Volti del Male: le foibe e l’esodo

Volti del Male: le foibe e l’esodo

di Gabriele Boselli

Come accade da qualche anno il dibattito storiografico sulle foibe è oscurato da polemiche di varia provenienza e motivazione che su tutto si reggono  tranne che su una serena analisi di quel che accadde intorno al 1945. La questione è così  sottratta al dibattito scientifico e invasa da retoriche, luoghi comuni, paragoni improponibili, disattenzione alle specificità, moralismi. La ricostruzione storica è sempre poco oggettiva, spesso più racconto che scienza,  ma sull’argomento lo è ancor meno.

            Ne ha fatto le spese una recente lettera ministeriale intenzionata a invitare a una riflessione approfondita. Si potrebbe forse eccepire sulla scrittura (teniamo conto …..

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di  Maria Grazia Carnazzola

Introduzione

 Uno dei problemi che ogni sistema di Educazione, Istruzione, Formazione, si trova ad affrontare è quello relativo alla promozione della competenza linguistica, intesa come strumento cognitivo e non esclusivamente come fatto stilistico. Numerose sono le ricerche recenti, italiane (Vertecchi) e internazionali, che segnalano come l’apprendimento della scrittura manuale, e di quella corsiva in particolare, abbiano una forte rilevanza sull’apprendimento e sullo sviluppo di altre abilità/competenze quali la riflessione critica, la lettura, l’articolazione delle capacità linguistiche e logiche; ma, al di là dell’esaltazione mediatica e della retorica ufficiale- entrambe di breve durata- concretamente ben poco viene fatto per sfruttare compiutamente ciò che, generazione dopo generazione, ha dato forma ai cervelli con la struttura fornita dal mondo fisico e sociale, coniugando  i tempi lunghi della storia naturale con quelli brevi dello sviluppo individuale (Vallortigara) e l’emergere dei “periodi sensibili”. Le neuroscienze cognitive hanno, ora, avvalorato le intuizioni e le posizioni di Vygotskij e di Piaget. Dehaene ha ripetutamente messo in evidenza l’effetto che l’istruzione produce sul cervello umano, sulla riorganizzazione dei circuiti (riciclaggio neuronale), sul coinvolgimento dei circuiti attenzionali, sulla necessità che i processi di scrittura e di lettura diventino automatici per liberare spazi di pensiero e di azione. Questo scritto riprende lavori prodotti per convegni e corsi di formazione, tenuti per docenti e addetti ai lavori.

1. Scrivere e leggere: l’impatto dell’alfabetizzazione

“Une lettre n’est rien qu’un sonSon tracè est la trace de l’homme” (Ladislas Mandel).”

