Dipendenza da “internet”: come riconoscerla

La tecnologia non va demonizzata, tuttavia dobbiamo essere ben consapevoli dei rischi che porta con sé. Uno tra questi è la dipendenza da “internet”, che colpisce ogni anno migliaia di bambini; questo fenomeno è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni, raggiungendo dimensioni preoccupanti. Si stima che il 5% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni sia dipendente dalla tecnologia digitale e dalla rete (un dato destinato a crescere sempre di più a causa della diffusione capillare di smartphone, tablet e pc), ma i bambini più piccoli …

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Vietare gli smartphone a scuola è dannoso: ecco perché

Torna l’idea di vietare gli smartphone a scuola: era appena arrivata la notizia della Gran Bretagna, pronta a limitarne l’uso, quando anche il ministro Valditara ha deciso di annunciare una stretta risolutiva, che si rivelerà attiva solo con l’uscita delle nuove Linee guida per l’educazione civica.Si tratta di un atteggiamento miope, che rischia di peggiorare il livello già insufficiente delle competenze digitali dei ragazzi.Perché non impegnarsi nel mitigare gli effetti negativi dei media digitali, sfruttandoli invece per trarre vantaggi personali e collettivi?Indice degli argomenti
Il divieto di smartphone a scuola, dagli Usa all’EuropaIl divieto d’accesso ai social media prima dei 16 anni di età è stato registrato da poco in Florida, ma era già attivo il divieto assoluto di smartphone nelle scuole di ogni ordine e grado. All’inizio dello scorso anno lo Utah aveva vietato l’utilizzo dei social sotto i 18 anni senza l’esplicito consenso dei genitori, e proibizioni simili erano entrate in vigore in Arkansas, Louisiana, Ohio e Texas (ma in alcuni di questi Stati qui c’è ancora in vigore anche la pena di morte).L’ Europa sembra essere particolarmente attratta da decisioni simili: la Francia nel 2018 ha disposto il divieto dello smartphone nelle scuole elementari e medie, seguita poi da Inghilterra, Olanda e parzialmente anche dalla Finlandia.Competenze digitali: il quadro europeoIn Europa le competenze digitali della popolazione in età lavorativa (dai 16 ai 74 anni) sono misurate in base al Digital Competence Framework 2.2, un quadro comune europeo di riferimento, che le suddivide in cinque domini: alfabetizzazione all’informazione e ai dati, comunicazione e collaborazione, creazione di contenuti digitali, sicurezza e risoluzione dei problemi. In Italia, tra la popolazione compresa tra 16 e 74 anni, nella rilevazione 2021 solo il 45,7% aveva competenze digitali almeno di base in tutti i domini, rispetto alla media europea del 54%, o al 56,3% dell’area euro. In base a questo indicatore, il nostro Paese si collocava al 25° posto su 27 Paesi dell’UE, mostrando un forte ritardo.il legame tra competenze digitali e lavoroL’Unione europea però ha come obiettivo che l’80% della popolazione abbia competenze digitali di base entro il 2030, rispetto al 54% della popolazione nel 2021, come riportato dal Digital Economy and Society Index. L’UE riconosce che le competenze digitali insufficienti costituiscono un ostacolo prima alla partecipazione alla società digitale e poi anche all’economia digitale.Le persone che non hanno competenze digitali di base hanno meno probabilità di essere in grado di utilizzare in modo critico strumenti digitali, come i social media e internet, e avranno anche difficoltà a trovare un lavoro, rispetto a coloro che hanno competenze migliori. Le aziende non sono in grado di crescere e di competere perché non riescono a trovare lavoratrici e lavoratori con le competenze necessarie, per utilizzare efficacemente gli strumenti digitali sul posto di lavoro.Unesco: i vantaggi dell’uso delle tecnologie digitali a scuola Anche nel Global Education Monitoring Report del 2023 dell’Unesco, oltre naturalmente ad evidenziarne i rischi, si sostiene che i vantaggi dell’uso delle tecnologie digitali a scuola sono molteplici: ad esempio gli insegnanti possono sviluppare lezioni che consentano a studentesse e studenti di apprendere al proprio ritmo, grazie a software personalizzati e adattivi, e si libera così del tempo per proporre attività individuali scalabili o lavorare con piccoli gruppi (Bulman & Fairlie, 2016; Reich, 2020). Il fatto che la tecnologia abbia il potenziale per supportare i sistemi educativi non significa necessariamente che i processi e le pratiche di insegnamento siano stati sostanzialmente trasformati (Reich, 2020).Quella del no-smartphone-a-scuola è una richiesta ciclica, quasi un mantra (Di Donato, 2018, 2019, 2020, 2022), solo che si sta manifestando con un pressing progressivo e sempre più forte.La vita digitale oggi passa dallo smartphoneIl male da estirpare sembra celarsi tutto in quei 175 grammi di ferro, silicio