,  nell’interpretare  fenomeni in cui intervengono mutue forze attrattive tra  corpi, dipendenti dalla loro distanza.
Come si può osservare nelle affermazioni di Bailly, l’indiscussa  autorità degli scritti newtoniani poteva arrivare a far interpretare in modo acritico, e in parte errato, il suo pensiero.
Newton è molto più cauto nell’estendere la legge di gravitazione universale  al di fuori della meccanica, anche se, in effetti, per  quanto riguarda l’ottica, pensava che la  rifrazione potesse essere  ricondotta ad un fenomeno di attrazione tra masse,  avvalorando  la sua ipotesi corpuscolare sulla natura della luce.
Se  avesse avuto l’opportunità di anticipare i risultati ottenuti nel 1850 da  Fizeau e Foucault  relativamente alla  velocità della luce, avrebbe osservato che questa è maggiore nel vuoto che non  in un mezzo materiale e sarebbe giunto ad altre conclusioni.
Il pensiero di Laplace  (Exposition du système du monde-1823)  appare invece molto più lucido e più vicino  alla posizione newtoniana ( Hypotheses non fingo)
«L’attrazione sparisce tra i corpi di una grandezza poco considerevole: essa riappare nei loro elementi sotto un’infinità di forme. La solidità, la cristallizzazione, la rifrazione della luce, il sollevamento e l’abbassamento dei liquidi negli spazi capillari, e in generale tutte le combinazioni  chimiche sono il risultato di forze la cui conoscenza è uno dei principali obiettivi dello studio della natura. Così la materia è soggetta all’impero di diverse forze attrattive: una di esse, estendendosi indefinitamente nello spazio, regge i movimenti della terra e dei corpi celesti; tutto ciò che riguarda la costituzione intima delle sostanze che li compongono dipende principalmente dalle altre forze la cui azione è sensibile solo a distanze impercettibili. E’ quasi impossibile, per questa ragione, conoscere le leggi della loro variazione con la distanza; fortunatamente, la proprietà di essere sensibili soltanto assai vicino al contatto basta per sottomettere all’Analisi un gran numero di fenomeni interessanti che ne dipendono».
L’opera di Laplace è del 1823.
L’invenzione della  pila di Volta aveva  indicato nuove vie di ricerca sull’elettricità. Nel 1808  il chimico inglese  sir Humpry Davy aveva ottenuto i primi risultati di dissociazione elettrolitica .
La comunità scientifica francese era  fortemente influenzata dal programma laplaciano, tendente a spiegare i fenomeni fisici a partire dalle proprietà di fluidi imponderabili (fluido elettrico vetroso o resinoso, fluido magnetico australe o boreale, calorico ecc. ecc.)  le cui particelle ultime  interagivano a distanza, tramite forze di tipo newtoniano.
La formalizzazione  poteva avvenire nell’ambito dell’apparato matematico che già aveva  segnato l’indiscusso progresso della meccanica e dell’astronomia.
Le esperienze di Cavendish e di Coulomb, mediante la bilancia di torsione, avevano dimostrato, già alla fine del ‘700,  l’analogia tra le leggi che descrivono le interazioni gravitazionali, elettrostatiche e magnetiche.
L’interazione corrente-magnete scoperta da  Oersted  nel 1820 sembrava invece difficilmente riconducibile allo schema newtoniano e questo  aveva costituito una vera e propria sfida  tra gli scienziati francesi, di cui sono noti gli importanti risultati,  sia sperimentali sia nella formalizzazione matematica ( esperienza di Arago, leggi di Ampère, di Biot-Savart e dello stesso Laplace).
Ormai è ben nota la differenza tra le varie forze di interazione conosciute, sia per quanto riguarda la natura delle particelle interagenti, sia  dal punto di vista dell’intensità delle forze.
Qualsiasi studente liceale sa, per esempio , che  l’attrazione  gravitazionale tra un protone e un elettrone è molto più  debole , di circa 40 ordini di grandezza, dell’interazione elettrostatica, la quale svolge , pertanto, un ruolo essenziale  nella struttura microscopica della materia.
Agli inizi del secolo  XIX,  invece ,  in assenza di opportune  valutazioni quantitative e  di conoscenze adeguate sulla struttura della materia, le interazioni tra particelle dotate di massa venivano assimilate alle interazioni  gravitazionali.
Va precisato, in proposito, che, sebbene  comunemente si attribuisca a Cavendish la determinazione della costante  di gravitazione  universale, la formulazione  moderna della legge  di  Newton è entrata nella letteratura scientifica solo  nelle seconda metà secolo.