 Cosa significa leggere e cosa significa scrivere? Da una parte c’è l’automatizzazione dei processi di codifica e di decodifica, dall’altra lo sviluppo delle capacità di organizzare, attraverso le relazioni logiche, i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato. Il mondo della ricerca ha chiarito alcune questioni in merito alle variabili che influiscono sull’apprendimento della lingua e delle lingue. Ma il mondo della scuola, dell’infanzia e primaria in particolare, raramente viene coinvolto nella validazione delle ipotesi di ricerca e, in questo modo, gran parte delle conoscenze non vengono utilizzate. L’apprendimento infantile, che deve necessariamente partire da una costruzione di pensiero pratico, utilizza le prime acquisizioni della lingua orale per integrare pensiero e linguaggio e dare origine al pensiero logico. È necessario partire da attività concrete e agite direttamente, arricchendo ogni esperienza con la codifica verbale durante l’interazione sociale, offrendo molteplici occasioni per poter parlare, perché a parlare si impara, così come si impara a scrivere. Il linguaggio scritto, infatti, va considerato come parte integrante dell’ambito linguistico generale, come integratore e amplificatore del linguaggio orale e strettamente dipendente da questo: entrambe le forme sono costruite sullo stesso sistema linguistico. Codice orale e scritto rappresentano gli stessi significati: ciò che può essere scritto può essere detto e viceversa. Maggiore sarà la padronanza del linguaggio orale, più facile sarà l’acquisizione del codice scritto. Il linguaggio orale è un sistema arbitrario, culturalmente determinato, composto da lessico e sintassi. Il lessico codifica i contenuti del pensiero, la sintassi indica i significati lessicali attraverso modifiche morfologiche – desinenze, suffissi, prefissi – e dell’ordine delle parole nelle frasi. Il codice uditivo temporale poggia sull’emissione sequenziale di unità minime, le sillabe, che vengono collegate senza discontinuità in unità significative, i sintagmi, interrotti da brevi pause. Il codice visivo-spaziale, la lingua scritta, ordina i segni da sinistra a destra (per alcuni sistemi) in modo da riprodurre le sequenze di sillabe, inserendo spazi tra le parole e segni per marcare le intonazioni. Mancano l’accentuazione degli elementi della frase e i riferimenti immediati al contesto. La lingua scritta rappresenta la ricodifica in forma visiva di quella orale riflettendone l’arbitrarietà lessicale e sintattica: chi scrive traspone in forma visivo-spaziale il codice uditivo-temporale con segni grafici arbitrari per la codifica dei fonemi. Parlato e scritto sono processi governati da regole psicologiche, sociali e linguistiche solo in parte simili. Cercare il modo, o i modi, per associare le due forme di linguaggio in modo stabile, ben automatizzato e transitivo può essere un importante terreno di ricerca e di pratica. Il primo passaggio dalla forma orale a quella scritta è costituito dall’associazione stabile e transitiva tra la modalità uditivo-vocale e quella visivo-motoria. Ma quali sono i percorsi per passare dal parlato allo scritto, e viceversa, per una corretta automatizzazione di codifica/decodifica, partendo dalla fluidità motoria della mano e dell’occhio?  La scrittura manuale è un gesto di motricità fine tra i più complessi e precisi che l’uomo è in grado di compiere ed è, per questo, uno strumento tra i più avanzati e precisi di interazione con l’ambiente. Inoltre, nei dinamismi di base della scrittura corsiva (organizzazione, pressione, ritmo, armonia, direzione, flusso, ordine) si possono rintracciare, a livello pratico, tutti gli aspetti che dovrebbero caratterizzare una personalità adulta autonoma, consapevole, orientata e responsabile. Lo sforzo di vedere i percorsi educativi nella loro complessità, potrebbe contrastare la tendenza a vedere i fatti e gli accadimenti (e le loro narrazioni) come fenomeni isolati su cui intervenire nell’immediato, sottovalutando l’inevitabile manipolazione che ogni “isolamento” porta con sé.  Lettura e scrittura sono mezzi di comunicazione culturalmente appresi. Sono oggetti convenzionali e permanenti: convenzionali in quanto oggetti socio-culturali; permanenti perché richiedono l’attivazione di processi cognitivi complessi e, quindi, un ruolo attivo e consapevole del soggetto che apprende. Permanenti non significa, qui, immutabili. La rapidità con cui mutano gli scenari economici, sociali e culturali impongono costanti adattamenti degli strumenti utilizzati, la rimodulazione e la riformulazione dei concetti e delle pratiche. E per la prima volta, nella storia della nostra civiltà, gli adulti sono in difficoltà nell’insegnare alle giovani generazioni l’uso degli strumenti di accesso alla conoscenza. Per molti secoli, pur con i cambiamenti derivanti dall’evoluzione della tecnica, gli strumenti e le pratiche d’uso erano sostanzialmente le stesse e tramandate da una generazione all’altra. Ora, la generazione digitale si appropria delle conoscenze con nuovi strumenti e per questi giovani le forme e i mezzi di comunicazione vecchi e nuovi coesistono, si sovrappongono, possono integrarsi. Il problema, semmai, ed è un problema serio, è che l’eccesso di informazione disorganica che ne deriva, interferisca negativamente con la capacità di dare una forma ai saperi e alla conoscenza, cioè di riportare ogni dato di informazione a un contesto di senso- da intendere come direzione e come significato- per poter essere utilizzato e comunicato. E una delle principali forme di comunicazione continua ad essere la scrittura.  Ma cosa significa scrivere? Credo che a questa domanda abbia risposto, in modo esauriente e originale il filosofo Carlo Sini: “La scrittura come già aveva capito molto bene Husserl, e su cui è tornato Derrida, è un’operazione economica: cioè io metto in frigorifero e la scongelo molto più in là. Questo significa che gli enunciati della lingua parlata sono in situazione. Queste parole, nel momento in cui le scrivo, queste parole possono andare in Canada così come possono andare nel 2800.Questo è il destino imperscrutabile delle cose. L’operazione è economica nel senso che è produttiva, universalizza il messaggio, lo rende disponibile a molti trasferimenti di senso, ma nello stesso tempo pone il problema ermeneutico fondamentale: ogni volta noi ci scontriamo con un oggetto che possiamo chiamare scrittura, ma in fondo tutti gli oggetti fatti dall’uomo sono scrittura della sua azione, delle tracce del suo lavoro, della sua operatività. Non dobbiamo cadere nella superstizione oggettivistica, naturalistica, storicistica “adesso ti dico cosa lui voleva fare. Certo questa è una buona intenzione…ma la scrittura è il luogo del dialogo, il luogo della trasformazione conforme e non il luogo della oggettività imposta”.   

