Didattica ludica e calcolo mentale, come imparare la matematica con tecniche evidence based

La costruzione di conoscenze, abilità e competenze nei nostri alunni deve passare attraverso un utilizzo consapevole di tecniche evidence based – ossia di metodologie che la ricerca scientifica applicata ai problemi dell’apprendimento ha dimostrato essere valide – alla luce delle acquisizioni della ricerca neuro scientifica che, nell’ultimo ventennio, ha fatto passi da gigante. (VAI AL CORSO Giochiamo con il calcolo mentale) L’insegnante può proporre ai propri allievi e alle proprie allieve esperienze ed attività progettate in modo da corrispondere ai principi che regolano l’apprendimento umano. Ad esempio, come lavorare sulle difficoltà del calcolo …

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La valutazione partecipativa o come apprendimento

La valutazione partecipativa o come apprendimento

di Pietro Boccia

Per quanto concerne la valutazione è da considerare che essa nella storia della scuola ha avuto connotazioni diverse, in base alla visione educativa della società. Sicuramente si è affermata, come modalità di monitoraggio e di controllo, quando lo Stato ha incominciato a erogare istruzione. Storicamente la scuola italiana, nel campo della valutazione, ha attraversato tre fasi, vale a dire: autoritaria e selettiva, democratica ed egualitaria, equa e inclusiva.

La prima (autoritaria e selettiva) è la fase nella quale la valutazione è stata misurazione delle conoscenze attraverso i voti. Il rapporto educativo è stato, in tal caso, un paradigma selettivo, impostato, a livello didattico, sui programmi ministeriali e a livello psicologico sullo stimolo/ risposta (comportamentismo). La seconda (democratica e egualitaria) è la fase che inizia negli anni Sessanta del Novecento e introduce il paradigma dell’uguaglianza delle opportunità educative all’interno della società. Non è più sufficiente valutare le conoscenze ma bisogna anche considerare le abilità, concentrando l’attenzione sugli allievi. A livello didattico ai programmi ministeriali si accompagna la programmazione, elaborata dai docenti sui bisogni degli studenti, e a livello psicopedagogico chi apprende acquisisce centralità e diventa attivo (cognitivismo-attivismo).

In tale fase già si ha la necessità di stabilire che l’apprendimento non può essere misurato con un voto ma deve essere descritto (Art. 4 della Legge n. 517/1977). L’ultima, quella equa e inclusiva, è la fase, nella quale ogni allievo deve essere costruttore della propria conoscenza (psicologia e pedagogia del costruttivismo) per diventare, attraverso l’acquisizione dei contenuti, delle abilità e delle competenze, autonomo e responsabile. A livello didattico, lo Stato, all’avvento del Regolamento dell’autonomia (DPR n. 275/1999 e della riforma costituzionale (Legge n. 3/2001), non può più imporre i programmi ministeriali con la relativa programmazione delle singole istituzioni scolastiche, ma stabilire soltanto i livelli essenziali di prestazione attraverso le Indicazioni nazionali e le Linee guida.

Con la terza fase, la valutazione non può più immaginare di poter misurare solo gli apprendimenti, ma deve anche promuovere l’autovalutazione, facendo acquisire ad ognuno la consapevolezza critica non solo della propria identità, dell’autonomia e delle competenze ma anche della cittadinanza attiva. La valutazione diventa, così, un processo dinamico e circolare, che implica la padronanza consapevole della progettazione educativa e didattica; essa precede, accompagna e segue tutto il percorso dell’acquisizione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze. L’atto valutativo, come processo, esplicita, in maniera permanente, una valenza formativa attraverso l’osservazione, il riconoscimento e la valorizzazione degli apprendimenti acquisiti, a livello formale, non formale e informale.

Il comma 4 dell’art. 2 del DPR. n. 249/1998 stabilisce che lo studente ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico. Lo studente ha, inoltre, diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento. Per tale motivo la valutazione, oltre ad essere diagnostica o iniziale, formativa o per l’apprendimento e sommativa o dell’apprendimento, deve essere partecipativa o come apprendimento, coinvolgendo l’intero gruppo o classe e gli allievi, soggetti a verifica su tutti gli argomenti progettati e svolti nel curricolo, al processo dell’attribuzione della valutazione del docente. Nell’attuare tale metodologia, ho dovuto personalmente constatare l’obiettività nell’attribuire la valutazione sia delle classi, interessate e attente durante la verifica, sia degli allievi coinvolti. Una valutazione, intesa in tal modo, nella sua articolazione:

attiva le azioni di progettazione da intraprendere per perseguire gli obiettivi di apprendimento e per sviluppare le competenze (valutazione iniziale o diagnostica);

orienta e regola le azioni per permettere di documentare a chi apprende lo sviluppodell’identità personale, concorrendo all’apprendimento permanente e al successo formativo (valutazione in itinere e formativa o per l’apprendimento). “La valutazione – è scritto nella Certificazione delle competenze della Nota ministeriale n. 312/2018 per il primo ciclo ma validissima anche per il secondo ciclo – diventa formativa quando si concentra sul processo e raccoglie un ventaglio di informazioni che, offerte all’allievo, contribuiscono a sviluppare in lui un’azione di autorientamento e di autovalutazione”;

promuove, in base all’art. 1 del D.lgs. n. 62/2017, al DPR n. 122/2009 e all’art. 4 del DPR n. 249/1998, riformato dal DPR n. 235/2007 con l’introduzione all’art. 5 bis del Patto educativo di corresponsabilità, l’autovalutazione, attraverso una valutazione autentica, e, pertanto, la partecipazione attiva di chi apprende, facendo assumere a ciascuno consapevolezza critica in relazione all’acquisizione del successo formativo (valutazione partecipativa o come apprendimento).

Gli allievi, supportati da chi insegna, devono gradualmente assumere, con un approccio metacognitivo, la competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare dell’Unione europea (22 maggio 2018) per valutare con equilibrio gli altri e se stessi (autovalutazione);

– favorisce il bilancio critico sulle azioni operate e condotte a termine per regolare e migliorare l’apprendimento (valutazione sommativa o dell’apprendimento).

La valutazione sommativa o dell’apprendimento, nella sua dinamicità e nella circolarità, è, come processo, la base per un nuovo apprendimento e, quindi, è anch’essa formativa.

La valutazione diventa, in tal modo, un processo, che, nel coinvolgimento di tutti gli attori della comunità scolastica, sicuramente migliora gli apprendimenti e concorre al successo formativo. Il valutare esige, però, saper progettare.

 La progettazione è, oggi, uno strumento indispensabile nelle istituzioni scolastiche. Fino a poco tempo fa nella scuola superiore è mancata totalmente una cultura della progettazione. Alla fine degli anni Ottanta del Novecento l’insegnamento, in Italia, ha incominciato a subire un forte cambiamento, passando dalla logica dei programmi ministeriali a quella della progettazione organizzativa, educativa e didattica.

La legislazione scolastica già nel 1974 con i “Decreti delegati” aveva in ogni modo prospettato che:

la progettazione organizzativa deve essere varata, a ogni livello, dagli Organi collegiali,per agevolare il funzionamento delle scuole e per rendere più flessibile e più proficua l’attività d’insegnamento e quella di apprendimento (co. 1);

la progettazione educativa deve anche fissare le finalità e gli obiettivi del processo formativo.

A tal proposito, il d.P.R. n. 416 del 31 maggio 1974, all’art. 4, recita che il Collegio dei docenti deve elaborare e curare la progettazione “dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi d’insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire così il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà d’insegnamento garantita a ciascun insegnante” (co. 2).

La progettazione didattica riguarda, invece, le singole discipline nella loro peculiarità ed è elaborata e varata, per le sue implicazioni interdisciplinari, dal Consiglio di classe (co. 3).

