Il 26 agosto è la Giornata mondiale del cane (Canis lupus familiaris), il primo animale che la nostra specie abbia addomesticato, anche perché nessun altro ha scelto di propria volontà di farsi addomesticare da noi. Altri animali sono stati costretti, oppure hanno approfittato del nostro disinteresse per infilarsi nelle nostre case (i gatti), ma solo il cane ha deciso che questa nuova specie che stava colonizzando l’Europa sarebbe potuta diventare una vera e propria compagna di vita.
Oggi in Italia si conta una popolazione di circa 9milioni di cani, una famiglia su tre ne ha uno, e in molte viene considerato come un figlio di cui prendersi cura perché porta gioia in casa.
Ecco perché, in occasione della Giornata mondiale dedicata del cane, vi proponiamo questo articolo scritto da… uno di loro: il cane si chiama Napoleone. E ha scelto di raccontarci tutto quello che i suoi simili hanno fatto (e fanno ancora) per – e con – noi.
Amico cane. Abbaiare stanca. Lascio perdere i due irritanti gatti al di là del vetro e me ne torno sul cuscino. Il mio umano non ha neppure alzato lo sguardo: sta preparando la sua prossima lezione di storia, picchiettando sui tasti del computer… Beh, certo che so che cos’è un computer: vivo con lui da nove anni! Lasciate che mi presenti: mi chiamo… Fido?! Ma che vi salta in mente?! Mi avrete mica preso per un cane tonto e scodinzolante? Io sono Napoleone: amo i grattini dietro le orecchie, qualche bocconcino di stufato ogni tanto e le passeggiate, questo cuscino, la mia pallina rossa e, più di ogni altra cosa, far compagnia al mio vecchio umano.
Fosse per lui, non si alzerebbe mai da quella sedia! Fortuna ci sono io a portarlo fuori, la mattina e la sera. Una vita noiosa per un cane, direte voi. Forse. Ma in fondo sono il suo migliore amico e il suo benessere mi sta a cuore. Perché? Beh, non so spiegare perché, ma gli voglio così bene che al pensiero di rimanere senza di lui mi metto a uggiolare… Come quando mi hanno portato via dalla mamma. Quando stiamo insieme, siamo incredibilmente felici: è così da sempre, fra me e lui, fra i cani e gli uomini. In fondo siamo i primi animali domestici della Storia!
tutto è cominciato 40mila anni fa. Pensate che già 15-12mila anni fa, millennio più millennio meno, il mio più lontano parente, il primo Canis lupus familiaris della preistoria, accompagnava i suoi umani a caccia e li aiutava a trasportare le prede più pesanti, in cambio di cibo.
Ho visto un suo ritratto, una volta, su alcune rocce dell’altopiano dei tuareg Kel Ajjer, nel deserto del Sahara: aveva la coda arricciata uguale a quella del mio amico Oscar. Ma per il resto no, non gli assomigliava molto: con quelle orecchie a punta e quel muso lungo, sembrava più un lupo. Che poi se ci pensate è normale, visto che è dal lupo grigio (Canis lupus) che ci siamo evoluti. Tutto è cominciato più o meno 40.000 anni fa, quando qualche lupo si è fatto coraggio e, spinto dalla fame, ha cominciato a bazzicare l’uomo. Non erano troppo diversi, quei due: avevano le stesse prede e gli stessi nemici, perciò decisero di unire le forze per sopravvivere, aiutandosi nella caccia.
gli alani, in guerra con i romani. Quei quattrozampe impararono a vivere con gli uomini, diventarono meno selvatici e, col tempo, cambiarono anche fisicamente: denti più corti, testa più piccola… Insomma, per farvela breve: diventarono cani. Cani preistorici, si intende: mica belli come noi cani moderni! Ma all’epoca nessuno badava all’aspetto: ciò che contava era il modo in cui potevamo renderci utili. Alcuni erano più adatti a far la guardia al bestiame, altri ad accompagnare gli uomini a caccia, ma i più minacciosi sapevano far bene la guerra. Il mio trisnonno Gengis, per gli amici Gengis-Can, sosteneva di discendere da una antica stirpe di cani combattenti: molossi grandi e grossi che, al guinzaglio di Assiri, Babilonesi ed Egizi, terrorizzavano i nemici in battaglia. Altri militavano nell’esercito persiano del re Ciro il Grande (VI secolo a.C.) o in quello macedone di Alessandro Magno (IV secolo a.C.). Gli alani, invece, erano i preferiti dei Romani: enormi, con la loro armatura di cuoio e lamelle metalliche, scompaginavano la cavalleria nemica correndole incontro con secchi d’olio fiammeggiante legati sul dorso.