Quindi, scrivere significa, da una parte, organizzare personalmente attraverso le operazioni logiche, i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato; dall’altra automatizzare i processi di codifica-decodifica come detto più sopra. Sullo sfondo rimane il problema, serissimo, delle modalità di scrittura: a mano, con quale carattere grafico, con la tastiera…È ormai opinione condivisa, dai più accreditati studiosi di neuroscienze cognitive, che la scrittura manuale non deve essere abbandonata perché è un insostituibile catalizzatore dello sviluppo motorio e cognitivo. Steve Jobs, che in età adulta frequentò un corso di scrittura corsiva, ebbe a dire che, se fosse riuscito a replicare la mano, avrebbe realizzato “un prodotto da urlo”

2.  Scrivere è un fatto culturale, è un fatto personale, è un fatto sociale.

Scrivere è un fatto culturale, intendendo con questo che c’è una “storia” della lettura e della scrittura che viene riassunta come segue: 

il parlare è programmato geneticamente, lo scrivere e il leggere no, sono prodotti culturali: questa osservazione dovrebbe farci riflettere maggiormente sui disturbi specifici di apprendimento e sui mancati apprendimenti.

Leggere e scrivere modificano geneticamente il cervello.

La lettura e la scrittura testimoniano la capacità del cervello di superare l’organizzazione originaria delle sue strutture.

Il cervello che legge, e che scrive, cambia il modo di ragionare sui fatti e sul mondo: il mondo e l’azione stanno insieme nelle parole.

Ma scrivere/leggere è anche un fatto personale che riguarda l’evoluzione e lo sviluppo individuale. Le domande di fondo sono le seguenti: come ciascuno impara a leggere e a scrivere? Quali sono i parallelismi, le diversificazioni e le curvature del necessario insegnamento? Cosa succede quando si impara a leggere e a scrivere? E cosa succede quando non si impara?

Infine, scrivere è un fatto sociale.  Ma perché nel titolo “, scrivere” (e quindi leggere che è l’altra faccia della medaglia) è stato posto all’inizio della sequenza? È risaputo che i bambini “pensano” a livello pratico prima di fare e prima di dire, ma è altrettanto evidente che è compito della scuola quello di accompagnare tutti alla miglior padronanza possibile del pensiero logico, inteso come capacità di riflettere, prevedere, valutare. Queste riflessioni le ho spesso condivise e discusse con i Collegi dei docenti degli Istituti, Comprensivi o Istituti di secondo grado, nell’ambito dei percorsi di formazione finalizzati alla costruzione di un curricolo linguistico verticale, continuo e progressivo. La centralità dell’uso cognitivo della lingua e la sua trasversalità, sono state ampiamente condivise, così come condivisa è stata la riflessione intorno al peso della diffusa scarsa competenza alfabetica. E’ ricorsa spesso l’ipotesi che le difficoltà manifestate dalla maggioranza degli allievi nello scrivere, e la conseguente   perdita di autonomia, derivi da un insieme di pratiche che vengono meno, come la scrittura a mano- in corsivo in particolare- a vantaggio dell’utilizzo di dotazioni strumentali che, al di là della loro caratteristica di funzionalità, assumono un connotato di modernizzazione delle pratiche didattiche da contrapporre alle pratiche tradizionali.  Rivedere le modalità metodologicodidattiche con cui impostare l’apprendimento/ insegnamento della scrittura, e quindi della lettura, portando in primo piano tutti quegli aspetti che riguardano sia la padronanza dei segni e la capacità di riconoscerli e di riprodurli per collegarli, sia le operazioni mentali che si manifestano attraverso il linguaggio e si concretizzano nella produzione e nella comprensione dei testi, è stata individuata come uno dei punti di attenzione. Riprendendo la ricerca empirica riportata nel testo “I bambini e la scrittura” di Benedetto Vertecchi, in particolare l’ipotesi n.4, si potrebbero articolare  progetti sperimentali classici, con gruppi di apprendimento che sperimenteranno l’uso del corsivo e gruppi di controllo, riconducendo le fasi dei percorsi ai passaggi fondamentali del progettare, agire, osservare, valutare, per migliore da un lato la prassi didattica e dall’altro le competenze di scrittura degli allievi, coordinando le attività manuali con quelle mentali. Perché non provare? 