Ogni forma di progettazione dovrebbe rendere protagonisti del processo educativo e formativo non solo gli insegnanti/docenti, ma anche gli allievi e il territorio. Essa dovrebbe, perciò, comportare che ogni insegnante/docente conosca il territorio in cui è inserito e opera l’allievo, sia per comprenderne la situazione delle condizioni di partenza sia per stabilire, da un lato, le finalità e gli obiettivi educativi e formativi e, dall’altro, le necessarie metodologie, i sussidi, le risorse e le disponibilità umane, psicologiche e intellettive; è, in tal modo, che si potrebbero rendere proficui ed efficaci l’insegnamento e l’apprendimento. La progettazione, elaborata e governata dagli Organi collegiali, implica, quindi, continui controlli e verifiche e, con opportune rettifiche, anche eventuali adattamenti. Bisogna, pertanto, scandirla in alcune fasi:

analisi della situazione di partenza;

scelta degli obiettivi di apprendimento per lo sviluppo delle competenze;

scelta e organizzazione delle conoscenze e delle abilità di apprendimento per lo sviluppodelle competenze;

scelta dei metodi per l’acquisizione degli obiettivi di apprendimento per lo sviluppo dellecompetenze;

verifica dei risultati, attribuzione dei punteggi nelle prove, valutazione degli apprendimentie certificazione delle competenze.

 L’analisi della situazione di partenza consiste in un rigoroso accertamento dei prerequisiti (già in possesso o potenziali) degli allievi. Essa, perciò, è la fase che esige un sistematico impegno di organizzazione, di ricerca e di analisi dei dati riguardanti le condizioni e le variabili che concorrono, nella scuola, a individuare e a definire, in modo globale, la situazione educativa. Le condizioni e le variabili che intervengono nella situazione di partenza devono essere analizzate e classificate preliminarmente.

   Il Consiglio di classe e i singoli insegnanti dovrebbero conoscere, per fare una progettazione adeguata, i seguenti elementi:

Il territorio e l’ambiente extrascolastico in cui vive l’allievo.

L’ambiente familiare di ogni allievo, come i livelli di scolarità, la caratterizzazione socialee culturale, gli stili educativi dominanti (autoritarismo, permissivismo, rapporto dialogico) e l’atteggiamento d’interazione scuola-famiglia oppure di non partecipazione e di disinteresse.

L’ambiente educativo e l’organizzazione scolastica, ovvero la scuola dovrebbe diventareun ambiente educativo accogliente e rispondente alle esigenze formative della società attuale (aule adeguate, laboratori, biblioteche, cineteche, videoteche, ludoteche e così via).

Bisognerebbe conoscere anche i prerequisiti cognitivi e socio/affettivi di ogni singolo allievo, affinché si possa impostare una progettazione del curricolo che rispecchi pienamente la situazione. I prerequisiti cognitivi sono rappresentati non solo dalle conoscenze, già in possesso degli allievi (prerequisiti di apprendimento), e dalle abilità comunicative (codici linguistici), ma anche dalle modalità personali di acquisire conoscenze (stili cognitivi).

I prerequisiti socio/affettivi sono, invece, rappresentati sia dai livelli di aspirazione e d’interesse degli allievi nell’apprendimento, che dalla loro capacità di instaurare rapporti di relazione empatica con gli insegnanti e con gli altri elementi della classe. Solo dopo aver analizzato, con la somministrazione dei test d’ingresso, la situazione di partenza dei singoli allievi e dell’intera classe attraverso la valutazione diagnostica, si può, dunque, passare alla seconda fase: scelta degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo delle competenze.

L’impianto del sistema degli istituti professionali è diretto alla promozione di un insieme di competenze descritte nel profilo educativo, culturale e professionale sia generale, sia relativo ai singoli indirizzi. Per quanto riguarda il biennio iniziale, vengono assunte, per la parte comune, le competenze incluse nell’impianto normativo riferibile all’obbligo di istruzione. Tale quadro di riferimento sollecita la progettazione e l’attuazione progressiva di una coerente pratica didattica. A questo fine vengono proposti alcuni criteri di riferimento. Una competenza si manifesta quando uno studente è in grado di affrontare un compito o realizzare un prodotto a lui assegnato, mettendo in gioco le sue risorse personali e quelle, se disponibili, esterne utili o necessarie. Naturalmente la natura del compito o del prodotto caratterizza la tipologia e il livello di competenza che si intende rilevare. Questo può essere più direttamente collegato con uno o più insegnamenti, oppure riferirsi più direttamente a un’attività tecnica e/o professionale. Comunque, esso deve poter sollecitare la valorizzazione delle conoscenze, delle abilità apprese e delle altre caratteristiche personali in maniera non ripetitiva e banale. Il livello di complessità e di novità del compito proposto rispetto alla pratica già consolidata determina poi la qualità e il livello della competenza posseduta.

 La scelta degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo delle competenze è una fase di fondamentale importanza per la progettazione del curricolo. Bisogna individuare con essa, tenendo conto delle indicazioni ministeriali, quali risultati di apprendimento gli allievi dovrebbero, in modo misurabile, raggiungere. Gli obiettivi educativi s’intersecano anche con le finalità formative di un’intera comunità scolastica. Essi rappresentano l’orizzonte e la prospettiva entro cui l’istituzione scolastica intende muoversi e compiere le sue scelte.

 Gli obiettivi didattici rappresentano, invece, la concreta acquisizione di conoscenze, di abilità, di competenze e di comportamenti, che l’allievo, durante il percorso educativo, dovrebbe realizzare e raggiungere nell’ambito dell’area disciplinare. Essi dovrebbero non solo essere permanentemente osservabili e misurabili, ma, in base alla sequenza di apprendimenti, anche immediati, intermedi e terminali. È, così, che tali obiettivi potrebbero assolvere la funzione di orientamento delle scelte programmatiche e di predisposizione a favore di eventuali piani di interventi integrativi e di recupero. Potrebbero anche permettere di progettare i percorsi didattici in modo tale da adeguare a essi non solo contenuti e metodi, ma anche tecniche di verifica e di valutazione.

 L’articolazione dell’insegnamento in conoscenze e abilità deve essere determinata come orientamento per la progettazione didattica del docente in relazione alle scelte compiute nell’ambito della progettazione collegiale del Consiglio di classe. I contenuti, per realizzare gli obiettivi di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, dovrebbero essere scelti e organizzati, tenendo conto dell’analisi della situazione di partenza della scolaresca. Cercare di far acquisire i contenuti di una disciplina, complessivamente più elevati del livello delle capacità di apprendimento della classe, è antieconomico. I risultati, alla fine dell’anno scolastico, non verrebbero, in tal modo, raggiunti e il tempo sarebbe stato vanamente trascorso. Cercare di far apprendere, poi, i contenuti del curricolo che sono al di sotto del livello delle capacità e delle potenzialità della classe è antieducativo.

Negli allievi si abbasserebbe il livello di motivazione allo studio. Il miglior modo per ottenere i risultati positivi e per raggiungere gli obiettivi didattici e educativi programmati, nonché i traguardi per lo sviluppo delle competenze, è, quindi, una scelta intelligente dei contenuti previsti dal curriculum della disciplina. I contenuti dovrebbero essere anche organizzati in una struttura connettiva, altrimenti con molta probabilità sarebbero dimenticati facilmente: una serie sconnessa di fatti e di informazioni ha una breve durata. Tali fatti e informazioni dovrebbero, per rendere più efficace la memorizzazione, essere organizzati in principi e in idee, da cui potrebbero, in un secondo momento, essere ripresi attraverso il processo di deduzione. Tutti gli argomenti del curriculum dovrebbero avere, dunque, una loro coerenza e una loro struttura. È, in tal modo, che si ha un feedback capace di conferire a tutti i contenuti trasparenza e semplicità.