e cromo e altri minerali minori, che ci infiliamo nelle tasche e nelle borse e che però, come ci ricorda il rapporto Censis-Auditel del 2023 tutti abbiamo in tasca per tutto il giorno e spesso non spegniamo mai. Oggi abbiamo in Italia più di 50 milioni di smartphone e rimangono i device più utilizzati dalla popolazione. Il 91,7% del totale delle famiglie italiane accede a Internet da casa, ma il 22,4% (5,5 milioni di famiglie in valore assoluto) lo fa solo attraverso lo smartphone. Portabilità, semplicità di utilizzo, vocazione, multitasking sono le caratteristiche premiate dagli italiani.Sebbene i tablet, che sono 7 milioni e 600.000 e che sembravano destinati essere soppiantati da pc portatili e smartphone, nell’anno della pandemia abbiano avuto una rinascita (proprio perché sono stati utilizzati da molti studenti come strumento per la didattica a distanza), in futuro non è ipotizzabile un andamento in crescita per questi dispositivi, anzi.Insomma, la vita digitale oggi passa dallo smartphone: è infatti aumentato il bisogno di dispositivi che consentano di assolvere al meglio le proprie esigenze quotidiane di studio, lavoro, tempo libero e relazionalità. Lo smartphone questo lo fa. Ecco, appunto: esigenze di studio.L’uso improprio degli smartphone: effetti sulla concentrazione Lo smartphone può introdurre oneri importanti sulle risorse cognitive di uno studente, questo lo sappiamo. A casa il suono delle notifiche di un messaggio in arrivo è dannoso per la concentrazione (Aharony & Zion, 2019; May & Elder, 2018), la vibrazione di una telefonata (attività comunque più rara tra gli adolescenti) o l’accensione della luce dello schermo sono altrettanto distraenti.Anche la competizione tra i diversi dispositivi tecnologici, che si contendono la sua attenzione mentre magari cerca di rimanere concentrato su un compito a casa (Chen & Koufaris, 2020) è fonte di stress per studentesse e studenti. La loro attenzione focalizzata viene interrotta e i progressi nel compito iniziale ne risentiranno (Chen & Yan, 2016; Terry, Mishra e Roseth, 2016). La notifica è lo spunto per l’utente per prendere una decisione ma, indipendentemente dalla decisione che si prenderà, la distrazione ormai si è verificata (Chen & Koufaris, 2020). Sappiamo anche questo.Il rapporto tra i minori e lo smartphoneNella XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia (a rischio) di Save The Children intitolato Tempi digitali si forniscono alcuni dati che integrano quelli presentati: nel biennio 2021-2022 il 73% dei minori tra i 6 e i 17 anni si è collegato quotidianamente a Internet; solo due bambini su cinque, nella fascia tra gli 11 e i 15 mesi, non vengono mai messi davanti uno schermo. Usano Internet per scaricare giochi o videogiocare l’82,4% degli 11-17enni tra i ragazzi e il 68,7% delle ragazze nella stessa fascia d’età. In alcuni casi il gaming diventa strumento di sensibilizzazione e lo stesso vale per i social, che però sono stati molto importanti per fenomeni come la Primavera Araba o movimenti come Occupy Wall Street, Fridays for Future e Black Lives Matter: hanno contribuito a diffondere pratiche di conoscenza di questi movimenti, fino a diventare mezzo per esprimere vicinanza o anche adesione a fenomeni locali e globali.Il processo di organizzazione sistematica dei propri pensieri, sentimenti e azioni per raggiungere i propri obiettivi viene ora comunemente definito autoregolazione. Il mondo nel quale ci troviamo è straordinariamente ricco di informazioni e parecchio frenetico: molti possibili percorsi di pensiero e comportamento, che ci vengono presentati a volte possono sembrare travolgenti. Secondo le rilevazioni di We are social del 2023, il 97,5% della popolazione tra i 16 e i 64 anni possiede uno smartphone. Il cellulare però non basta: serve un accesso ad una connessione wifi veloce e molte competenze digitali. La stessa indagine rileva che nella popolazione in Italia tra i 16 e i 64 anni, a gennaio 2023, il 67,2% possedeva un pc, il 51% un tablet, il 22,6% una smart tv, il 4,5% un dispositivo per la realtà virtuale e 1 su 5 (20,5%) un dispositivo per la smart home (domotica o smartspeaker).Nelle quasi sei ore giornaliere trascorse mediamente su internet, la metà del tempo ci si connette da cellulare e l’altra metà da pc e tablet. La neurobiologia negli ultimi anni ha dimostrato come le connessioni del sistema nervoso possano essere modificate dall’esperienza e dall’ambiente, sia per quanto riguarda le funzioni sia per quanto riguarda la struttura del cervello.Gli effetti diun’esposizione elevata ai media digitali sui minorenniLa neuroplasticità è massima durante lo sviluppo del bambino per diminuire nell’età adulta. Per questo è particolarmente importante capire gli effetti che un’esposizione elevata ai media digitali può avere sui minorenni: in primo luogo