Le fonti matematiche di Dante

Dante sa dell’esistenza di Archimede e di Fibonacci o le sue fonti matematiche provengono solo da Aristotele e Boezio?

Manifesto del Dantedì di Mariangela Cacace

Qualche giorno fa, Biagio Scognamiglio ha ricordato che «I veri dì di Dante sono quelli trascorsi da docenti e studenti nel corso di un intero anno scolastico a contatto con la sua poesia e il suo messaggio». Il Dantedì, cioè, non deve essere, egli afferma, una cerimonia che si esaurisce in se stessa. Oggi, Dantedì 2022, appare allora una buona occasione per riaffermare questo concetto così vero e presentare altresì anche il libro di Silvio Maracchia, Dante e la quadratura del cerchio, che offre spunti per attività didattiche non certo esauribili in una cerimonia celebrativa.

Maracchia il suo breve ma succoso lavoro l’ha dato alle stampe per le Edizioni Simmetria, a fine 2021, a conclusione cioè dell’anno del settimo centenario della morte di Dante.

La prefazione al libro è di Claudio Lanzi, presidente del SimmetriaInstitute Library Museum, che scrive: «Questa piccola ma significativa  opera di Silvio Maracchia, ci pone di fronte ad uno dei più antichi problemi filosofico-matematici che coinvolge tutta la storia del pensiero occidentale: e cioè la relazione fra determinato e indeterminato, tra misurabile con numeri interi e immisurabile».

Molteplici sono i pregi del libro,  scritto peraltro con quel rigore storico e scientifico che tutti i lettori di Maracchia ben conoscono.

Notevoli sono anche i pregi didattici, connaturati per così dire alla natura pluridisciplinare del contenuto. In una parte del libro Maracchia passa in rassegna gli “accenni matematici” che Dante riporta nei suoi scritti e di ciascuno procede ad un’analisi accurata, esauriente. È attraverso questi riferimenti, da Maracchia chiamati accenni, che Dante consegna alla storia e alla poesia le sue conoscenze matematiche, in particolare di geometria euclidea.

Uno di questi accenni riguarda la frazione 22/7, ossia la frazione con minor numero di cifre a numeratore e denominatore che approssima π con due cifre decimali esatte. È la famosa approssimazione che Archimede trova considerando i poligoni regolari inscritti e circoscritti ad un cerchio, con un numero crescente di lati, e calcolandone le aree. Lo fa in La misura del cerchio, un’opera, come d’altronde tutte quelle di Archimede, che all’epoca di Dante era quasi dimenticata anche per l’inesistenza, almeno fino alla metà del XIII secolo, di traduzioni in latino che ne invogliassero studio e conoscenza.

È molto probabile che Dante non conoscesse Archimede neppure di nome.

Infatti nella “filosofica famiglia” (Inferno, IV, 132) pone Euclide geometra e Tolomeo ma non menziona affatto Archimede, né qui né altrove. Com’è allora che Dante conosce la frazione 22/7 e il suo legame con la quadratura del cerchio? È probabile che il risultato fosse noto da tempo per la sua utilità nelle misure. In ogni caso Leonardo Fibonacci ne aveva parlato agli inizi del 1200 nella sua Practica geometriae.

Maracchia non è affatto elogiativo verso le conoscenze matematiche di Dante: erano quelle che poteva possedere un intellettuale dell’epoca, abbastanza limitate.

Il sapere matematico più consolidato era legato allo studio degli Elementi di Euclide.

«Le conoscenze matematiche di Dante […] – scrive Maracchia – provengono quasi esclusivamente dalle opere di Aristotele e forse da quelle opere di Boezio note appunto nel Medioevo. Non possiamo fare a meno di osservare che tutti i cenni matematici di Dante (tranne quel “ventidue” beninteso) si trovano anche in Aristotele che è ben noto a Dante e talvolta citato esplicitamente. Questo potrebbe far supporre che, a parte i calcoli che venivano insegnati nelle “Scuole d’Abaco” comunali e forse qualche formula di geometria pratica, la fonte matematica di Dante sia proprio “il maestro di color che sanno”».

Dante è un grande intellettuale. È ben al corrente dello stato della scienza della sua epoca, purtuttavia Maracchia in campo matematico gli concede abbastanza poco e ciò in coerenza con quelle che erano le conoscenze del tempo. Malgrado tanta obiettività, Maracchia avverte un intimo senso di colpa: è come se sentisse di aver mancato nei confronti del sommo Dante. Sarà per questa sorta di avvertita irriverenza che Dante gli viene in sogno.

Il capitolo che chiude il libro è il racconto di questo sogno.

Avviene in un giardino paradisiaco. È qui che Dante rimprovera Maracchia. Lo rimprovera per “non aver considerato molto bene” la sua preparazione matematica e di aver messo perfino in dubbio che conoscesse Fibonacci. «Ma ti sembra che io, Dante Alighieri, che ho cercato di raggiungere la piena conoscenza di tutto lo scibile letterario o scientifico, mi sarei lasciato sfuggire le opere del grande matematico vissuto meno di un secolo prima di me e a due passi da Firenze?».

Maracchia: «Perché allora non l’hai mai citato e perchè tutti i tuoi accenni, ad eccezione di quel 22/7, non fanno mai pensare ad una matematica diversa da quella di Aristotele? ».

La risposta: «Perché Aristotele la pensava come me e dava alla matematica il suo giusto posto». Il sogno prosegue così su una ritrovata (o quasi) sintonia nel modo di vedere la matematica e con un omaggio al maestro Aristotele, al quale Maracchia ha dedicato uno dei suoi più profondi e completi studi: Matematica in Aristotele in due volumi, “il libro di una vita”.

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