Se nella storia della Terra non ci fossero stati i vulcani, il nostro Pianeta sarebbe stato completamente diverso. E noi umani, semplicemente, non ci saremmo. Perché, nonostante il pericolo che rappresentano per chi vive nei loro pressi e sebbene le eruzioni abbiano più volte prodotto drammatiche alterazioni del clima, i vulcani sono stati indispensabili per creare gli oceani, per generare e mantenere un’atmosfera adatta e per evitare che il campo magnetico della Terra diventasse troppo intenso. In sostanza, per generare le condizioni adatte alla vita. E il loro lavoro continua ancora oggi.
Atmosfera e oceani. Senza i vulcani, innanzitutto, sarebbero venuti a mancare gli elementi che hanno forgiato la nostra atmosfera. Sono state le eruzioni, infatti, a immettere nell’atmosfera primordiale della Terra grandi quantità, in particolare, di anidride carbonica e vapore acqueo. Ma l’anidride carbonica veniva (e viene ancora) catturata da alcuni microorganismi, i cui resti, accumulati sui fondali insieme ad altri materiali, si trasformavano in rocce. Queste, a loro volta, sprofondavano nel mantello terrestre a causa dei movimenti tettonici. In altre parole, se i vulcani non avessero continuato a rifornire di anidride carbonica l’atmosfera, questo gas sarebbe sparito. E la temperatura sul Pianeta si sarebbe abbassata al punto da impedire forse alla vita più evoluta di svilupparsi. È l’anidride carbonica, difatti, che ci tiene al caldo grazie all’effetto serra che produce (quello naturale, non quello intensificato dalle attività umane).
Un discorso simile vale per il vapore acqueo. Buona parte dell’acqua terrestre è probabilmente arrivata a cavallo di asteroidi e forse comete, ma i vulcani, che durante le fasi primordiali della Terra erano moltissimi, e molto attivi, hanno emesso nell’atmosfera l’acqua che era già presente nella Terra alle sue origini. E sempre i vulcani la “riciclano”, perché anch’essa può scomparire nel sottosuolo per gli stessi meccanismi geologici cui è sottoposta l’anidride carbonica.
Niente dorsali, niente tettonica. Senza vulcani, anche l’interno del nostro Pianeta sarebbe profondamente diverso. Circa 4,4 miliardi di anni fa, il mare di lave che ricopriva la Terra si raffreddò, formando una crosta sottile. Ma il magma rimasto sotto la superficie riusciva occasionalmente a perforarla, dando origine ai vulcani; che quindi funzionarono come valvole di sfogo per far uscire il materiale caldissimo presente sotto la crosta. Questo meccanismo, tra l’altro, fu molto importante per il processo di raffreddamento del nostro Pianeta.
Se la crosta, invece, fosse stata così spessa da impedire alle lave di emergere (quindi bloccando la formazione dei vulcani), quel calore sarebbe ancora in gran parte là sotto.
Certo, il materiale magmatico sarebbe risalito dal nucleo della Terra (da circa 6.000 chilometri di profondità, dove vi sono temperature di 5-6.000 °C) verso la crosta, dove si sarebbe raffreddato fino a qualche centinaio di gradi.
Ma il processo lo avrebbe reso più denso e sarebbe sprofondato di nuovo, in una sorta di ciclo. Nella realtà questo processo invece è diverso, perché interessa solo il mantello superficiale. Il magma, cioè, sale soltanto da 700-800 chilometri di profondità fino alla crosta. Qui si raffredda e si muove lateralmente, rompendo la crosta stessa e dando origine alle dorsali oceaniche (dove vi sono decine di migliaia di vulcani), fratture lunghe migliaia di chilometri dalle quali prende il via la tettonica delle zolle.