I risultati del  noto esperimento di Cavendish furono formulati, invece, in funzione del valore della densità media  della Terra, ovvero del valore della sua massa, dedotto dal  rapporto delle forze esercitate, rispettivamente, dalla Terra e dalla massa “grande” utilizzata nell’esperimento, su una stessa massa, la massa  “piccola”  posta a distanza  da essa.
Ricordiamo, infine l’approccio innovativo da parte  di Faraday, che, rifiutando il modello delle particelle di fluido interagenti a distanza, spostò l’attenzione sulle proprietà dello spazio, sede dei fenomeni elettromagnetici, il quale  diventa «campo di forze». Le sue  proprietà sono descritte  dalle linee di forza o linee di campo, secondo  un modello che sarà poi formalizzato, dal punto di vista matematico, nella sintesi maxwelliana.
Ovviamente non possiamo aspettarci che, nella dissertazione sull’elettricismo, il giovane Giacomo possa conoscere o immaginare l’importanza che i fenomeni elettrici avrebbero acquistato  in campo scientifico, tecnologico e industriale.
La dissertazione spazia pertanto nel campo meteorologico ( pioggia, fulmine, terremoto, tromba d’aria ecc. ecc.) .
Le spiegazioni dei fenomeni  mostrano i limiti del modello del fluido elettrico che non riesce a suggerirne in modo esauriente l’origine e la natura, anche se  fornisce alcune indicazioni per  difendersi da  eventuali effetti dannosi.
La conclusione sembra un tentativo di dare maggiore dignità all’argomento:
«Tutto ciò, che abbiam detto contiene in brevi parole l’intera Teoria dell’elettricità. Non possiamo al certo bastantemente encomiare quei Fisici, i quali impiegar seppero i loro lumi nel discuoprire la cagione, e l’origine di sì spaventosi fenomeni per poi dar campo alle ricerche intorno al modo di preservarsi da loro terribili effetti. Non si scorgerebbe certamente nelle Fisiche dottrine un sì gran numero d’inutili questioni se tutti i Filosofi impiegar sapessero la loro scienza nella ricerca soltanto di quelle cose, che ridondar possono in qualche modo a pro del genere umano. > >
La consapevolezza della rilevanza del progresso degli studi sui fenomeni elettrici traspare invece in una delle ultime poesie di Leopardi: la “ Palinodia al Marchese Gino Capponi” (1835).
Le moderne applicazioni dell’’elettricità, citata attraverso gli epigoni Volta e Davy , non riescono a vincere le forze inevitabili dell’egoismo umano.
L’entusiasmo e la fiducia nel valore sociale della Scienza ha lasciato il posto alla delusione e al pessimismo di fronte a una società che insegue il mito del progresso  dimenticando però gli ideali di  verità e di giustizia.
…………..Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante; E co’ fulmini suoi Volta nè DavyLei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo. Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti Il debole, cultor de’ ricchi e servo Il digiuno mendico, in ogni forma Di comun reggimento, o presso o lungi Sien l’eclittica o i poli, eternamente Sarà, se al gener nostro il proprio albergo E la face del dì non vengon meno…… > >
 La questione copernicana
 Ha senso parlare ancora, ai tempi di Leopardi , di una questione copernicana?
Quando il giovanissimo Giacomo affrontava  gli studi di astronomia,  la teoria eliocentrica era già consolidata in ambito scientifico, accettata anche da scienziati cattolici o luterani . La Chiesa cattolica  però, non aveva ancora abrogato il Decreto della Congregazione dell’Indice del 1616, cosa che avvenne  qualche decennio più avanti  con la riabilitazione di tutte le opere di ispirazione copernicana.
In alcuni ambienti cattolici particolarmente intransigenti c’era , pertanto, una certa cautela  nell’insegnare  o propagandare il sistema copernicano come modello della realtà fisica, in accordo con la  prefazione del De revolutionibus orbium coelestium   ( rivelatasi in seguito apocrifa e attribuita al teologo  luterano  Andrea Oslander ) che parlava di “ipotesi matematica”.
Lo stesso Monaldo Leopardi continuò a dichiararsi anticopernicano convinto, fino a sfidare la Chiesa dalle pagine del periodico “La voce della ragione “ , da lui diretto, difendendo, da un lato, le decisioni dell’Inquisizione romana e , dall’altro,  cercando di demolire con argomentazioni di carattere scientifico  le prove sperimentali addotte dai sostenitori del sistema eliocentrico.