un deficit dell’attenzione. I continui suggerimenti digitali creano un flusso illimitato di informazioni che ci costringono a interagire con più input contemporaneamente, ma rimanendo sempre a un livello superficiale: è quello che si chiama media multitasking, che è stato misurato su un campione di adulti durante il solo utilizzo del computer. I passaggi tra i diversi contenuti avvenivano ogni 19 secondi e il 75% di essi veniva visualizzato per meno di un minuto. Inoltre, l’eccitazione provata dall’utente era massima nel momento del passaggio da un contenuto all’altro per decrescere subito dopo.Giovani e social: i dati IstatSecondo le rilevazioni ISTAT del 2022, il 62,3% di ragazze ragazzi tra gli 11 e 17 anni è risultato attivo sui social, nei tre mesi precedenti la rilevazione, con una presenza maggiore delle ragazze (67,9%) rispetto ai ragazzi (56,8%).È soprattutto nella fascia di età 14-17 anni che si fa più intensa la presenza sui network (79%) soprattutto delle ragazze (84%) rispetto ai ragazzi (74,2%). Rilevante anche l’uso dei social media tra gli 11 e i 13 anni (40,7%), di nuovo con una netta prevalenza femminile (47,1%) rispetto a quella maschile (34,5%).La statistica ci dice implicitamente anche altro: sebbene la legge preveda che un utente possa stare sui social solo dopo aver compiuto 13 anni, la realtà mostra una presenza massiccia di preadolescenti fuorilegge, che hanno aperto un profilo indicando un’età maggiore o hanno usato il profilo anagrafico di un adulto, spesso un genitore più o meno connivente.Quanto alla messaggeria istantanea, soprattutto WhatsApp, essa è ormai parte della quotidianità di quasi tutti i giovanissimi della fascia di età considerata da ISTAT (11-17 anni): la usa l’89,2% di loro. Si parla in pratica di tutti quelli che hanno uno smartphone, spesso anche l’unico, attraverso cui si dipana il loro mondo virtuale fatto di app e social network.Educare all’uso della tecnologia: il patto digitalePerché non prendiamo spunto dalla società civile? A Torino è partito il patto digitale, linee guida create da comunità di genitori per educare all’uso della tecnologia. In particolare, alla consegna e l’uso dello smartphone per i più giovani. Per evitare problemi di salute o attacchi online, educatori e famiglie di studenti di scuole primarie e secondarie si mettono in rete: è uno dei modi possibili per confrontarsi su regole il più possibile unitarie e coese nello sviluppo digitale dei figli. Il patto digitale di Torino ha già riscosso una cinquantina di firmatari, tra cui alcune scuole. E si inserisce nella nascita di altri patti che stanno nascendo in altre città italiane come Milano, Udine e Bergamo. Sono 35 quelli avviati nel corso degli anni in 12 regioni italiane.I dispositivi mobili e quindi anche gli smartphone hanno diversi vantaggi, che anche la letteratura specialistica ribadiva già più di dieci anni fa: una estrema portabilità, la facilità con cui si possono creare contenuti, la facilità nella comunicazione e nella collaborazione; il fatto che li possiedano quasi tutte le studentesse e gli studenti (Ranieri, 2014; Briz-Ponce et al., 2017).Sarebbe colpevole e ingenuo poi trascurare l’uso compensativo degli smartphone per i Bisogni educativi speciali: funzioni di traduzione istantanea, registrazione audio e video, cattura di testo da immagini, invio di materiale e tante altre funzioni sono quelle che permettono l’accesso primario alle attività didattica per persone con Dsa o con disabilità sensoriali.Pensate anche alle numerose app che permettono di utilizzare la Comunicazione Aumentativa Alternativa e di farlo in modo personalizzato: lo smartphone svolge in quel caso il ruolo di un vero e proprio ausilio, che permette e aumenta le possibilità di comunicazione e interazione con l’ambiente da parte di persone con diverse tipologie di disabilità.Nelle mani di insegnanti competenti, e direi anche creativi, l’integrazione di più dispositivi a scuola non è una maledizione, ma un vantaggio (AlTameemy, 2017): possibile che una istituzione educativa non si fidi dell’uso che docenti preparati faranno dello smartphone nelle loro attività didattica e addirittura si affermi di usare questo divieto per proteggerli?Credo che non sia di questo tipo di protezionismo che abbiamo bisogno, ma di nuove alleanze educative, che si basino su ricerca, metodologie e pratiche condivise. Gli studiosi del tema parlavano ben prima della pandemia di costruire una nuova sequenza didattica e delle attività educative in grado di collegare contesti di apprendimento formale e informale proprio attraverso le tecnologie personali (Mirald & Spikol, 2007; Riva & Villani, 2005; Shroeder, 2013).Le sfide da affrontareQuali sono allora le sfide che sarebbe necessario affrontare? Ne intercetto almeno tre:Da un punto di vista pedagogico, la sfida principale