 Scegliere e organizzare i metodi per l’acquisizione degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, nella progettazione per il curricolo, dovrebbe significare una corretta impostazione nel saper individuare un procedimento metodologico; questo dovrebbe soprattutto tener conto, all’interno della classe, della diversità tra gli allievi

Non si può, comunque, tralasciare l’attività della didattica laboratoriale e prescindere dal metodo dell’apprendimento cooperativo. Dire metodo, quindi, vuole significare adeguamento. Tramite un metodo adeguato chi insegna, infatti, potrebbe interpretare correttamente i bisogni di un allievo o di una classe e commisurare, così, all’uno e all’altra i contenuti della disciplina che insegna.

 Siccome gli obiettivi di apprendimento e dei traguardi per lo sviluppo sono osservabili e misurabili, allora le verifiche dei risultati raggiunti in un percorso del curricolo educativo saranno fatte in itinere non solo per certificare le competenze ma anche per colmare eventuali criticità e per modificare, correggere e integrare, quando i risultati non sono adeguati alla progettazione, alcuni interventi didattici. Esse possono essere fatte per accertare gli obiettivi sia con le tradizionali interrogazioni sia con prove oggettive (test).

 La valutazione per l’attribuzione dei punteggi nei test di verifica è una prova pedagogica non solo per orientare ma anche per costruire in itinere la progettazione. Essa, poiché ha una valenza diagnostica e una funzione formativa, è uno degli strumenti fondamentali affinché possano essere messe a disposizione dell’allievo le risorse necessarie, che gli permetteranno di raggiungere pienamente gli obiettivi di apprendimento programmati nel curricolo. La valutazione, perciò, non dovrebbe essere considerata soltanto come un momento della progettazione, ma come un processo, scandito in tappe, che si concluderà, senza alcuna sorpresa per l’alunno, alla fine dell’anno scolastico, con la certificazione delle competenze e con un atto valutativo finale.

 Il docente, così, attraverso le quotidiane verifiche, potrebbe controllare il conseguimento degli obiettivi di apprendimento e intervenire, se necessario, in ogni momento, per recuperare eventuali carenze; anche l’alunno, poi, attraverso l’autovalutazione, potrebbe verificare continuamente il proprio andamento didattico e di apprendimento. Anzi, gli allievi non sarebbero costretti a vivere così la valutazione come un’operazione puramente fiscale, ma come un loro processo formativo. Nel processo valutativo è, infine, significativo, per rendere l’attività educativa qualitativamente migliore, il clima di fiducia nel rapporto interpersonale tra gli insegnanti/docenti e gli allievi. Per l’attribuzione, nelle prove, dei punteggi alle risposte non ci sono regole assolute, ma esistono, tuttavia, alcune indicazioni operative, che possono essere utilizzate.

La verifica e la valutazione del successo formativo (apprendimento formale, non formale e informale) conducono alla certificazione delle competenze e si conseguono con le prove semistrutturate (saggio breve, rapporto di ricerca, riassunto, simulazione di contesto, a domande strutturate, colloquio strutturato, compiti di realtà o autentici, osservazioni sistematiche e biografie cognitive), impiegando rubriche di valutazione.

La prova maggiormente impiegata, per certificare le competenze, è il compito di realtà o autentico; questo prevede che gli allievi costruiscano il loro sapere in modo attivo e in ambienti sia reali sia complessi, dimostrando di possedere autonomamente e responsabilmente una determinata competenza.

Nel percorso che ha come esito finale la certificazione delle competenze, i docenti tengono, come processi, presenti la verifica e la misurazione (calcolare gli errori ed esprimere un voto), la valutazione (esame della prova riepilogativa e conclusiva di uno studio e di una ricerca attiva – giudizio) e la certificazione, che è, invece, come risultato finale del processo, un attestare l’esito di un lungo periodo di osservazioni sistematiche (attestato).

Le competenze sono, perciò, significative (Ausubel parla di apprendimento significativo), persistenti (apprendimento stabile e reimpiegabile) e trasferibili (la conoscenza che non si riesce a convertire in strutture concettuali non è praticamente utilizzabile). L’apprendimento per competenze si attua, inoltre, con una didattica laboratoriale e attiva, in altre parole con un docente che “non faccia lezione”, ma che predisponga le attività di apprendimento.

Verificare i risultati raggiunti, dal momento che gli obiettivi sono osservabili e misurabili, è un atto basilare che viene svolto durante un’attività “in itinere”; deve avvenire con il coinvolgimento attivo, attraverso il lavoro di gruppo e la discussione partecipata, della classe o gruppo classe. Tale atto non solo permette di colmare eventuali lacune, ma anche di cambiare, migliorare e perfezionare, quando i risultati non sono adeguati agli obiettivi dell’attività progettata, alcuni interventi didattici.

Il raggiungimento dei requisiti viene documentato con prove oggettive (test di verifica e così via). Dopo aver corretto i test e stabilito una griglia oggettiva per la correzione, si passa, coinvolgendo gli allievi nella discussione partecipata sulle risposte corrette e su quelle sbagliate, alla valutazione, che viene espressa in decimi. Il valutare è una prova pedagogica, utile non solo per orientare ma anche per riformulare, se è necessario, la progettazione. Esso è un atto, che, poiché ha tanto una valenza diagnostica quanto una funzione formativa, diventa uno degli elementi fondamentali, affinché possano essere messe a disposizione dell’allievo le risorse necessarie, atte a far raggiungere gli obiettivi progettati.

La valutazione non va, perciò, pensata soltanto come un momento della progettazione educativa e didattica, elaborata all’inizio dell’anno, ma anche come un processo “in itinere” (formativo e per l’apprendimento), scandito in tappe, che possa concludersi, senza alcuna sorpresa per gli allievi, alla fine dell’anno scolastico, con un atto valutativo finale (sommativo o dell’apprendimento). Con la verifica e la valutazione, viene accertato e avvalorato il conseguimento degli obiettivi didattici progettati; nello stesso tempo, l’una e l’altra offrono la possibilità d’intervenire, se necessario, in ogni momento delle attività scolastiche, per recuperare eventuali carenze; gli allievi poi, attraverso la valutazione, verificano continuamente il loro andamento didattico e si autovalutano. Anzi, ognuno non sarebbe, in tal modo, costretto a vivere la valutazione come un’operazione solamente fiscale, ma come un processo formativo.

Nel processo della valutazione diventa anche sintomatico, per rendere l’attività educativa qualitativamente migliore, il clima di fiducia, che s’instaura in un rapporto interpersonale tra il docente e il discente. In sintesi, la verifica, la valutazione e la certificazione delle competenze (Legge n. 169/2008, DPR n. 122/2009, D.lgs. n. 62/2017, O.M. n. 172/2020) sono tappe diverse, ma interconnesse. Il certificare le competenze implica saperle valutare; il valutare implica la capacità di verificare adeguatamente gli apprendimenti; la verifica degli apprendimenti implica una corretta e adeguata progettazione.

Il verificare significa, infatti, accertare in che misura sono stati raggiunti gli obiettivi degli apprendimenti progettati. La valutazione è, invece, un processo dinamico, che precede, accompagna e segue tutto il percorso di apprendimento. Essa attiva le azioni da intraprendere (valutazione iniziale o diagnostica), regola le azioni avviate (valutazione formativa o per l’apprendimento), promuove il bilancio critico sulle azioni condotte a termine (valutazione sommativa o dell’apprendimento), fa assumere consapevolezza critica e responsabilità sulle proprie azioni (autovalutazione o valutazione come apprendimento).

