Concorsi docenti, presidi e ispettori

Nuovi docenti, presidi e ispettori per una scuola con troppe leggi, poca educazione e tanta conflittuale mutevolezza.

Il commento di Paolo Francini rilasciato a margine dell’articolo “Quanto rendono i concorsi nella scuola” merita decisamente una riflessione. Innanzitutto per l’amarezza che vi traspare, che accomuna le persone competenti ed oneste, intellettualmente e professionalmente, quando ragionano dei fatti della scuola.  Un’amarezza espressa anche da Mariangela Cacace, docente di  Educazione Artistica e artista di valore (espone le sue opere pittoriche, grafiche e plastiche non solo in Italia), che lo fa, ovviamente, a suo modo, graficamente: La filosofica famiglia abbandona il palazzo della Minerva.

La composizione di Mariangela Cacace

Il palazzo è rimasto vuoto. Vuoto di sapere, di razionalità, di consistenza. Alleggerito della testa pensante. La testa è traslocata all’esterno, non è più in quelle stanze. È molto di più della vicenda di San Dionigi e di come metaforicamente la interpretò Michel Serres: una testa di carne sostituita da una testa di silicio che è sempre fra le mani.

L’opera grafica di M. Cacace rende bene la globale percezione di una scuola che fluttua senza peso, alleggerita di tante cose, finanche del ricordo della sua storia.

Naviga così, senza bussola, in un mare agitato da leggi, da nomi e sigle, tante, difficili e incomprensibili, da interessi, naturalmente contrastanti, da incomprese competenze di cui molti, anche l’Invalsi, si pongono come soggetti certificatori. Tutto ciò conseguenza, soprattutto, del grande esodo degli ispettori tecnici, parti del corpo della scuola che più ne rappresentavano il patrimonio di sapere e di funzioni. Non hanno abbandonato solo la sede di Viale Trastevere, ma anche le sedi periferiche dell’amministrazione. Da un organico di 696 unità a metà degli anni novanta sono ridotti oggi a una ventina, ancora intellettualmente radicati in uno specifico settore disciplinare, e a un’altra ventina di incaricati, per così dire, “generalisti”.

Il fatto è che, se si chiede anche ad uno di loro perché gli ispettori tecnici siano praticamente scomparsi dal sistema scolastico, le risposte sono le più varie. Alcuni dicono per una sorta di superpoteri di cui erano investititi e che occorreva limitare perché potevano far danni, altri per la lotta interna con i dirigenti amministrativi che ne hanno progressivamente eroso il contingente in organico, altri perché avrebbero potuto ostacolare la politica tesa a favorire ruolo e autonomia dei dirigenti scolastici, nonché quelli di enti e agenzie, comprese Università e Invalsi, mentre altri ancora ne individuano le colpe in alcuni ministri e in particolare in Luigi Berlinguer, per il quale di ispettori non c‘era proprio bisogno, perché per i saperi di cui erano titolari ci si poteva sempre rivolgere a docenti universitari.

Ugo Piscopo, già dirigente superiore per i servizi ispettivi del MIUR (settore umanistico)

Il dato di fatto è che gli ispettori tecnici non ci sono più.

E il bando annunciato di un nuovo concorso, per il quale fervono già numerosi i corsi di preparazione, è per una figura molto diversa da quella di una volta, di quando l’ispettore tecnico nella sua qualità di dirigente superiore per i servizi ispettivi dipendeva direttamente dal ministro, era equiparato ai docenti universitari e come questi era collocato in pensione a 70 anni. La figura di Angelo Flores, che Ugo Piscopo ha voluto ricordare su queste pagine, è esemplare al riguardo. Raggiunto il pensionamento da provveditore agli studi, chiese ed ottenne di transitare nel ruolo dei dirigenti superiori per i servizi ispettivi, passaggio che gli era dovuto perché già professore e preside di ruolo.  Concluse così una carriera di studi e di impegno come ispettore tecnico per il settore della matematica e della fisica nelle scuole superiori della Repubblica.

Ora i settori disciplinari non esistono neppure come specifici ambiti di indagini ispettive tecniche.

Già declassati dalla riforma Bassanini – Berlinguer, adesso gli ispettori, come li prevede il nuovo bando, sono tutti uguali. Tutti generalisti. Sono come i presidi i quali, tutti adatti ad ogni sorta di scuola, si fanno merito di dirigere scuole superiori con decine di indirizzi di studio, quando ciò dovrebbe essere misura del loro demerito. Il nuovo bando è per dirigenti tecnici con funzioni ispettive posti alle dipendenze del potere amministrativo, dei capi dipartimento e direttori generali regionali, e ad essi secondari.

Le prove scritte del concorso non sono più tre (come nel  concorso per magistrato) ma ridotte a due.