3. Tecnologie, mente, cervello.

Le macchine, la tecnologia fanno parte del nostro mondo e della nostra vita, non lo dimentichiamo, non possiamo ignorarlo. Il loro uso, in positivo e in negativo, influenza la nostra mente e, di conseguenza, il nostro funzionamento cerebrale.  Come si potrà imparare a leggere e a scrivere, quali i percorsi di insegnamento/apprendimento della strumentalità di base: leggere, scrivere, far di conto, per utilizzare un vocabolario desueto. Chi ha insegnato e insegna ad utilizzare gli strumenti di accesso alla cultura, sa quanto di relazione, di accompagnamento anche fisico richieda questa fase dell’apprendimento/insegnamento dove il percorso è sempre un fare-dire-pensare (inteso come rappresentazione concettuale). Ma ancora prima, occorre chiedersi se scrivere a mano o sulla tastiera sia la stessa cosa, se impegni gli stessi processi cognitivi, la stessa attenzione, le stesse operazioni mentali, se richiede lo stesso tipo di manualità.

Sappiamo- dalla letteratura di riferimento- che la scrittura a mano, e in corsivo, è il gesto di motricità fine tra i più precisi e complessi che l’uomo sia in grado di compiere ed è uno strumento estremamente avanzato e raffinato di interazione con l’ambiente che richiede aggiustamenti, esercizio e tempi distesi e un accompagnamento costante che può essere continuato in famiglia, ma non può essere delegato. Gli allievi hanno ritmi, modi e tempi diversi di apprendimento, ma tutti hanno lo stesso diritto di apprendere, vale anche per chi ha una disabilità o fa riferimento a un’altra cultura…  Tornando all’apprendimento della scrittura a mano: l’abbandono di questo strumento può essere una perdita oggettiva di potenzialità? Che rapporto c’è tra il pensare in modo logico e lo scrivere? Da una parte l’automatizzazione dei processi di codifica e di decodifica, dall’altra lo sviluppo delle capacità di organizzare, attraverso le relazioni logiche i contenuti da comunicare e le modalità per esprimerli con il codice più adeguato. Il passaggio dalla forma orale a quella scritta si fonda sull’associazione stabile e transitiva tra la modalità uditivo-vocale e quella visivo-motoria. Il secondo passaggio riguarda la scelta del carattere grafico: corsivo, stampatello, script; in contemporanea, in sequenza, quale per primo, con quali tempi di apprendimento su cui calibrare quelli di insegnamento. Tutte domande a cui bisognerà trovare una risposta. Così come bisognerà riflettere sui percorsi che si dovranno proporre finalizzati alla prensione della penna a pinza superiore o per far acquisire le direzioni destra/sinistra, alto/basso, aspetti spesso poco considerati…

 Scrittura a mano Video-scrittura– – – – –Utilizzo di una sola mano; le lettere vengono collocate nello spazio (limitato intorno alla punta della penna); attenzione concentrata su questo unico punto (tempo e spazio); chi scrive deve dare forma alla lettera in relazione al modello; c’è un rapporto diretto tra l’atto motorio e il prodotto grafico e l’esperienza coinvolge tutto il corpo e tutti i sensi; la      grafica        si       velocizza          e        si personalizza.– – – –Uso pressocchè paritario di entrambe le mani; il gesto (pressione sul tasto) si estrinseca su due spazi distinti: lo spazio motorio (tastiera) e lo spazio visivo (schermo) dove chi scrive controlla il prodotto; l’attenzione oscilla tra i due spazi separati; il rapporto diretto tra il processo di realizzazione e il risultato grafico, manca nella videoscrittura; manca la consapevolezza del movimento necessario per l’esecuzione delle diverse lettere; la digitazione sulla tastiera risponde alla costruzione di uno schema di memorizzazione della collocazione spaziale e delle forme delle lettere;  –la scrittura si velocizza ma non si personalizza.