La verifica e la valutazione del successo scolastico (apprendimento formale) si realizzano con prove strutturate (Vero/falso, corrispondenza, completamento, a scelta multipla, a risposta multipla, sequenza logica), utilizzando griglie. Bisogna, poi, avvalersi di griglie di osservazione per valutare l’impegno, l’interesse, la partecipazione e la collaborazione. La griglia deve essere perfezionata e aggiornata con un feedback costante dal docente.

Prova strutturata

                                                     Risposta esatta   Astensione      Risposta errata 

         Vero/falso o Sì/No                      + 2                      0                        – 1 

         Risposta strutturata                     + 3                       0                       – 1

         Risposta aperta                 + 5 Risposta sufficiente               – 1 Risposta insufficiente  

Griglia di valutazione, relativa a prove strutturate

La verifica e la valutazione del successo formativo (apprendimento formale, non formale e informale) conducono alla certificazione delle competenze e si conseguono con le prove semistrutturate (saggio breve, rapporto di ricerca, riassunto, simulazione di contesto, a domande strutturate, colloquio strutturato, compiti di realtà o autentici, osservazioni sistematiche e biografie cognitive), impiegando rubriche di valutazione.

La prova maggiormente impiegata, per certificare le competenze, è il compito di realtà o autentico; questo prevede che gli allievi costruiscano il loro sapere in modo attivo e in ambienti sia reali sia complessi, dimostrando di possedere autonomamente e responsabilmente una determinata competenza.

Rubrica di valutazione analitica, relativa alle prove semistrutturate

                           Livello iniziale          Livello base    Livello intermedio  Livello avanzato

         Metodo di studio        1                             2                              2                             3

Correttezza:                         2                             2                             2                             4

Coerenza logica                   1                             2                             3                             3      

RUBRICA di Valutazione sintetica o olistica

I livelli per certificare le competenze, secondo la C.M. n. 3 del 13 febbraio del 2015, sono descritti nel seguente modo:

Iniziale: L’allievo/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in situazioni note.

Base: L’allievo/a svolge compiti semplici anche in situazioni nuove, mostrando di possedere conoscenze e abilità fondamentali e di saper applicare basilari regole e procedure apprese.

Intermedio: L’allievo/a svolge compiti e risolve problemi in situazioni nuove, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità.

Avanzato: L’allievo/a svolge compiti e risolve problemi complessi, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità; propone e sostiene le proprie opinioni e assume in modo responsabile decisioni consapevoli.

La Legge n. 92/2019 e il D.M. n. 35/2020 dispongono che l’insegnamento trasversale dell’Educazione civica (Costituzione, sviluppo sostenibile e cittadinanza digitale) sia oggetto delle valutazioni periodiche e finali previste dal D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 62 per il primo ciclo e dal DPR 22 giugno 2009, n. 122 per il secondo ciclo.

I criteri di valutazione deliberati dal collegio dei docenti per le singole discipline e già inseriti nel PTOF dovranno essere integrati in modo da ricomprendere anche la valutazione dell’insegnamento dell’educazione civica.

Il docente coordinatore dell’insegnamento, in sede di scrutinio formula la proposta di valutazione, espressa ai sensi della normativa vigente, da inserire nel documento di valutazione, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti del gruppo o del Consiglio di classe cui è affidato l’insegnamento dell’educazione civica. Tali elementi conoscitivi sono raccolti dall’intero gruppo e dal Consiglio di classe nella realizzazione di percorsi interdisciplinari.

La valutazione deve essere coerente con le competenze, abilità e conoscenze indicate nella programmazione per l’insegnamento dell’educazione civica e affrontate durante l’attività didattica.

I docenti e il Consiglio di classe possono avvalersi di strumenti condivisi, quali rubriche e griglie di osservazione, che possono essere applicati ai percorsi interdisciplinari, finalizzati a rendere conto del conseguimento da parte degli allievi delle conoscenze, delle abilità e del progressivo sviluppo delle competenze, previste nella sezione del curricolo dedicata all’educazione civica.

