Leopardi spiega le longitudini
Un quesito della maturità e l’entusiasmo di Leopardi per le novità della scienza e della tecnica. Il calcolo delle longitudini risolto da un orologiaio inglese.
Nel tema di matematica della maturità scientifica della sessione ordinaria del 2007 fu proposto per tutti gli indirizzi di studio, sia di ordinamento che sperimentali, il quesito:
Per orientarsi sulla Terra si fa riferimento a meridiani e a paralleli, a latitudini e a longitudini. Supponendo che la Terra sia una sfera S e che l’asse di rotazione terrestre sia una retta r passante per il centro di S, come si può procedere per definire in termini geometrici meridiani e paralleli e introdurre un sistema di coordinate geografiche terrestri?
Il quesito non fu granché affrontato dagli studenti.
Molti docenti però riconobbero che si trattava di una questione su cui era decisamente utile saggiare la maturità di un candidato. Che un punto sulla Terra abbia coordinate che sono date dalla latitudine e dalla longitudine era fatto noto e oggetto di studio, cionondimeno gli studenti sembrarono smarriti nel descrivere come si potesse introdurre un sistema di riferimento a partire da paralleli e meridiani. Cosa rappresentassero i primi, cosa i secondi. Non si hanno informazioni più precise riguardo alle reazioni al quesito da parte degli studenti anche perché mancarono i dati dell’indagine Matmedia, in quell’anno non effettuata.
Il problema è però fondamentale e affonda le sue radici nella storia dell’umanità e, in particolare, nella storia della navigazione.
Che l’equatore giochi un ruolo di scelta obbligata, mentre fissare un meridiano di riferimento sia più che altro una scelta per così dire politica, fu già riconosciuto da Tolomeo nel II secolo. Questa differenza – come ha scritto Dava Sobel in Longitudini, 1996 – fa del calcolo della latitudine un gioco da ragazzi, e rende la determinazione della longitudine, specialmente in alto mare, un rompicapo per adulti che ha sfidato per secoli le migliori menti del mondo tra le quali anche quelle di Galileo e Newton. Il problema fu risolto dall’orologiaio inglese John Harrison (1693-1776), genio della meccanica.
Il giovanissimo Giacomo Leopardi espone importanza e soluzione del problema nella sua Storia dell’Astronomia, della quale si è già parlato ripetutamente su queste pagine [VEDI].
Lo fa in un modo che, proposto a giovani studenti, può rivelarsi di grande valore didattico per la chiarezza e l’immediatezza dell’esposizione e perché fa comprendere quanto seri siano stati gli studi compiuti da Giacomo (tra l’altro, studiò anche l’opera di Buffon, all’epoca aggiornatissima) e quanto forte sia stata la passione che nutriva sia per le scoperte scientifiche che per le novità nel campo della tecnica: gli automi, i parafulmini, la pentola a pressione, il telegrafo, la navigazione aerea, le macchine a vapore, il tunnel Rotherhithe sotto il Tamigi e persino la “menstrua beltà” (ovvero “mutevole bellezza”) dei nuovi arredamenti di cui parla nella Palinodia1.
Ecco allora come Giacomo Leopardi illustra il problema della determinazione delle longitudini in mare aperto. Una lettura da fare in classe, tutti insieme.
M. Ditton insieme con un altro letterato credé di aver data la soluzione del problema delle longitudini proponendo di fissar sul mare ad ogni 200 leghe dei vascelli incaricati di far partire a mezza notte precisamente una bomba secondo una direzione perpendicolare, affinché i naviganti, vedendo il crepar della bomba, paragonassero l’ora contrassegnata da questa con quella indicata nel vascello e venissero a conoscere i meridiani, e per conseguenza le longitudini.
Ma questo progetto fu trovato assai difficile ad eseguirsi. Se può nel medesimo istante conoscersi qual ora è in due diversi luoghi, la differenza delle ore indicherà quella delle longitudini. Se si osservi l’istante di un fenomeno celeste e si calcoli l’istante, in cui il medesimo fenomeno è osservato in altro luogo, la differenza di questi istanti dà quella delle longitudini. Ma non sempre il cielo è sereno, né sempre per conseguenza far si possono le necessarie osservazioni. Il metodo più facile consisteva nell’imbarcare sul vascello un orologio, il quale esattamente, e senza disordinarsi, conservasse l’ora del luogo della partenza.
L’orologeria è una delle arti più necessarie all’astronomia. Questa fu migliorata da Sully, Graham, le Roi, e dai loro successori fu utilmente applicata alla navigazione. Egli è Bailly che dice questo, quello stesso che dice, che il Sig. Giovanni Harrison costruì una mostra, della quale fe’ prova ponendola sopra un gran battello in un fiume in occasione di un tempo burrascoso. Trasportolla sopra una nave sino a Lisbona, e da Lisbona sino in Inghilterra, e diede molto esattamente all’ingresso della Manica la differenza tra il meridiano di Lisbona e quello della nave. Harrison fece ancora due altre mostre, e la Società Reale accordogli una medaglia d’oro. Egli fece un quarto strumento, il quale essendo assai ben riuscito, furongli sborsate 5000 lire sterline, ed altrettante ancora dopo una seconda prova. Harrison in conseguenza di una determinazione del Banco delle longitudini, a tenore della quale doveano le altre 10000 lire, che richiedevansi a compir la somma delle 20000, venirgli sborsate quando egli avesse reso intelligibile al pubblico il secreto del suo metodo; consegnò la sua macchina e ne dié loro in iscritto la spiegazione. Le Roi e Bertoud fecero ancor essi consimili orologi marini, ciascuno di sua invenzione.”Giacomo Leopardi, Storia della Astronomia, 1813
Nota
Dalla Palinodia vv. 115-134
Meglio fatti al bisogno, o piú leggiadri
certamente a veder, tappeti e coltri,
seggiole, canapé, sgabelli e mense,
letti, ed ogni altro arnese, adorneranno
di lor menstrua beltá gli appartamenti;
e nòve forme di paiuoli, e nòve
pentole ammirerá l’arsa cucina.
Da Parigi a Calais, di quivi a Londra,
da Londra a Liverpool, rapido tanto
sará, quant’altri immaginar non osa,
il cammino, anzi il volo: e sotto l’ampie
vie del Tamigi fia dischiuso il varco,
opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso
dovea, giá son molt’anni. Illuminate
meglio ch’or son, benché sicure al pari,
nottetempo saran le vie men trite
delle cittá sovrane, e talor forse
di suddita cittá le vie maggiori.
Tali dolcezze e sí beata sorte
alla prole vegnente il ciel destina.