si concentra sull’identificazione chiara di ciò che è meglio apprendere in classe, di ciò che dovrebbe essere appreso al di fuori della classe e dei modi in cui questi due possono coesistere. I ricercatori hanno scoperto che è possibile indurre una mentalità di crescita con i bambini piccoli attraverso semplici aggiustamenti al feedback sui compiti, integrando gli studenti nel duro lavoro piuttosto che lodando l’intelligenza (Dweck, 2008). Gli smartphone si prestano a raccogliere anche questo tipo di personalizzazione dell’apprendimento.Promuovere l’apprendimento autodiretto e non sempre eteroregolato dagli insegnanti: le tecnologie mobili permettono questo tipo di esperienze, che incoraggiano gli studenti a partecipare più attivamente al loro processo di apprendimento.Incoraggiare negli insegnanti lo sviluppo di competenze specifiche sull’integrazione di diverse tipologie di tecnologie, per progettare percorsi di apprendimento inclusivi e personalizzati.ConclusioniLe competenze digitali non sono più solo competenze tecniche o tecnologiche: sono necessarie competenze informative, comunicative, competenze nella produzione di contenuti, competenze strategiche e oggi più che mai competenze di benessere digitale (Beetham, 2019; Gui, Fasoli & Carradore, 2017), che supportino capacità di regolare l’iperconsumo, superare le difficoltà di gestione della comunicazione digitale, diminuire il multitasking, che rischia di produrre comportamenti di forte calo delle nostre prestazioni cognitive.Anche nel citato Atlante di Save the Children si riportano i numerosi studi internazionali per i quali una risposta solo repressiva, securitaria, non è efficace, anzi tende a creare più problemi.Forse, dunque, è proprio a scuola, che si potrebbe educare lo sviluppo di condizioni in cui studentesse e studenti sono in grado di incanalare l’uso dei media digitali verso un senso di comfort, sicurezza, soddisfazione e appagamento.Perché non lavorare per affrontare gli effetti collaterali dei media digitali, pur utilizzandoli per ottenere una estesa varietà di benefici personali e sociali?Nella mappa europea sulle competenze digitali delle persone tra i 16 e i 19 anni, quindi di ragazze e ragazzi che (nel migliore dei casi, salvo fenomeni di dispersione comunque presenti nel nostro Paese) frequentano gli ultimi anni della scuola secondaria di II grado, l’Italia si posiziona quart’ultima per la quota di giovanissimi con scarse o nessuna competenza (sono il 42% rispetto ad una media europea del 31%). La scuola può frenare questo disastro e magari senza autoboicottarci?BibliografiaAlTameemy, F. (2017). Mobile phones for teaching and learning: Implementation and students’ and teachers’ attitudes. Journal of educational technology systems, 45(3), 436-451.Aharony, N., & Zion, A. (2019). Effects of WhatsApp’s use on working memory performance among youth. Journal of Educational Computing Research, 57(1), 226-245.Beetham, H., & Sharpe, R. (Eds.). (2019). Rethinking pedagogy for a digital age: Principles and practices of design. Routledge.Briz-Ponce, L., Pereira, A., Carvalho, L., Juanes-Méndez, J.A. & García-Peñalvo, F.J. Learning with mobile technologies—Students’ behavior. Comput. Hum. Behav. 2017, 72, 612–620Bulger, M. (2016). Personalized learning: The conversations we’re not having (Working paper). Data and Society Research Institute. https://datasociety.net/pubs/ecl/PersonalizedLearning_primer_2016.pdfBulman, G. & Fairlie, R. W. (2016). Technology and education: Computers, software and the internet. In E. A. Hanushek, S. Machin and L. Woessmann (Eds)Handbook of the Economics of Education (Vol. 5, pp. 239–280).Chen, Q., & Yan, Z. (2016). Does multitasking with mobile phones affect learning? A review. Computers in Human Behavior, 54, 34–42Chen, C. W., & Koufaris, M. (2020). Multi-device use: understanding the motivations behind switching between multiple devices during a task. International Journal of Human–Computer Interaction, 36(12), 1178-1193.Di Donato, D. (2018). Cellulari a scuola, perché i docenti stanno (solo) facendo il proprio dovere. In Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/cellulari-a-scuola-i-docenti-stanno-solo-facendo-il-proprio-dovere-ecco-perche/Di Donato, D (2019). Bambini troppo soli davanti agli smartphone: ecco che cosa può fare la scuola. In Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/bambini-troppo-soli-davanti-agli-smartphone-ecco-cosa-puo-fare-la-scuola/Di Donato, D. (2020). Bambini e display, non è apocalisse: cosa dicono gli studi scientifici. In Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/bambini-e-display-non-e-apocalisse-cosa-dicono-gli-studi-scientifici/Di Donato, D. (2022). Smartphone a scuola, le contraddizioni del Ministero. In Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/smartphone-a-scuola-le-contraddizioni-del-ministero/Elsevier Fisher, M. & Baird, D. (2007) Making m-learning work: Utilizing mobile technology for active exploration, collaboration, assessment, and reflection in higher education. Journal of Educational Technology Systems 35(1): 3–30.Gui, M., Fasoli, M. & Carradore, R. (2017). Il “benessere digitale”. Sviluppare un nuovo strumento teorico per la ricerca sulla Media Literacy. 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Cyberbullismo: impatti psicologici e strategie di prevenzione