I sessant’anni della scuola media

I sessant’anni della scuola media. Storia dei cambiamenti avvenuti negli insegnamenti di matematica e scienze in un’ottica fusionista.
Giacinto Bosco (1905 – 1997)
La legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 istituì la scuola media unica per tutti i preadolescenti italiani.
Dopo la pubblicazione dei programmi per la scuola elementare nel 1955, dominava un marcato ottimismo circa la definizione dell’assetto da dare alla scuola media, problema reso peraltro impellente dal dettato costituzionale sull’obbligo scolastico. Ci fu bisogno però di un ulteriore settennio di maturazione perché fosse varata la più importante legge del sistema scolastico italiano del dopoguerra,  la legge 31 dicembre 1962, n. 1859, che istituisce e ordina la «nuova» Scuola Media:
Art.1. — Fini e durata della scuola
                 In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratui­tamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di primo grado.                La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva.
 Art. 2. — Piano di studi
                 Il piano di studi della scuola media comprende i seguenti insegnamenti obbligatori: religione (con la particolare disci­plina di cui alla legge 5 giugno 1930, n. 824); italiano, storia ed educazione civica, geografia; matematica, osservazioni ed elementi di scienze naturali; lingua straniera; educazione artistica; educazione fisica.Sono inoltre obbligatorie nella prima classe le applicazio­ni tecniche e l’educazione musicale che diventano facoltative nelle classi successive.Nella seconda classe l’insegnamento dell’italiano viene in­tegrato da elementari conoscenze di latino, che consentano di dare all’alunno una prima idea delle affinità e differenze fra le due lingue.Come materia autonoma, l’insegnamento del latino ha ini­zio in terza classe; tale materia è facoltativa.L’alunno che intenda seguire insegnamenti facoltativi può sceglierne uno o più all’inizio di ogni anno scolastico.Per assicurare con la partecipazione attiva di tutti  gli insegnanti la necessaria unità di insegnamento  il Consiglio di Classe si riunisce almeno una volta al mese[1].
I programmi, gli orari e le prove di esame furono stabiliti con D. M. del 24.4.1963 e pubblicati nel supplemento ordinario n. 1 della G.U. n.124 dell’11.5.1963.
La Matematica e le Osservazioni ed elementi di scienze naturali vi figurano come corsi distinti. La matematica ha 3 ore in ciascuna classe del triennio, e prevede agli esami di licenza prove scritte e orali; alle Osservazioni ed  elementi di scienze sono assegnate 2 ore in prima e in seconda classe e 3 ore nella terza, un voto per l’orale e uno per la pratica.
È  successivamente che avviene il “pasticcio”: è il D.P.R. 15.11.1963 n. 2063 che abbina gli insegnamenti istituendo una cattedra di 16 ore d’insegnamento settimanali per ciascun corso.
Non fu una soluzione inventata dalla sera alla mattina, ma v’era stato un lungo dibattito e un’esperienza di sperimentazione avviata già dal 1957 in molte scuole[2]. Se da una parte, però, la scelta fu determinata anche da motivi organizzativi e pratici  (tra l’altro anche la previsione della necessità, di lì a pochi anni, di un numero elevato di docenti), dall’altra si era formato il convincimento, condiviso più dai politici e dai pedagogisti che dai matematici, che fosse necessario a tale livello di età non frantumare troppo gli insegnamenti. Si riconosceva, infatti, che uno dei vantaggi dell’antico ginnasio inferiore, che anche la scuola media di Bottai (1940) aveva ereditato, era costituito dall’insegnante di classe, il quale svolgendo l’intero gruppo letterario (italiano, latino, storia, geografia, a cui poi si era aggiunta l’educazione civica) “dava di fatto unità all’insegnamento, continuando in certo modo l’unicità di insegnante della scuola elementare, ed evitando nella delicata età della preadolescenza la molteplicità di metodi e di impostazione, inevitabilmente congiunta con la molteplicità di insegnanti. Da questo punto di vista… sembra molto opportuno l’abbinamento della matematica con le osservazioni ed elementi di scienze naturali, che tuttavia pare abbia sollevato difficoltà da parte di alcuni insegnanti di queste discipline”[3]
Tullio Viola (1904 – 1985)
Le difficoltà consistevano, è ovvio, nel dover insegnare cose che non si conoscevano e questo valeva sia per i laureati in matematica che per i laureati in scienze.
A farsi portavoce di tali difficoltà fu l’UMI, il cui ufficio di Presidenza espresse voto unanime contro l’abbinamento perché  “non giova né alla serietà né alla efficacia dell’insegnamento ed è lesivo dei diritti degli insegnanti di ruolo di Matematica”. Ma anche la Mathesis,  presidente Tullio Viola[4] (1904-1985, nella foto a lato), provvide ad inviare al Ministro un “Manifesto” con le firme di 637 docenti che giudicavano “l’abbinamento tra le due materie come fatalmente e gravemente dannoso anche dal solo punto di vista della formazione dei giovani allievi dagli 11 ai 14 anni”. Ad eccezione delle osservazioni sul disagio dei professori di matematica i quali, pur in presenza di un minor numero di classi affidate, sono costretti ad insegnare le scienze, le motivazioni addotte contro l’abbinamento  appaiono, però, abbastanza ripetitive, basandosi sulla impreparazione dei docenti ad insegnare ugualmente bene la matematica e le scienze.
Giganteggia, invece, la figura di B. de Finetti che ovviamente è per l’abbinamento: lui è sempre e solo per la “fusione”.
Vorrebbe non solo non separare la persona (un esempio che fa anche, contrariamente a quel che tutti propongono, per il caso dell’insegnante di matematica e fisica) ma neppure le ore d’insegnamento  (e così sarà in seguito). Espone e motiva la sua posizione in modo esauriente, ponendo a fondamento del suo ragionamento l’assioma: «Nessuna disciplina, avulsa dal contesto generale, giustifica la propria esistenza e la fatica imposta a chi deve apprenderla» e arriva finanche ad abbozzare un possibile futuro libro di testo organizzato a mo’ di dizionario enciclopedico.
La sua è un’idea nuova confacente a quel clima culturale, pedagogico e didattico che favorisce l’abbinamento.
È  quel clima che si alimenta dell’opera di Emma Castelnuovo e di altre voci nuove. Ancor prima che l’abbinamento fosse sancito dal D.P.R. del mese di novembre, nella sua “Didattica della Matematica”, la cui prima edizione è del marzo 1963, con riferimento ai “continui ravvicinamenti” dei due corsi, la Castelnuovo scrive:
« Siamo certamente tutti d’accordo nel riconoscere che l’edu­cazione scientifica deve avere per scopo di far passare da una visione fantasiosa, magica, sovrannaturale del mondo che ci cir­conda ad un’obiettiva consapevolezza e ad un sereno giudizio dei fenomeni naturali; deve essere, in breve, una continua asce­sa nell’arte del saper guardare. Ora, mi sembra di poter distin­guere in questa ascesa quattro grandi periodi ai quali dovreb­bero corrispondere quattro tappe nel corso triennale:
I) L’osservazione dei passatempi preferiti dal bambino sui 10-11 anni ci offre l’opportunità di una scoperta pedago­gica; è a quell’età che si acuisce nel bimbo la passione clas­sificatoria: raccolta di figurine, di francobolli, di farfalle, ecc. Il collezionismo è — per usare una felice espressione della Montessori — il “momento sensibile” del periodo intorno ai 10 anni. È dunque proprio a questa età, nel primo anno della scuola media, che dobbiamo interessare i ragazzi alla classificazione degli animali e delle piante.[….] La costruzione di una classificazio­ne ha per scopo di organizzare le idee, di dare un ordine alle forme, al Ci accorgiamo di essere in piena costruzione matematica: è lo stesso processo mentale infatti che ci conduce, ad esem­pio in geometria, alla classificazione delle famiglie dei poligo­ni[….] Il “saper guardare” porta dunque il ragazzo, spontanea­mente, senza ausilio del numero, ma sorretto da un abito ma­tematico, ad una costruzione astratta basata su osservazioni qualitative: il bambino, analizzando il concreto, coglie analogie e diversità, raggruppa cose simili, forma delle classi, costruisce, sintetizza. Si può, per nostra comodità e guida di pensiero, associare questo periodo al nome di Aristotele.
II) Ma una più precisa osservazione esige la Se vogliamo approfondire la nostra indagine sulla natura dovre­mo cominciare a valerci non solo dell’abito matematico ma anche della matematica come strumento: dovremo osservare la natura misurando quello che i sensi e il pensiero ci sug­geriscono. Se avevamo associato il primo periodo al nome di Aristotele, potremo associare questo secondo periodo al nome di Leonardo da Vinci: «L’esperienza sui fenomeni naturali — dice Leonardo — va fatta misurando». Si troveranno rapporti, proporzioni, armonie nella natura, quelle stesse armonie che i Greci avevano trovato nell’arte. Così lo studio della botanica porterà alla scoperta della fillotassi, la zoologia e l’anatomia del corpo umano ci offriranno infiniti spunti e continuo terreno di ricerca. Al giudizio vago e personale si sostituiscono dei dati numerici, universali. Si va dunque avanti nell’arte di saper guardare; prima erano le somiglianze, le diversità, le forme, era il qualitativo, che ci faceva distinguere, discernere, scoprire gli invarianti; ora, in questo secondo periodo, il saper guardare vuol dire affinare i sensi con l’ausilio del numero: è il quantitativo che ci fa scoprire uguaglianze di rapporti, semplici leggi di proporzioni.
III) Ma la sola misura in un certo numero di casi non è spesso sufficiente per scoprire la legge. Dobbiamo arrivare al terzo stadio, al sistema ipotetico-deduttivo di Galilei per poter dare al ragazzo la consapevolezza della potenza dello strumento matematico allo scopo di riuscire a leggere nel «gran libro della natura».
Galileo si rivolge, come Leonardo, all’esperienza, ma non si accontenta di ciò che essa dà spontaneamente. La natura viene provocata, interrogata, idealizzata; si fanno delle ipo­tesi sui fenomeni che si rivelano ai sensi, si deducono da que­ste ipotesi delle conseguenze, si verifica con esperimenti se queste conseguenze sono esatte.
Anche a dei ragazzetti possiamo parlare del problema del­la caduta dei gravi: possiamo loro riferire dell’ipotesi di Ga­lileo che la velocità sia proporzionale al tempo; è difficile verifi­care direttamente questa legge, ma, se vale questa legge se ne trae la conseguenza che gli spazi sono proporzionali ai qua­drati dei tempi; e questa seconda legge è facile verificarla spe­rimentalmente. È vera allora l’ipotesi da cui eravamo partiti. Non è solo la potenza del procedimento ipotetico-deduttivo che il ragazzo coglie in un’esperienza di fisica molto meglio che in un ragionamento geometrico, ma egli comprende «sul vivo» la dinamicità di una formula, e questo è — a mio av­viso — un risultato importantissimo. Le formule che noi presentiamo nel corso di matematica appaiono in generale come qualcosa di fisso, di statico; cogliere la dinamicità di una for­mula significa entrare in pieno nel concetto di funzione […].
IV) il quarto periodo infine è quello di Cartesio, è l’identificazione di algebra e geometria attraverso un saper guardare che porta l’attenzione non più sul particolare ente (sia esso numero o figura), ma sulle leggi formali che legano questi enti.
La cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali
Le proteste dei matematici però non rimasero inascoltate. La C.M. 10 luglio 1965, n. 292 consentirà ai Presidi di affidare a due docenti distinti, per ogni due corsi, l’insegnamento della Matematica e quello delle Osservazioni ed elementi di scienze naturali. In tal caso, ovviamente, il docente che avrebbe assunto quest’ultimo insegnamento doveva completare il suo orario di cattedra in una classe collaterale, effettuando così 16 o 17 ore settimanali, mentre l’altro docente, insegnando la sola matematica per 3 ore settimanali in ciascuna classe dei due corsi, avrebbe avuto un carico orario di 18 ore settimanali. La prospettata soluzione però non ebbe gran seguito; i docenti preferirono sempre di più l’impegno nelle sole tre classi di un corso mantenendo l’abbinamento dei due insegnamenti.  Si arriva così dodici anni più tardi con la L. 348 del 16.6.1977 a sancire un insegnamento unitario che assume la denominazione di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali al posto di Matematica e Osservazioni ed Elementi di Scienze Naturali. Un insegnamento di matematica e di scienze integrate, finalizzato anche all’educazione sanitaria, che la legge potenzia portando la cattedra da 16 a 18 ore, 6 ore per classe senza altra distinzione interna. Saranno i programmi del 1979[5] a raccomandare di prevedere  per ciascun anno una distribuzione equilibrata dei tempi da dedicare rispettivamente alla matematica e alle scienze sperimentali, e ciò  perché, dati i frequenti collegamenti e la costante interazione prevista nel lavoro di classe fra la matematica e le scienze sperimentali, non è possibile stabilire una rigida ripartizione dell’orario settimanale fra le due aree.
Quei programmi del 1979 rappresentano il punto di arrivo e la meta qualitativa più elevata delle riflessioni sul rinnovamento pedagogico e didattico che aveva infervorato l’ultimo ventennio. Alla loro redazione lavorarono molti dei personaggi che quel dibattito avevano alimentato. realizzando un documento che ancora oggi si presenta il  più completo e maturo e di armonica e coerente sintesi di pedagogia e scienza. Quei programmi, definiti anche tra i migliori d’Europa, rimasero, sia per l’organizzazione dei contenuti in grandi temi che per la modalità di scrittura e per i principi pedagogici, il riferimento per i programmi ministeriali che li seguirono, da quelli delle elementari del 1985 a quelli per il PNI e a quelli del progetto Brocca, cioè fino a quando ha avuto un senso parlare di programmi ministeriali.
La legge sull’autonomia scolastica (1997) infatti affiderà alle scuole il compito di costruire il programma di insegnamento, riservando al Ministero quello di definire gli obiettivi formativi cui i programmi delle scuole, tutte le scuole del territorio nazionale, devono tendere. Ai programmi ministeriali si sostituiscono così le Indicazioni Nazionali,  ovvero gli standard di conoscenze e competenze che ogni scuola avrebbe dovuto perseguire. Un cambiamento la cui influenza sul piano pedagogico e didattico si palesa  potenzialmente notevole.
Le prime Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, primaria e secondaria di primo grado (non si chiama più scuola media), sono del 2004  legge Moratti).  Esse non fanno più riferimento ad una cattedra di Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma contemplano l’insegnamento di Matematica e l’insegnamento di Scienze e Tecnologia. L’unitarietà degli insegnamenti così faticosamente raggiunta fu così rinnegata,[6] smembrata anche nel piano orario che su base annua assegnava mediamente 127 ore alla Matematica e 118 ore complessive a Scienze e Tecnologia, ovvero 85 per Scienze e 33 per Tecnologia[7]. Una separazione però durata poco, poco gradita a docenti, presidi e famiglie e all’amministrazione per le difficoltà di gestione delle cattedre (per legge di 18 ore), e gli stessi matematici sono ritornati sulle loro posizioni e hanno lasciato correre. Le attuali Indicazioni Nazionali, in vigore dal 1° settembre 2013, ricostituiscono l’unitarietà perduta: c’è un solo insegnamento, e non si chiama Scienze Matematiche, Chimiche, Fisiche e Naturali, ma ha la denominazione di Matematica e Scienze con sei ore settimanali indivise. Il problema però rimane: è quello dei docenti cui si chiede di possedere padronanza di un campo vastissimo di conoscenze e abilità non sorretto da opportunità formative adeguate.
I principi pedagogici e i contenuti dei programmi della scuola media del 1963 e del 1979
Già la premessa ai programmi del 1963 scandisce in chiare e precise raccomandazioni ai docenti quello che è il frutto migliore del pensiero pedagogico:

La continuità pedagogica (non occorre cominciare da zero): sarà […] necessario raccordarsi con l’insegnamento elementare utilizzando subito le nozioni che l’alunno già possiede (per esempio quelle sulle aree di particolari poligoni, sul sistema metrico decimale, ecc.).
L’ordine della trattazione: la ripartizione del programma nei tre anni di corso e l’ordine degli argomenti per ciascuno di essi non hanno valore vincolante. Ad esempio, già nella prima classe, accennando alle successive estensioni del concetto di numero, potrà essere anticipata la nozione di un numero relativo.
L’insegnamento a spirale: l’insegnante che in relazione allo sviluppo psicologico dell’alunno non abbia ritenuto di trattenersi a lungo sui capitoli più complessi, accontentandosi di una prima, sia pure approssimata, visione d’insieme, riprenderà in seguito i medesimi argomenti per un’analisi più approfondita al fine di un migliore svolgimento del programma.
Pedagogia dell’interesse, metodo genetico: nel passaggio dallo studio dei numeri interi a quello dei razionali e dei relativi, il professore potrà far cogliere agli alunni il processo storico e quello formale che hanno condotto alle successive estensioni del numero. Potrebbe anche essere utile dare un cenno, sotto la stessa luce, dei numeri irrazionali che si presentano con l’estrazione di radice quadrata.
Unità della matematica, fusionismo di de Finetti: sarà cura costante l’armonizzare l’aritmetica con la geometria.
Fusionismo in geometria: argomenti di geometria dello spazio potranno essere introdotti parallelamente ad altri riguardanti il piano, se una qualche analogia facilita la comprensione  (quadrato e cubo…).
Visualizzazione, operatività: è consigliabile, ogni volta che se ne presenti l’occasione, il ricorso ai “grafici “, per la traduzione visiva che essi forniscono delle più varie circostanze, tenendo conto che l’insegnamento parallelo di osservazioni ed elementi di scienze naturali offrirà frequenti spunti per la rappresentazione grafica di relazioni.
La sistemazione e la riflessione su ciò che si sa, dal concreto all’astratto: nella terza classe si [….] porterà [….] l’alunno a ripensare e a riflettere sul programma svolto nelle tre classi al fine di far cogliere il senso e la necessità del passaggio da uno studio sperimentale e concreto a concezioni astratte e indagini razionali.
Pedagogia del controesempio: si terrà presente che una nozione può assumere un più chiaro significato se messa a raffronto con una nozione antitetica o parallela : così, per esempio, il sistema di numerazione decimale acquista tutto il suo valore ove lo si confronti con sistemi non posizionali o con sistemi a base diversa dal dieci ; e così, per mettere in risalto le proprietà formali delle operazioni, l’insegnante potrà portare esempi di leggi di composizione su insiemi numerici e non numerici, in cui tali proprietà vengano a mancare.
Metodo euristico, il valore dell’esercizio: l’esercizio non dovrà essere soltanto strumentale per il consolidamento della tecnica delle operazioni e dei procedimenti; esso deve essere inteso a fare gradualmente acquisire all’alunno il pieno possesso dei significati concettuali. Pertanto non ci si dovrà trattenere su complicati calcoli (espressioni aritmetiche laboriose; scomposizioni in fattori primi di numeri molto grandi; …).
Metodo attivo: alcune esercitazioni consisteranno in relazioni scritte e orali aventi il fine precipuo di fare esprimere all’alunno il proprio pensiero su elementari questioni matematiche derivanti da osservazioni spontanee e sopra le quali l’insegnante avrà chiamato la sua attenzione con suggerimenti, esperienze e ricorso a sussidi didattici (modelli, dispositivi, ecc.). Tali relazioni abitueranno l’alunno alla riflessione, alla correttezza e alla sobrietà di espressione.