Eroi nella Grande Guerra. Pericoloso quello? Gengis-Can vi risponderebbe raccontandovi che lui, per un soffio, non è saltato in aria durante la Seconda guerra mondiale. Era ancora un cucciolo non svezzato, quando i russi lo addestrarono a cercare il cibo sotto la pancia dei panzer tedeschi. Poi un bel giorno, prima di spedirlo là sotto, lo vestirono di esplosivo… Ebbe fortuna: al posto suo, esplose un povero dobermann che i tedeschi, a loro volta, avevano mandato fra i sovietici. Dopo un po’ immagino ci si faccia il callo: in prima fila a combattere o nelle retrovie a portare messaggi e a salvare feriti, i miei simili sono sempre stati degli eroi.
Serve davvero che vi racconti la storia di quella canaglia del sergente Stubby? Pitbull terrier, coda mozzata, ex randagio di Boston, conquistò diverse medaglie nella Grande guerra, non solo per aver catturato una spia tedesca, ma soprattutto per aver salvato i commilitoni del 102° reggimento di fanteria da una serie di attacchi con il gas mostarda. Come? Grazie al suo fiuto: riconosceva l’odore di quell’arma chimica in larghissimo anticipo.
E voi? Ve lo dico io: un quarantesimo dei nostri. Se fosse qui, ve ne canterebbe un paio il commissario Rex! Non succede solo nei telefilm: i poliziotti addestrati come lui, sanno davvero riconoscere le molecole chimiche che compongono gli odori di droga, esplosivo e veleni. E possono seguire le tracce dei fuggitivi, delle persone scomparse o di quelle intrappolate sotto le macerie. Tra le virtù del nostro sistema olfattivo, c’è anche la capacità di sentire l’odore delle molecole ormonali: è così che ci riconosciamo fra amici, al parco, e che capiamo quando vi sentite giù di morale o se avete qualche brutta malattia. Ho un amico che riesce a fiutare in anticipo persino l’arrivo di una crisi epilettica… O era una crisi ipoglicemica? Beh, una delle due. Non immaginate quante vite possiamo salvare, avvisando per tempo i nostri umani.
Animali sacri per gli antichi greci. Ci sarà un motivo se l’antico dio greco della medicina Asclepio ci ha scelti come suoi animali sacri, no? E poi non potete negarlo: siamo bravi ad assistervi, quando vi trovate in difficoltà. Di miei simili che guidano e accompagnano persone non vedenti esistono affreschi, dipinti, disegni e incisioni fin dal I secolo d.C. Ma col tempo, abbiamo imparato ad avvisare anche i non udenti quando suona il telefono o il campanello, a fare la spesa, aprire le porte o chiamare l’ascensore per gli umani immobilizzati sulla sedia a rotelle. Andiamo volentieri anche negli ospedali, nelle prigioni e nelle case di riposo, per far ridere chi è triste, calmare chi è agitato, svegliare chi è troppo pigro: voi la chiamate “pet therapy”…
I levrieri snob e i bull-terrier acchiappa-topi. E lo so, sembra un gioco, ma per noi è un mestiere duro, proprio come cacciare, fare la guardia e combattere. Lavorare: per secoli non abbiamo fatto che questo, per voi umani. Prendete il Medioevo: i bull terrier erano considerati acchiappa-topi di professione e i cani “girarrosto”, selezionati per le loro zampe tozze, dovevano correre tutto il giorno dentro una ruota, per mettere in funzione gli spiedi su cui gli osti cuocevano la carne.
Se la passavano meglio i levrieri, ma non stavano sempre accucciati davanti al camino: snob e fieri, accompagnavano i nobili a caccia. Così finirono per diventare il simbolo dell’aristocrazia europea, al punto che nel 1016 una legge inglese, rimasta valida per 600 anni, stabilì che non potessero accompagnarsi ai poveri.
La pet-mania. “L’amore per i pet è uno dei fiori della civiltà”, dicevano i britannici all’inizio dell’Ottocento: un indice di rispettabilità e di buona educazione. Avevano scoperto da poco la nostra migliore funzione: farvi compagnia! In piena pet-mania, i ricchi, imitati poi dai borghesi, ci vollero uguali a loro: speciali e molto viziati. La purezza della nostra razza sanciva la loro classe sociale, ci esibivano come status symbol e ci consideravano membri a pieno titolo delle loro famiglie. Ci nutrivano con cibi fatti apposta per noi, ci facevano ritrarre dai pittori, acconciare dai parrucchieri, vestire dai migliori sarti. Dash, lo spaniel preferito della cinofila regina Vittoria d’Inghilterra, riceveva persino un regalo a Natale. Ma, come diceva il mio omonimo francese: “Le follie degli altri non servono a renderci saggi”.
Così, oggi, il mio umano si comporta proprio come quei nobili. E anche se non è un principe, io non lo cambierei con nessun altro al mondo.
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