La crosta terrestre. «La tettonica prevede che dalle dorsali la crosta oceanica venga spinta verso le zone dette di “subduzione”, dove si inabissa sotto i continenti, come accade per esempio dove il fondo del Pacifico si infila sotto il Nord America, il Centro e il Sud America», afferma Federico Pasquaré Mariotto, geologo e professore associato di Comunicazione delle Emergenze Ambientali all’Università degli Studi dell’Insubria. «Visto però che dalle zone di subduzione scaturiscono i terremoti più devastanti, come quello di magnitudo 9,6 del 1960 in Cile, in assenza di vulcanismo presso le dorsali non avremmo più sismi di potenza devastante, ma solo terremoti interni ai continenti e di magnitudo più contenuta». Questa sarebbe forse l’unica conseguenza “positiva” dell’assenza dei vulcani presenti nelle dorsali oceaniche.
Se la crosta terrestre fosse stata molto spessa, ci sarebbero stati effetti anche sul campo magnetico terrestre. Esso si genera infatti in seguito al movimento del ferro nel nucleo esterno (la parte liquida del nucleo) della Terra. Ma se condizioni diverse avessero permesso movimenti più ampi, dal nucleo fino sotto la crosta, il campo magnetico probabilmente sarebbe molto più intenso. Da un lato, avrebbe protetto meglio la Terra dalle radiazioni cosmiche pericolose, ma dall’altro avrebbe potuto distruggere il Dna delle cellule dei primi viventi, impedendone la riproduzione.
Terreno fertile. Malgrado i vulcani siano pericolosi, centinaia di milioni di persone popolano aree vulcaniche attive; basti pensare alla zona attorno al Vesuvio, dove risiedono circa 700.000 abitanti. Perché la gente vuole vivere su un vulcano attivo? La risposta è semplice: l’eccezionale fertilità del suolo. Sui vulcani, il suolo è prodotto essenzialmente dall’alterazione chimico-fisica che l’acqua piovana esercita sulle rocce laviche e sui materiali piroclastici depositati dall’attività esplosiva.
Il terreno che si forma garantisce una maggiore produttività e una superiore qualità dei prodotti della terra; un esempio sono gli ottimi vini ottenuti da uve coltivate nelle aree del Vesuvio e dell’Etna. La lava, e più in generale tutti quelli che vengono chiamati “prodotti eruttivi”, è infatti ricca di elementi chimici (come l’azoto, lo zolfo, il magnesio e il ferro) che favoriscono le coltivazioni e sono utili per l’ecosistema e la biosfera.
un pianeta morto. I “nutrienti” originati dai vulcani possono però arrivare anche in modo più diretto: sia attraverso le piogge, che si arricchiscono di elementi catturati nel pennacchio gassoso di un vulcano attivo, sia attraverso la ricaduta di cenere sulla terra e nel mare. Nel primo caso, le goccioline di pioggia agiscono come “spazzini” del cielo, poiché intrappolano le particelle di aerosol nel pennacchio vulcanico e le portano al suolo. Per quanto riguarda le ceneri, possiamo guardare all’Etna, che ne emette grandi quantità, soprattutto durante le fasi eruttive parossistiche come quelle che si sono verificate negli ultimi mesi. Ogni volta che ciò avviene, la frazione più grossolana di questi materiali ricade sulla superficie del vulcano, mentre quella più fine è trasportata dai venti di alta quota e precipita in aree anche molto distanti.
Le ceneri che finiscono in mare, dopo un breve contatto con l’acqua, rilasciano nutrienti e metalli che diventano disponibili per il fitoplancton (l’insieme dei microrganismi vegetali presenti nel plancton, che costituiscono la base della catena alimentare degli ambienti acquatici), il quale risponde con una “fioritura” più intensa. Nutrienti fondamentali per l’ecosistema marino mediterraneo come azoto, fosforo, silice, ferro e zinco possono influire sulla salute del mare fino a distanze di 700 chilometri dall’Etna. E dato che il Mediterraneo è in generale un mare povero di nutrienti, l’apporto da parte del vulcano è provvidenziale.
VAI ALLA GALLERY
Fotogallery
Le più grandi esplosioni di sempre