 Con chiarezza, sobrietà e concisione si esprime quasi tutto: dai metodi dell’insegnamento attivo, alla pedagogia del controesempio, al metodo bruneriano (ma già di Comenio) dell’approfondimento ciclico o a spirale, dal fusionismo ad un primo accenno di riferimento alla matematica moderna (le leggi di composizione), dal valore della prospettiva storica e dell’esercizio, all’invito a parlare e scrivere di matematica.
Non c’è nulla che non vada e tutto è talmente chiaro e comprensibile che ogni riflessione, ogni possibile miglioramento non può che andare proprio nella direzione di mirare a rafforzare quei principi pedagogici e ad esplicitare meglio taluni contenuti adeguandone anche il linguaggio ai nuovi tempi. È su questo che si discute nell’arco di un quindicennio[8]:  si concorda che manca un riferimento esplicito alla matematica moderna e principalmente agli insiemi e alle strutture e ancora  alla statistica e alla probabilità, alla matematizzazione del reale, alle tecnologie, e si ammette che va precisato meglio il previsto “ricorso ai grafici”, dunque alla geometria cartesiana. Infine va data una risposta alle questioni sull’ordine della trattazione: genetico, psico-genetico, per problemi, ecc.
I programmi del 1979 realizzano tutto ciò prevedendo sette “grandi temi” che mostrano già nei titoli ciò che dei contenuti si vuole rimarcare e rafforzare:

La geometria prima rappresentazione del mondo fisico
Insiemi numerici
Matematica del certo e matematica del probabile
Problemi ed equazioni
Il metodo delle coordinate.
Trasformazioni geometriche
Corrispondenze ed analogie strutturali.