La terza prova disciplinare è abolita, perché, probabilmente, per quello che deve fare, la Scuola non ha più bisogno di ispettori di matematica e fisica o di latino e greco o di musica e arte o per la scuola dell’infanzia e quella primaria. Ha bisogno, nella visione di chi l’ha deciso, di dirigenti tecnici che siano più versati nelle leggi che nella pedagogia e nella filosofia dell’educazione. Qualcosa cioè che è la visione  che domina l’ambiente dei dirigenti scolastici: “più giuristi che pedagoghi” secondo l’efficace espressione di uno dei più autorevoli esperti di leggi della scuola. Un principio che passa come una necessità per far fronte a “norma di legge” ad una platea scolastica fatta di genitori intrattabili, il male della scuola.

Una volta invece chi, eventualmente, da preside accedeva al ruolo di ispettore era consapevole di lasciare l’amministrazione attiva e di riavvicinarsi al mondo dei docenti ossia dell’insegnamento e dell’apprendimento, alla cultura e alle finalità della scuola.  Questa differenza non è più percepibile.

Ed ecco un altro cambiamento: investe i concorsi per docenti che sono in fase di espletamento.

Francini nota che le prove sono del tipo veloce, test computer based, quest’anno addirittura a risposta multipla, mentre lo scorso anno erano a risposta aperta. Con riferimento a queste ultime Francini scrive: «Abbiamo visto prove scritte da svolgersi digitando al computer solo testo, dove i candidati sono stati chiamati a concorrere per una cattedra di matematica senza poter tracciare un diagramma, un grafico, una figura geometrica, un simbolo di integrale o anche solo un polinomio. In tempi strettissimi!». Verissimo! Ma io sarei anche disposto a perdonare i test, a risposta aperta o multipla. Ci sono sempre tante buone ragioni che ne potrebbero giustificare l’utilizzazione. Ciò che ritengo cosa davvero grave è la decisione, ministeriale, di non pubblicare le prove, quali che siano.

Quelle dello scorso anno, a risposta aperta, non sono mai state pubblicate.

Ci può essere una decisione più insipiente? Più che dal programma di concorso, la preparazione può trarre vantaggi dagli esempi di prove assegnate nei concorsi passati. Sono esperienze che indirizzano, un terreno solido su cui muoversi, come  sempre è stato. Sarebbe il vero guadagno dei concorsi: far conoscere argomenti, procedure, temi sulla cui base selezionare gli insegnanti. No, il Ministero le prove le ha secretate. Il Ministero ha fatto suo il criterio utilizzato dall’Invalsi che, non avendo mai capito il suo compito, nasconde i suoi test e opera per chissà che cosa, necessitando di far scena col dare i numeri, spiattellando statistiche che imbrogliano e a maggior ragione  non servono, come non sono servite finora, a niente, mentre avrebbero dovuto servire a tenere insieme le scuole sul perseguimento dei risultati di apprendimento attesi a conclusione di un ciclo di studi.

Teste ben fatte tollererebbero tutto ciò?

Tollererebbero le spumose sciocchezze che quotidianamente tanti preparatori improvvisati, spesso neppure per  colpa loro, diffondono nella preparazione dei futuri docenti e dirigenti, scolastici e tecnici? Cos’è oggi autonomia didattica e cos’è sperimentazione? Quanti ci si raccapezzano? In che termini si può parlare di programmi d’insegnamento? Perché abbiamo Indicazioni Nazionali per i licei scritte su una sola colonna  e invece Linee Guida per tecnici e professionali scritte su due e addirittura sulle tre colonne delle conoscenze, abilità e competenze, i risultati attesi a conclusione dell’obbligo d’istruzione? In quali termini di validità si può parlare degli assi culturali? Sono questioni sulle quali se ne sentono di tutti i colori. È questo il sistema che rende una testa ben piena, ma per niente ben fatta.

Una testa pesante in una scuola alleggerita della testa pensante.

Quale filosofica famiglia avrebbe potuto consentire la prescrizione dei 24 CFU per accedere ai concorsi per docente? Chi li ha escogitati e chi li ha approvati erano proprio all’oscuro del commercio al quale avrebbero dato luogo? E quale onesto uomo avrebbe mai consentito che la partecipazione alle prove Invalsi dell’ultimo anno costituisse requisito ineludibile per sostenere gli esami di Stato? Che c’entra l’Invalsi con la maturità?

E, per farla breve, chi potrebbe dare assenso, essendo compos sui,  al presunto principio formativo di dirigenti, sia scolastici che tecnici, più giuristi che pedagoghi,  reclutati per far fronte anche ad una tendenza dei genitori ad essere sempre più iene verso la scuola? Quale è la morale della favola senza lieto fine?  Non si dovrebbe perlomeno sottolineare  che la legge della scuola è proprio quella pedagogica ed etica insieme, quella che non stimola il contenzioso, quella che non fomenta la divisione all’interno della scuola, ma la unisce? Quella legge, insomma, che non genera né cavalca la guerra di  presidi contro presidi, docenti contro docenti, presidi e docenti contro genitori, studenti contro tutti. Che scuola è una scuola fuorilegge? Perché non ci si ferma a riflettere, vietando ai politici almeno per un quinquennio ogni provvedimento normativo sulla Scuola?

ALTRI RIFERIMENTI:

Verso la distruzione dell’istruzione

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