Molte ricerche sulla “scrittura”, condotte in ambito neuropsicologico e di pedagogia sperimentale hanno messo in evidenza che la rappresentazione mentale delle lettere e la loro memorizzazione cambia a seconda dello strumento di scrittura utilizzato; scrivere a mano e digitare sulla tastiera si associano a schemi cerebrali diversi che danno luogo a prodotti diversi. La scrittura a mano potenzia l’attivazione delle aree cerebrali, favorisce lo sviluppo cognitivo, influisce positivamente sulla capacità di pianificazione e di controllo delle proprie azioni, come dimostrato da K. James1, Indiana University, Dipartimento di neuroscienze. E ancora la fluidità e l’automazione del gesto grafico influenzano positivamente tutte le writing skills, con maggiori fluidità comunicativa e produzione scritta. La prospettiva possibile? Integrare la scrittura a mano e la videoscrittura in modo da sfruttare le potenzialità offerte dalle tecnologie, senza perdere le funzioni esclusive prodotte dalla scrittura manuale corsiva. Solo così le nuove generazioni avranno chiavi di accesso veramente multimediali alla conoscenza e alla comunicazione. Ma per integrare bisogna aver appreso separatamente ciò che deve essere integrato. Il nostro cervello è plastico, non è elastico e ciò che va perduto non potrà essere recuperato in tempi brevi. Già Nietzsche, dopo aver imparato a usare la Writing Ball per dattiloscrivere i testi, condivideva con l’amico Koselitz la convinzione che gli strumenti di scrittura hanno un ruolo nella formazione dei nostri pensieri.

4. Conclusioni.

 M. Wolf della Tufts   University, nel libro “Proust e il calamaro”, sostiene che il nostro cervello non è fatto per scrivere e per leggere spontaneamente: leggere e scrivere non sono fatti naturali ma culturali. Per farlo, esso deve realizzare nuovi circuiti collegando regioni che geneticamente avrebbero altre funzioni. Ma è grazie alla scrittura che l’umanità ha fatto enormi progressi e questo giustifica gli sforzi che ciascuno deve fare, e che la scuola deve permettere di fare e insegnare a fare-quello che io chiamo il diritto alla fatica- per imparare a leggere e a scrivere; competenze, queste, fondamentali per divenire, come forma mentis e modus operandi, cittadini attivi e godere appieno del diritto di cittadinanza con competenza di pensiero e competenza di azione. Per questo l’educazione linguistica non può essere responsabilità del solo docente di italiano, né ridursi esclusivamente a una questione formale e stilistica. Didatticamente, questo rimanda alla interdipendenza tra padronanza linguistica e strutturazione del pensiero, alla lingua come elemento trasversale: precondizione, strumento e prodotto di tutti gli apprendimenti disciplinari. Pensando alle situazioni diversissime che vivono i ragazzi, alle differenze individuali e sociali che abitano le nostre scuole,  i docenti della scuola superiore non possono, perciò, non sapere come si impara/insegna a scrivere, quali siano i processi cognitivi che regolano la scrittura- a partire dagli aspetti strumentali-, il rapporto tra padronanza linguistica e strutturazione del pensiero: la lingua, orale e scritta, è lo strumento e il prodotto di tutti gli apprendimenti disciplinari, come sostiene anche S. Dehaene nel testo “I neuroni della lettura”. Credo sia necessaria e urgente da

parte della società civile tutta (ma in particolare da parte dei ricercatori e delle persone di scuola, perché a guardare le cose più da vicino c’è sempre qualcosa in più da capire), un serio e approfondito lavoro di riflessione sulla cultura e sul sapere, partendo dal patrimonio di conoscenze tecniche e culturali effettivamente possedute in questa fase storica e in questo particolare non proprio felice momento. Non si può pensare a un serio progetto di cambiamento del mondo scolastico considerando solo gli aspetti organizzativi, istituzionali e gestionali che sono importanti se ricondotti alla finalità del progetto culturale e non viceversa.  