Sul piano pedagogico le concezioni e i metodi già presenti nella premessa del ’63 trovano un loro completamento:
–    nell’insegnamento dinamico della geometria: lo studio della geometria trarrà vantaggio da una presentazione non statica delle figure, che ne renda evidenti le proprietà nell’atto del loro modificarsi; […] La geometria dello spazio non sarà limitata a considerazioni su singole figure, ma dovrà altresì educare alla visione spaziale. È  in questa concezione dinamica che va inteso anche il tema delle trasformazioni geometriche.
–    nell’insegnamento per problemi: si terrà presente che risolvere un problema non significa soltanto applicare regole fisse a situazioni già schematizzate, ma vuol dire anche affrontare problemi allo stato grezzo[9] per cui si chiede all’allievo di farsi carico completo della traduzione in termini matematici.
Ad una didattica per problemi è direttamente connesso il riferimento esplicito alla  matematizzazione intesa come interpretazione matematica della realtà nei suoi vari aspetti (naturali, tecnologici, economici, linguistici…) e particolare rilievo viene ancora dato alla interdisciplinarità e alla operatività: si farà ricorso ad osservazioni, esperimenti, problemi tratti da situazioni concrete così da motivare l’attività matematica della classe e  si sottolineano i legami con la formazione della competenza linguistica, con l’educazione tecnica, con la geografia (metodo delle coordinate, geometria della sfera, …), con l’educazione artistica (prospettiva, simmetrie,…).
Per quanto riguarda gli argomenti, forte è il riferimento all’uso dei materiali[10], e raccomandate sono altresì le costruzioni con riga e compasso e l’uso ragionato degli strumenti di calcolo.
Dopo le accuse di insiemistificazione, il riferimento agli insiemi è posto in una formulazione saggia: il linguaggio degli insiemi potrà essere usato come strumento di chiarificazione, di visione unitaria e di valido aiuto per la formazione di concetti. Si eviterà comunque una trattazione teorica a sé stante, che sarebbe, a questo livello, inopportuna.
Una limitazione è poi inferta ad uno strumento antichissimo:
le proporzioni,  che hanno sempre occupato un posto importante nell’insegnamento già dalle elementari con un legame privilegiato con la realtà e la risoluzione di problemi concreti. Ad esempio, nell’istituto magistrale (l’indirizzo di studio che ha preparato eserciti di maestri)[11] erano particolarmente importanti per le finalità educative e perché consentono di risolvere un’ampia classe di problemi di applicazione dell’algebra alla geometria in modo elementare,   riconducendoli in genere ad equazioni di primo grado (noti il rapporto tra due grandezze e la loro somma o differenza o prodotto, o somma dei quadrati, ecc. ). Ad evitare esagerazioni, nei programmi del 1979 è scritto: l’argomento […] non deve essere appesantito imponendo, come nuove, regole che sono implicite nella proprietà delle operazioni aritmetiche, ma deve essere finalizzato alla scoperta delle leggi di proporzionalità (y = kx; xy = k).
Per quanto riguarda gli argomenti “nuovi”, il successo pieno spetta però alla geometria cartesiana:
il  metodo delle coordinate con il rappresentare graficamente fenomeni e legami fra variabili, aiuterà a passare da un livello intuitivo ad uno più razionale. Alcune trasformazioni geometriche potranno essere considerate anche per questa via. E quella delle coordinate è una via che è divenuta quasi maestra nella pratica didattica a tutti i livelli di scolarità. Tant’è che nella prova scritta di matematica agli esami di licenza media  la geometria analitica è apparsa sempre presente in almeno uno dei 3 o 4 quesiti in cui è articolata la prova[12].  Né la situazione sembra essere mutata in questi anni di disorientamento normativo: dalle prime Indicazioni Nazionali Moratti a quelle Fioroni e alla loro armonizzazione in vigore dal primo settembre del 2013.
Bruno de Finetti (1906-1985)
L’ordine e la struttura per temi
Una rilevanza decisamente maggiore assume poi l’attività di sistemazione e di riflessione su ciò che si è appreso, che trova una suo riferimento specifico soprattutto nel tema 7 ed è rimasta una costante nella didattica della matematica, tenuta particolarmente presente nella redazione dei successivi programmi. Dal punto di vista pedagogico è l’affermazione del convincimento che l’organizzazione dei contenuti matematici debba seguire la formazione dei concetti (Polya: concept formation) ed è la via da seguire per l’introduzione di un’assiomatica. Per la geometria, ad esempio, l’obiettivo da perseguire nella scuola superiore sarà di costruirne l’organizzazione invece di darla come cosa già bella e fatta, in una sua confezione tipo. La sistemazione logica dei contenuti è rinviata agli anni conclusivi del ciclo di studi secondari e ciò trova concretizzazione nei programmi per il PNI e nei piani di studi Brocca, come già detto precedentemente[13]. Si parte invece nei bienni con un lavoro propedeutico di organizzazione logica di piccole “parti”, un insieme ben definito di teoremi legati in una catena deduttiva che fa trasparire l’inferenza logica e prepara il campo alla comprensione del significato di un sistema deduttivo.
Sono  però l’ordine della trattazione e la modalità della struttura per temi le caratteristiche che risaltano di più.
Mentre i programmi del 1963 sono ripartiti per anno e sembrano quasi contraddire quello che è detto nella bella premessa, quelli del 1979 rompono con gli itinerari standard e canonici, chiariscono che non c’è una sistemazione comoda della matematica, riferimento di una via didattica altrettanto comoda, e rimettono alla professionalità dei docenti la scelta del percorso più efficace: “Nel programma i contenuti sono raggruppati in temi  e non elencati in ordine sequenziale, al fine di facilitare la individuazione di quelle idee che appaiono essenziali allo sviluppo del pensiero matematico degli allievi.”  Il docente non deve ripercorrere nell’insegnamento quella che è stata la sua linea di apprendimento né avere a riferimento un ben definito ed esclusivo sviluppo del pensiero matematico, ma deve essere attento a farlo lievitare nei giovani, pronto e sensibile a  manovrare concetti e procedure da saldare insieme trovandone sempre nuovi accostamenti. “I temi – è scritto – non devono essere quindi intesi come capitoli in successione, ma argomenti tratti da temi diversi potranno, in sede di programmazione, alternarsi ed integrarsi nell’itinerario didattico che l’insegnante riterrà più opportuno”.
La struttura per temi, come già più volte detto, è una modalità che ha avuto successo.
Presa a modello e utilizzata nei successivi documenti, ha tuttavia mostrato col tempo alcuni suoi limiti: per esempio,  induce ad accrescere oltre il sostenibile l’ampiezza dei programmi a scapito della coerenza interna degli argomenti. Si parla dei programmi come di raccolte antologiche, di serbatoi enciclopedici. Si cerca di porvi riparo con la tendenza a voler essere più precisi, a dettagliare e ripartire gli argomenti, a corredarli di osservazioni, orientamenti, raccomandazioni e finanche di esempi di esercizi. È un segnale dell’impoverimento della riflessione nel settore della didattica matematica, che si registra tuttavia proprio quando i tempi sono maturi per l’affermazione di un’altra significativa novità, un’altra pietra miliare, e cioè il passaggio dai Programmi Ministeriali  alle Indicazioni Nazionali della legge sull’autonomia scolastica (L. 59/1997 e D.P.R. n.275/99).
Esso stabilisce la dimensione individuale e personale del programma,  che viene affidato alla singola istituzione scolastica e al singolo docente, mentre riserva all’Amministrazione della Scuola il compito di dettare, per l’intero territorio nazionale le mete, i traguardi di conoscenze ed abilità che lo studente deve possedere e la scuola deve aiutare a raggiungere e ad acquisire. A tali finalità avrebbero dovuto, per norma, corrispondere le Indicazioni Nazionali.
NOTE
[1]   La facoltatività degli insegnamenti (reintrodotta dalla L.53/2003) fu eliminata nel 1977 con la legge n.348.
[2] È  la prima esperienza di sperimentazione cui diede un impulso particolare il Ministro Giacinto Bosco. Nell’anno scolastico 1962/63 funzionavano 300 terze classi e 3 mila seconde classi sperimentali; il loro numero rappresentò un argomento decisivo con cui l’allora ministro Luigi Gui sollecitò il Parlamento all’approvazione della legge istitutiva.
[3] C. Motzo Dentice di Accadia, L’obbligo scolastico e la nuova scuola media, LSE, Napoli, 1965.
[4] «E quali non furono le sue preoccupazioni per la riforma della Scuola Media Inferiore! E quale fu il suo dolore per la battaglia.. … che lo vide perdente, contro l’abbinamento folle dell’insegnamento della Matematica alla Chimica, alla Fisica, alle Scienze Naturali nella Scuola Media unica?» da P. Dupont, Tullio Viola: Un esempio da imitare, Periodico di Matematiche 3/1986.
[5] Furono emanati con il D.M. 9 Febbraio 1979 del Ministro Pedini e pubblicati nel  S.O. alla Gazzetta Ufficiale n.50 del 20 Febbraio 1979. Della commissione fecero parte i matematici:   Giuseppe Arcidiacono, Luigi Campedelli, Emma Castelnuovo, Liliana Chini Artusi, Cesarina Dolfi, Michele Laforgia, Lucio Lombardo Radice, Giovanni Prodi, Francesco Speranza, Vinicio Villani.
[6] la battaglia per la separazione della cattedra, invece di affievolirsi è stata perseguita, in particolare dall’UMI, all’interno delle commissioni di studio costituite per l’elaborazione delle Indicazioni.
[7] Dall’anno  scolastico 2006/07 portate a 66 ore.
[8] Le critiche non sono mancate. Significativa quella di Don Milani:  “La seconda materia sbagliata è matematica. Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto la terza media ne ha tre anni di troppo [….] In quanto alla matematica superiore come parte della cultura generale si può provvedere in altro modo. Due o tre conferenze d’uno specialista che sappia dire a parole in che consiste […] Non è vero che occorra la laurea per insegnare matematica alle medie. È una bugia inventata dalla casta che ha i figlioli laureati. Ha messo la zampa su 20.478 posti di lavoro un po’ speciali. È la cattedra dove si lavora meno (16 ore settimanali) – È quella in cui non occorre aggiornarsi. Basta ripetere per anni le stesse cretinate che sa ogni bravo ragazzino di terza media. La correzione dei compiti si fa in un quarto d’ora. Quelli che non son giusti sono sbagliati” (da Lettera a una Professoressa, 1968)
[9] È un’espressione molto significativa, quasi trascurata però, per dire di problemi mancanti di qualche dato o da “raffinare” nelle richieste, che consentono anche una personalizzazione della formulazione.
[10] Le esperienze didattiche che E. Castelnuovo realizza già dagli anni ’50  sono diffusissime ed oggetto di “mostre” molto apprezzate. Diffusi sono anche, specie a livello primario, il materiale strutturato di Dienes, i regoli di Cuisinaire-Gattegno, quelli di Stern, i geopiani di Gattegno, le esperienze di Libois e di Papy (il minicomputer) e il materiale “povero” della pedagogia della Montessori.
[11] L’ultima maturità per i “maestri”  c’è stata nel 1999 e con essa c’è stato l’ultimo problema per i maestri: una specialità tutta italiana di algebra applicata alla geometria e di legame con la realtà (cose che oggi si sbandierano senza conoscerne la storia).
[12] D.M. 26.8.1981: “La prova scritta di matematica deve tendere a verificare le capacità e abilità essenziali indicate dai programmi ministeriali, con riferimento ad un certo numero di argomenti scelti tra quelli maggiormente approfonditi nel triennio. A tal fine si darà una prova che dovrà riferirsi a più aree tematiche (fra quelle previste dai programmi) e a diversi tipi di conoscenze; la prova sarà articolata su tre o quattro quesiti, che non comportino soluzioni dipen­denti l’una dall’altra. In tal modo si eviterà che la loro progressione blocchi l’esecuzione della prova stessa. Ad evitare una suddivisione troppo schematica dei contenuti, argomenti tratti da temi diversi potranno opportunamente coesi­stere nei singoli quesiti.
I quesiti potranno toccare sia aspetti numerici sia aspetti geometrici sen­za peraltro trascurare nozioni elementari nel campo della statistica e della probabilità. Uno dei quesiti riguarderà gli aspetti matematici di una situazione avente attinenza con attività svolte dagli allievi nel corso del triennio nel campo delle scienze sperimentali, dell’educazione tecnica o eventualmente di altri ambiti di esperienza.
Ogni commissione deciderà se e quali strumenti di calcolo potranno essere consentiti dandone preventiva comunicazione ai candidati. Durata della prova: tre ore.
[13] Didattica delle Scienze, n. 248, diretta da Mauro Laeng
L’articolo è in gran parte tratto da: Emilio Ambrisi, I 120 anni della Mathesis, Aracne 2015

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