La declinazione tecnologica del bullismo, ossia il cosiddetto cyberbullismo, è caratterizzata da tutti gli atti di prevaricazione e di molestia effettuati attraverso media digitali come social network, e-mail, chat, blog, forum, telefoni cellulari, siti e qualunque altra forma di comunicazione riconducibile al web. i giovani “bulli” digitali fanno circolare foto, mail denigratorie che contengono materiale offensivo e potenzialmente destabilizzante per la vittima[1].Indice degli argomenti
Le statistiche sul cyberbullismo: dagli Usa indicatori di valenza globaleIl miglior modo per comprendere un fenomeno e la sua incidenza sull’ambiente è attraverso la rilevazione statistica. Il Cyberbulling Research Center, partendo da questo presupposto, da tempo, con cadenza annuale, sta effettuando diversi studi e inchieste sul cyberbullismo. Le statistiche USA dal 2007 al 2019 sono tra le ultime ricerche effettuate da questo prestigioso Istituto.L’indagine offre un’interessante analisi sul bullismo online. Il motivo di tale rilevanza risiede in una specifica circostanza; gli Stati Uniti possono essere presi come riferimento, circa l’incidenza del cyberbullismo, anche per il resto del mondo. Essi, infatti, sono considerati tra i maggiori fruitori di apparati tecnologici, l’arma dei cyberbulli. Costoro, proprio attraverso gli apparati online, veicolano e fanno viaggiare le vessazioni, i maltrattamenti e le umiliazioni tipiche del cyberbullismo.Incidenza e dati del fenomenoPartendo da questo presupposto, tali statistiche sul cyberbullismo costituiscono un valido indicatore per chi si interessa del bullismo online. Risulta poi di particolare importanza una caratteristica delle ricerche condotte. Esse riferiscono non solo i dati relativi alle vittime del cyberbullismo ma anche le cifre di coloro che lo hanno praticato verso altri soggetti.Il centro di ricerca sul cyberbullismo ha lavorato su tredici progetti. Il range è considerevole, raccoglie infatti i dati dagli studenti delle scuole medie e superiori dal 2007 in poi, esaminando più di 25.000 allievi. In media, circa il 28% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di tale fenomeno.Le percentuali di coloro che hanno offeso ricorrendo al cyberbullismo sono differenti, come si evince dagli studi condotti. In media, circa il 16% degli studenti che hanno partecipato al sondaggio, ha ammesso di aver compiuto atti di cyberbullismo verso altri in un certo momento della vita[2].In Europa più di 1 ragazzo su 4 di età compresa tra gli 11 e i 19 anni è vittima del cyberbullismo. In Italia oltre il 24% degli adolescenti subisce minacce e molestie tramite rete, social, blog e forum[3].Caratteristiche distintive del cyberbullismoIl cyberbullismo ha delle caratteristiche particolari, ecco le principali:Anonimato del “bullo”: in realtà colui che esercita cyberbullismo non resta nell’anonimato, in quanto ogni forma di comunicazione elettronica lascia delle tracce, ma il filtro dello schermo spersonalizza la molestia in atto e per la vittima è difficile risalire al molestatore.Indebolimento delle remore morali: agendo sul web (quindi dietro uno schermo) il persecutore può assumere un’altra identità, dire e agire come non farebbe mai nella vita reale.Assenza di limiti spazio – tempo: mentre il bullismo tradizionale ha luoghi e tempi ben precisi (ad esempio la scuola, i gruppi, le comunità ecc.) il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico e quindi potenzialmente potrebbe essere continuo, fiaccandone la resistenza psicologica[4].Le diverse declinazioni del cyberbullismoEcco tutte le diverse declinazioni del fenomeno:Flaming: messaggi on line violenti e volgari che mirano a scuotere battaglie verbali sui social e sui forum;Cyberstalking: molestie e denigrazioni ripetute, persecutorie e minacciose che incutono timore.Cyberbashing o happy slapping: comportamento criminale che ha inizio nella vita reale e prosegue online con caratteristiche diverse; le immagini pubblicate sul web sono potenzialmente visualizzabili da milioni di utenti che possono condividerle e viralizzarle, a volte corroborate da commenti che ne accrescono gli effetti negativi[5].Denigrazione: “sparlare” di qualcuno, danneggiando la sua reputazione per mezzo di e-mail, messaggistica istantanea, blog e forum.Sostituzione della propria personalità: consiste nel cambiare identità (molto spesso inventata e irreale) che invia messaggi e pubblica post offensivi.Inganno: ottenere la fiducia della persona molestata e poi condividere sui social o con altri mezzi elettronici informazioni private.Esclusione: emarginare una persona dal «gruppo on line», attuando una sorta di ghettizzazione e isolamento digitale che si riflette nella vita reale. Nel bullismo tradizionale in genere la vittima e il bullo sono persone che si conoscono, che si frequentano. Hanno avuto almeno qualche contatto relazionale. Nel bullismo digitale invece le persone possono anche essere sconosciute. L’empatia e la solidarietà che sono le basi di una dinamica relazionale si mitigano quando di fronte a noi c’è uno schermo e le reazioni, i sentimenti, i bisogni dell’altro ci sono negati o si confondono, restano ambigui, sfocati o semplicemente ignorati. La “dimensione online” sdogana e concretizza comportamenti e gesti che nella realtà risulterebbero più oculati, pensati, magari evitati[6].Le conseguenze psicologiche del cyberbullismoIl cyberbullismo si differenzia dal bullismo classico, grazie all’immanenza dematerializzata delle tecnologie digitali che catalizza un’amplificazione ormonata e devastante degli effetti del messaggio. Cambia l’ambiente, cambiano le vittime ed il bullo crede di agire protetto da in assoluto anonimato e quindi attualizzare minacce, ingiurie, diffamazione che perdono la percezione e il significato della compresenza, della corporeità percepita e vessata, ma, di contro, acquisiscono un’ipervisibilità, potenzialmente globale, che attiva processi deresponsabilizzanti come “l’effetto spettatore”, in cui, in un folto gruppo di utenti, nessuno interviene per difendere la vittima nella fallace convinzione che se non c’è nessun aiuto in questo senso, molto probabilmente, il proprio intervento non è necessario o, addirittura, non esiste il pericolo stesso. Un fenomeno complesso e articolato che si declina in diverse fattispecie: ad esempio i giuristi anglofoni distinguono il cyberbullying (cyberbullismo), che avviene tra minorenni, e il cyberharassment (“cybermolestia”) che avviene tra adulti o tra un adulto e un minorenne[7].Gli attori del cyberbullismoMa chi sono gli attori del cyberbullismo?il bullo, ragazzo/a che compie l’atto;le vittime, coloro che subiscono;gli osservatori che assistono, in maniera più o meno passiva secondo il cosiddetto “effetto spettatore”, all’atto vessatorio[8].É importante sottolineare che dietro ad ogni episodio di cyberbullismo ci sono, per la maggior parte dei casi, bambini e adolescenti, che assorbono le conseguenze dell’essere vittima, ma anche attori o spettatori, e che dovendosi rapportare, a computer spento, con la vita reale di tutti i giorni, trovano enormi difficoltà nell’accettare sé stessi, integrarsi con il gruppo dei pari e a declinare nella quotidianità le dinamiche relazionali attuate in Rete.Le due ulteriori categorie del cyberbullismoIl cyberbullismo si divide in due ulteriori categorie:e-bullying diretto che consiste nell’uso di Internet per inviare messaggi minacciosi alla vittima;e-bullying indiretto che consiste nel diffondere messaggi dannosi o calunnie sul conto della vittima che ledono la sua reputazione e la sua moralità[9].L’aspetto preoccupante del fenomeno è che i ragazzi che non hanno il coraggio di interpretare il ruolo dei “bulli” nella vita reale, trovano attraverso il computer il modo di immettere, dribblando la coscienza e l’autosanzione morale, la propria quota di violenza in Rete, senza uscire allo scoperto, in assoluto anonimato ma con conseguenze psicologiche del tutto simili al bullismo[10].Attraverso computer, smartphone e tablet, utilizzati soprattutto delle generazioni più giovani, come confermano i dati Istat, è possibile agire nell’anonimato; reiterare la condotta; usufruire di una diffusione immediata, con una cassa di risonanza altissima, dell’azione lesiva; che esclude anche la possibilità di controllo da parte degli insegnanti e/o genitori[11].I bulli, nell’accezione totalizzante del termine, possono presentare un calo nel rendimento scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta. L’incapacità di rispettare le regole può portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia, costituendo il pregresso embrionale di una futura carriera criminale.Per le vittime il rischio è quello di manifestare il disagio innanzitutto attraverso sintomi fisici, ad esempio mal di pancia o mal di testa, oppure segnali psicologici, quali incubi o attacchi d’ansia. Alla lunga, le vittime mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, difficoltà relazionali, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui ansia, depressione e asocialità.I ruoli degli osservatori nel fenomeno del cyberbullismoGli osservatori[12], infine, vivono