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Chomsky N., Moro A., (2022), I segreti delle parole, Milano, La nave di Teseo

De Ajuriaguerra J., (1971), L’ècriture de l’enfant, Delachaux

Dehaene S, (2022), Vedere la mente, Milano, Raffaello Cortina

Dehaene S., (2007), I neuroni della lettura, Milano, Raffaello Cortina

Piaget J., (2016), Epistemologia genetica, Roma, Ed. Studium

Sini C., (2002), La scrittura e il debito, Milano Jaca Book

 Vallortigara G., (2023), Il pulcino di Kant, Milano, Adelphi

Vertecchi B., (2016), I bambini e la scrittura. L’esperimento Nullo die sine linea. Milano, Franco Angeli

Vygotskij L., (2013), Pensiero e linguaggio, Roma, Editori Laterza

Vigotskij L., Lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori

Wolf M., (2009), Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Milano, Vita e Pensiero

Wolf M, (2018), Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, Milano, Vita e pensiero

Precari al 30 giugno, docenti che reggono la scuola: “Non riusciamo a mettere mai radici, così è mortificante”

Di Andrea Carlino

Il 30 giugno rappresenta un momento cruciale per il mondo della scuola, in particolare per i docenti precari, i cui contratti sono terminati proprio a fine mese. Ora, questi insegnanti navigano in un mare di incertezza, con l’auspicio di essere richiamati a settembre. Stessa situazione anche per il personale Ata con contratto fino al termine delle attività didattiche.

Il docente precario è un professionista che deve adattarsi e reinventarsi costantemente. Nonostante gli sforzi, la precarietà del contratto impedisce la creazione di legami duraturi con gli studenti e un senso di appartenenza alla comunità scolastica. Questa situazione, che molti ritengono mortificante, è una realtà comune per molti docenti.
La precarietà non influenza solo il benessere degli insegnanti, ma anche l’esperienza di apprendimento degli studenti. L’instabilità può ostacolare la continuità educativa, poiché i docenti assunti a tempo determinato potrebbero non essere disponibili per l’anno scolastico successivo. Si tratta di una questione che va oltre l’individuo e ha implicazioni più ampie per l’intero sistema educativo.
Quali sono i loro diritti
Tuttavia, anche in questo limbo, i docenti non sono privi di diritti. Infatti, i docenti hanno diritto a indennità di disoccupazione NASPI, trattamento di fine rapporto (TFR) e pagamento delle ferie non godute.
A partire dall’1 luglio, i docenti con contratti scaduti il 30 giugno possono presentare domanda di disoccupazione NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), purché soddisfino alcuni requisiti. Devono essere disoccupati, aver versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni e avere effettuato almeno 30 giornate di lavoro negli ultimi 12 mesi.
La domanda di NASPI, secondo il D.lgs 150/2015, può essere presentata online all’INPS o tramite un patronato. Essa equivale alla Did (dichiarazione di immediata disponibilità). Dopo 15 giorni, gli interessati devono recarsi al Centro per l’Impiego per la convalida della Did e la sottoscrizione del Patto di Servizio.
La NASPI spetta a diversi tipi di lavoratori che hanno perduto involontariamente l’occupazione, tra cui i docenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni. Non spetta invece ai dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche Amministrazioni, agli operai agricoli e ai lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale.
L’importo è calcolato in base alla retribuzione media mensile degli ultimi quattro anni e all’indice ISTAT. L’indennità decorre dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, se la domanda viene presentata entro l’ottavo giorno.
Il TFR è una somma di denaro corrisposta al lavoratore al termine del rapporto di lavoro, determinata dall’accantonamento di una quota annua sulla retribuzione. Il TFR viene liquidato non prima di 12 mesi dalla scadenza del contratto. L’importo è determinato dall’accantonamento, per ogni anno di servizio o frazione di anno, di una quota pari al 6,91% della retribuzione annua e dalle relative rivalutazioni. In caso di frazione di anno, la quota è ridotta in maniera proporzionale e si calcola come mese intero la frazione di mese uguale o superiore a 15 giorni. La liquidazione è corrisposta d’ufficio, pertanto il lavoratore non deve fare alcuna domanda per ottenere la prestazione.
Tutti gli insegnanti che sono stati assunti a tempo determinato e il cui contratto scade al 30 giugno hanno diritto a ricevere un pagamento per le ferie non godute. Il calcolo di questa somma si basa sulla differenza tra i giorni di ferie totali che l’insegnante avrebbe dovuto prendere e i giorni in cui non c’erano lezioni durante il periodo del contratto.
È importante notare che i giorni di sospensione delle lezioni, durante i quali l’insegnante avrebbe potuto prendere le ferie, vengono conteggiati in questo calcolo, indipendentemente dal fatto che l’insegnante abbia o meno richiesto di prenderli come giorni di ferie. Pertanto, la differenza risultante tra i giorni di ferie dovuti all’insegnante e i giorni in cui le lezioni sono state sospese sarà convertita in una somma monetaria.
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