Si comprende pertanto  perchè nella Dissertazione sull’Astronomia, uno dei componimenti scolastici presentati nei saggio annuale  di casa Leopardi nel 1812, il giovane Giacomo tesse le lodi del sistema copernicano “il più ammissibile fra tutti i sistemi celesti” ma aggiunge nel finale la seguente riflessione:

L’ambiguità della posizione della Chiesa Cattolica fece scalpore, anche in campo internazionale,  quando, nel 1818 il Maestro del Sacro Palazzo negava al canonico Settele ,docente alla Sapienza di Roma,  l’imprimatur  per il secondo volume del trattato  “Elementi di ottica e astronomia” in quanto fondato sul sistema copernicano.
Il Santo Uffizio fu costretto a intervenire con un apposito  decreto ( nel 1822) e avviare un processo di riabilitazione di tutte le opere  di ispirazione copernicana che si concluse nel 1835, sotto il papato di Gregorio XVI.
Appena un anno dopo la Dissertazione , Giacomo completa la sua  “Storia dell’astronomia”  nella quale  l’adesione al copernicanesimo è  più decisa , tra l’entusiasmo di spirito illuminista per la forza della Ragione e il riconoscimento dell’esistenza di un  Dio «autore e regolatore  dell’ammirevol macchina dell’Universo».
Il  progresso dell’astronomia  si trasforma nello strumento che libera l’uomo dalle  superstizioni e dalle credenze errate e lo conduce alla civiltà e alla vera Sapienza, mentre le implicazioni di carattere  filosofico sembrano restare in secondo piano.
I riferimenti alle dispute intorno alla pluralità dei mondi e all’abitabilità dei corpi extraterrestri dimostrano, comunque,  che Giacomo aveva ben recepito i punti salienti e anche  i nodi di questo secondo aspetto della nuova questione copernicana. Con molta franchezza, infatti,  conclude che sono tutte discussioni inutili e oziose, dalle quali non è possibile «ritrarre il minimo frutto». La controversia infatti non potrà «mai venire alla conclusione», essendo questa «la più insolubile di tutte le questioni».
Il rifiuto  dell’antropocentrismo, un tempo tacciato di eresia, ben si conciliava invece  con lo spirito egualitario degli Illuministi.
Le  intuizioni di Giordano Bruno   sulla pluralità e infinità dei mondi,  giudicate  a suo tempo  inverosimili e diaboliche, avevano acquistato una base di credibilità, almeno a livello di possibilità.
Pur riconoscendone l’infondatezza  sia al livello sperimentale, sia dal punto di vista  speculativo,   queste idee erano patrocinate dai più eminenti astronomi del XVIII secolo, incontrati da  Giacomo nei libri della biblioteca paterna   (Lalande, Bailly, William Herschel) .  La forza dell’analogia, l’inconsistenza di una situazione privilegiata da assegnare alla terra ( unita alla mancanza di nozioni sulla genesi della materia vivente) sembrano punti a favore dell’esistenza di altre forme di vita o di altri sistemi solari simili al nostro .
Non mancavano  poi alcune opere di fantasia come l’ironico Micromega di Voltaire  o di divulgazione scientifica, come I Colloqui sulla pluralità dei mondi ( 1686 ) di Bernard le Bovier de Fontenelle e il poema  dai toni preromantici “ Complaint or night thoughts on life , death and immortality” (1742-45),del poeta ecclesiastico  inglese Edward Young.
Quest’ultimo, di cui Leopardi conosceva probabilmente la traduzione italiana di L.A. Loschi, vede  nella pluralità dei mondi e nell’infinità dell’universo la testimonianza dell’infinita onnipotenza di Dio  Creatore che non può  rimanere limitata nell’angusto  spazio del nostro pianeta.
Copernico continua poi ad essere presente in più punti della produzione leopardiana,  a prova del fatto che le letture giovanili  avevano avviato un processo di interiorizzazione,  sfociata poi  nel  pensiero filosofico e  nella sublime arte poetica.