in un contesto caratterizzato da difficoltà relazionali che aumenta l’insicurezza, la paura e l’ansia sociale. Il continuo assistere ad episodi di “violenza” può rafforzare una logica di indifferenza e scarsa empatia, portando i ragazzi a negare o sminuire il problema, contestualizzandolo nell’ambito di una sedicente, mendace pseudonormalità.Le tre dimensioni del cyberbullismoNella definizione proposta da Olweus[13] il bullismo e il cyberbullismo risulta caratterizzato da tre dimensioni fondamentali:l’intenzionalità;la persistenza nel tempo;la dimensione del potere esercitato sulla vittima.La situazione italiana e il profilo psicologico del cyberbulloIn Italia il fenomeno è stato definito grazie alla legge 71/17 entrata in vigore il 18 giugno 2017, dopo un iter durato 3 anni. I dati italiani mostrano come l’incidenza del fenomeno nel nostro paese sia in linea con il panorama internazionale.  Elementi da osservare: cambi di umore improvvisi, disturbi emotivi, problemi di salute fisica, dolori addominali, disturbi del sonno, nervosismo e ansia[14]. Nei casi più disperati l’epilogo di tale processo può essere il suicidio, come diretta conseguenza dell’idea intrusivo-ossessiva, percepita e fattuale, di non poter gestire, arginare ed eliminare vessazioni e violenze che inficiano la qualità dell’esistenza antropica. In questo senso i dati sono significativi: Il 31% dei tredicenni, percentuale che sale al 35% quando si tratta di ragazze, dichiara di aver subito una o più volte atti di cyberbullismo. Il 56%, poi, dichiara di avere un amico che è stato vittima di attacchi online. Sui social network, la percentuale dei protagonisti degli episodi sale dal 31 al 45%[15].Il profilo psicologico del cyberbullo Il profilo psicologico del cyberbullo evidenzia una mania del controllo, un tentativo di imporsi, attraverso il quale egli tenta di mettersi in mostra: è un incompetente sociale, non conosce le regole di una normale socialità e si palesa, in molti casi, come un analfabeta emotivo: è una persona immatura dal punto di vista affettivo, che presenta un’incapacità di gestione delle emozioni come il senso di colpa o la vergogna, sia provata che indotta[16].Nei criteri di elezione della vittima infatti, la diversità, nelle sue varie declinazioni, gioca un ruolo centrale. In genere compie azioni di prepotenza per ottenere popolarità all’interno di un gruppo, per divertimento, autogratificazione o semplicemente per noia.Strategie di prevenzione e intervento contro il cyberbullismoÈ fondamentale che le agenzie di socializzazione, famiglia, scuola ma anche la Rete, aiutino i ragazzi a sviluppare una consapevolezza sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo e a non sottovalutare gli effetti negativi che ne conseguono. Gli adulti sono chiamati a educare, più che a istruire: potenziando le abilità sociali con particolare attenzione alla consapevolezza emotiva e all’empatia. Un’attenzione particolare va data all’alfabetizzazione emozionale: è importante far lavorare in gruppi per aiutare il confronto, la capacità di problem solving relazionale e la cooperazione[17].Le vite online e il potere percepito da dietro uno schermoGli episodi di bullismo, come spiegato, non riguardano più solo la vita reale, contestualizzata nelle sue dinamiche relazionali. Sempre più spesso i soprusi accadono anche nello spazio virtuale dei media digitali usati per diffondere messaggi, immagini o filmati diffamatori. Le vite online influenzano direttamente i comportamenti, agiti e subiti, nella realtà. Attraverso lo schermo il cyberbullo si pone come attore egemone in un evidente squilibrio di forze: sente di avere potere, perché protetto da un anonimato percepito e illusorio, perseguita la sua vittima prevaricandola, vessandola e isolandola in un clima di ricatto reiterato e meschino. Tale potere si rafforza in modo progressivo, perché la persecuzione si diffonde nella Rete in modo invasivo, obbedendo a logiche piramidali tipiche dei paradigmi di quantità su cui si basa il web e quindi può raggiungere una platea potenzialmente illimitata di visualizzatori[18].Tale dinamica rende difficoltoso individuare luoghi e tempi in cui il cyberbullismo si attualizza, secondo una logica multitiming e multiplacing, con la conseguenza che il fenomeno appare meno riconoscibile e, quindi contrastabile, sia per gli organi competenti sia per le famiglie delle vittime. Un primo discriminante tra bullismo tradizionale e cyberbullismo risiede nel rapporto che lega vittima e bullo: Nel primo cado si conoscono ed è plausibile che abbiano avuto almeno qualche contatto relazionale. Nel bullismo digitale invece gli attori del fenomeno possono anche non conoscersi. L’empatia, il sentimento sociale fondamentale per essere soggetti socialmente attivi, si neutralizza davanti alla luce di uno schermo e le reazioni, i sentimenti, i bisogni dell’altro vengono negato, si mitigano, si confondono, restano ambigui e sfocati e il soggetto che bullizza si deresponsabilizza e distorce, edulcorandola, la propria visione della realtà.Scuola, famiglia, istituzioni: serve consapevolezzaLa “dimensione online” sdogana e esteriorizza comportamenti e gesti che nella realtà risulterebbero più oculati, pensati e magari evitati. Per contrastare tali criticità è fondamentale riattivare e aggiornare le old agency di socializzazione come la scuola e la famiglia, istituzioni prodromiche di qualunque forma di aiuto verso i soggetti coinvolti, con la finalità di sviluppare una consapevolezza critica sul fenomeno stesso, di non sottovalutare gli effetti negativi, pericolosi e potenzialmente letali che ne conseguono. Famiglia e scuola sono spesso disorientate di fronte al cyberbullismo, alle sue fattispecie e alle conseguenti evoluzioni, tuttavia, rimangono i postulati educativi a cui spetta la missione di potenziare le abilità sociali degli individui, in sinergia con la socializzazione spesso autoguidata nel web, con particolare attenzione alla consapevolezza identitaria, alla crescita emotivo-cognitiva e all’empatia[19].Nelle azioni persecutorie online è infatti la dimensione della socialità quella che viene colpita. Le vittime frequentemente sviluppano un’autostima bassa, depressione, ansia, paure, problemi di rendimento scolastico e interrompono, in molti casi, la frequentazione della scuola o del gruppo di pari e di qualunque forma di socialità, percepita come uno scenario di azione e relazione potenzialmente pericoloso[20].ConclusioniL’era internettiana degli smartphone, dei social network e dei forum digitali, ha dato ulteriori armi in mano ai bulli, pronti a intuire le risorse della rete, come un luogo virtuale, ma concreto, dove compiere atti violenti. Per gli adolescenti delle società tecnologicamente avanzate, Internet rappresenta infatti un contesto di esperienze e socializzazione irrinunciabile. Tuttavia, le nuove tecnologie nascondono lati oscuri, come ad esempio l’uso distorto e improprio che ne viene fatto per colpire intenzionalmente persone indifese e arrecare danno alla loro reputazione, facilitato dall’anonimato e dalla potenziale diffusione planetaria delle offese.Bibliografia1. Bauman Z., Modernità liquida, Roma, Laterza 2006.2. Bilotto A, Ghiretti G., Internet babylon, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Mernet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.3. De Kerchkove D., L’intelligenza connettiva. L’avvento della Web Society, Roma, Aurelio De Laurentiis multimedia 2019.4. Jenkins H., Convergence Culture. Where Old and New Media Collide, New York University Press, New York 2006.5. Lévy P., 2002, L’intelligenza collettiva. Per Un’Antropologia Del Cyberspazio, Milano, Feltrinelli.6. Menesini E., Nocentini A., Palladino E., Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Il Mulino Bologna 2017.7. Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Milano 2007.8. Pennetta A.L., Zilotto G., Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, Gappicchelli, Torino 2019.9. Scaringella A., Comunicare sulla rete. Complementi di informatica per scienze della comunicazione, Universitalia, Roma 2016.10. Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014.[1] Pennetta A.L., Zilotto G., Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, Gappicchelli, Torino 2019.[2] Dati consultabili sul sito Cyberbullying Research Center: https://cyberbullying.org[3] Ministero della salute, Bullismo e cyberbullismo, 2023 consultabile su www.salute.gov.it[4] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[5] Bilotto A, Ghiretti G., Internet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.[6] Bilotto A, Ghiretti G., op. cit.[7] Menesini E., Nocentini A., Palladino E., ibidem.[8] Bilotto A, Ghiretti G., op. cit.[9] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[10] Bilotto A, Ghiretti G., Internet babylon, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Mernet Babylon. Cyberbullismo e dipendenza on-line, Lupetti, Milano 2021.[11] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[12] Olweus D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Milano 2007.[13] Olweus D., ibidem.[14] Pennetta A.L., Zilotto, op. cit.[15] Ministero della salute, Bullismo e cyberbullismo, 2023 consultabile su www.salute.gov.it[16] Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014[17] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[18] Pennetta A.L., Zilotto G., op. cit.[19] Tonioni F., Cyberbullismo, come aiutare le vittime e i persecutori, Mondadori, Milano 2014.[20] Menesini E., Nocentini A., Palladino E., Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Il Mulino Bologna 2017.

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