«Una prova di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici, è quello di Copernico che al pensatore rinnova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepita e naturale per l’antico sistema detto Tolemaico; rivela una pluralità di mondi, mostra l’uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione, il moto e il destino della terra, ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l’infinità delle creature che secondo tutte le leggi d’analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno, benchè non ci appariscano, intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l’idea dell’uomo, e la sublima; scuopre nuovi misteri della creazione, del destino della natura, della essenza delle cose, dell’esser nostro, dell’onnipotenza del creatore, dei fini del creato ec. ec. »(Zibaldone, 84, 18209)
«Il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l’uguaglianza dei globi checompongono il sistema solare (uguaglianza non insegnata dalla natura,anzi all’opposto), nel modo che la ragione e la natura insegnavano agliuomini ed a qualunque vivente l’uguaglianza naturale degl’individui diuna medisima specie». (Zibaldone, 975, 22 aprile 1821) (28).E’ noto il divertente dialogo “Copernico” delle Operette morali in cui la rivoluzione  copernicana nasce da una esigenza  del Sole che chiede a Copernico di concedergli il meritato riposo e di  costringere l’oziosa Terra a mettersi in movimento.
Forse  è meno noto questo brano  della storia dell’astronomia di cui il “Copernico” sembra essere lo sviluppo e l’ approfondimento:
«Quell’ardimentoso Prussiano che fe’ man bassa sopra gli epicicli degli antichi e spirato da un nobile estro astronomico, dato di piglio alla terra, cacciolla lungi dal centro dell’Universo ingiustamente usurpato, e a punirla del suo ozio, nel quale avea marcito, le addossò una gran parte di quei moti, che venivano attribuiti ai corpi celesti, che ci sono d’intorno».
I notissimi versi del “Canto notturno di un pastore errante” composto  tra il 1829 e il 1830 , ci hanno tante volte coinvolto nelle domande senza risposta sul destino e sull’identità dell’uomo
E quando miro in cielo arder le stelle;Dico fra me pensando:A che tante facelle ?Che fa l’aria infinita, e quel profondoInfinito seren ? che vuol dir questaSolitudine immensa ? ed io che sono ?
Quanti di noi le hanno confrontate con le parole di sir John Herschel  (1792 –1871) (matematico e astronomo figlio di William)?
«A quale scopo, scrive dobbiamo supporre che le stelle siano state disperse nell’immensità dello spazio? Non sarà stato senza dubbio per illuminare le nostre notti, oggetto che potrebbe meglio svolgere una luna piu di quanto non farebbe la millesima parte della nostra, né per brillare come uno spettacolo vuoto di senso e di realtà e ci perdiamo in vane congetture. Questi astri sono, è vero, utili all’uomo come punti permanenti ai quali può rapportare tutto con esattezza; ma bisognerebbe aver ricevuto ben poco frutto dallo studio dell’astronomia per poter supporre che   l’uomo sia il solo oggetto delle cure del suo Creatore e per non vedere, nel vasto e sorprendente  apparato che ci circonda, luoghi destinati ad altre razze di esseri viventi».
Un secolo dopo  Hubble enunciava la  legge che confermava  il modello di un universo in espansione, popolato da innumerevoli galassie distinte dalla nostra Via Lattea.
La Terra non è il centro dell’universo, non lo è il Sole, non lo è la Via Lattea.
Nel XX secolo la cosmologia, studio  dell’Universo nella  sua totalità su grandi scale, ormai separata  dall’astronomia, è una scienza osservativa  che non ha abbandonato  i suoi aspetti speculativi.  I tre principi che ne stanno alla base richiamano le antiche dispute dei filosofi  ma  hanno un chiaro significato di ipotesi di lavoro.
Primo assunto è l’isotropia dell’Universo  (principio cosmologico)   complementare all’omogeneità  di tutti i punti di osservazione (principio copernicano).
Si sente la necessità di un terzo principio, il principio antropico:
“I valori osservati delle quantità fisiche o  cosmologiche non sono equiprobabili ma sono  limitati  dal prerequisito che l’universo cui danno luogo, a un certo punto della sua storia, permetta l’esistenza di una forma di vita come la nostra, basata sul carbonio” (principio antropico debole di Barrow-Tipler) .
Nuovi interrogativi attendono una risposta: il nostro universo è il risultato di  un’eccezionale coincidenza cosmica o esistano infiniti universi fisici e noi abitiamo in uno di quelli che sono adatti alla vita?

Laureata in matematica, all’Università “La Sapienza” di Roma  . Vincitrice di concorso a cattedra per la classe matematica e fisica, ha  insegnato a Roma nel liceo scientifico  “Cavour” e ha collaborato con la S.S.I.S del Lazio in qualità di insegnante accogliente per i tirocinanti. In pensione dal 2009, ha partecipato al progetto del MIUR “La prova scritta di Matematica degli esami di Stato nei Licei Scientifici: contenuti e valutazione”  . Collabora alle attività di formazione della Mathesis.

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