Gli indivisibili di Cavalieri visti da d’Alembert

Le quantità indivisibili di Cavalieri. La novità dell’uso dell’infinito in Geometria e il tentativo di addolcirlo sostituendolo col termine indefinito.

Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783)

La voce Mathematique, o Mathematiques dell’Encyclopedie, nella traduzione di Biagio Scognamiglio, è, oltre ogni considerazione d’utilità, una lettura piacevolissima.  Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717 – 1783) è autore eccezionale e fa il punto della situazione. La voce è un affresco di che cos’è la matematica nella prima decade della seconda metà del XVIII secolo.  La matematica risalta, con le sue radici più profonde, nel suo sviluppo, nei suoi problemi fondazionali e dell’insegnamento, nei suoi agganci alla realtà. Un affresco semplicemente affascinante che conferisce luminosa chiarezza anche ai concetti base dell’analisi matematica nel loro porsi e nella loro maturazione. È un passo, questo di D’Alembert che di seguito si propone, che è illuminante per chiunque, docente, studente, ricercatore, sia in qualche modo interessato alla piena comprensione della matematica.

Il passo è tratto da Geometria

Nel 1635, due anni prima della pubblicazione della Geometria cartesiana, Bonaventura Cavalieri, religioso italiano dell’ordine dei Gesuati, che più non sussiste1, aveva donato la sua geometria degli indivisibili. In quest’opera egli considera le superfici come formate da infinite successioni di linee, che egli denomina quantità indivisibili, e i solidi come formati da infinite successioni di superfici, e in questo modo giunse a trovare l’area di certe figure e il volume di certi corpi. Poiché l’uso dell’infinito alla maniera di Cavalieri era allora una novità in Geometria, questo religioso,  temendo delle obiezioni, cercò di addolcire il termine infinito sostituendolo col termine indefinito, che in fondo per l’occasione aveva il medesimo significato.

Malgrado questa sorta di palliativo, ebbe molti avversari; però ebbe anche dei fautori, i quali adottando l’idea di Cavalieri la resero più esatta: sostituirono alle linee che componevano le superfici di Cavalieri dei parallelogrammi infinitamente piccoli e sostituirono alle superfici indivisibili di Cavalieri dei solidi di uno spessore infinitamente piccolo. Considerarono le curve come poligoni dai lati infiniti e in questo modo giunsero a trovare l’area di certi spazi curvilinei, la rettificazione di certe curve, la misura di alcuni solidi, i centri di gravità degli uni e degli altri. Gregorio di Saint-Vincent, e soprattutto Pascal, si distinsero entrambi in questo campo. Il primo, col suo trattato sulla quadratura del cerchio e dell’iperbole (1647), in cui mescolò qualche paralogismo con teoremi assai belli; il secondo, col suo trattato sulla roulette ovvero cicloide […], che sembra avere richiesto i più grandi sforzi dello spirito: ciò perché non si era trovato ancora il modo di rendere la Geometria dell’infinito molto più facile applicandovi il calcolo. […]

Da un altro canto si rifletté che i piani o i solidi infinitamente piccoli, da cui si può supporre che prendano forma le superfici o i solidi, crescono o decrescono in ciascuna superficie o in ciascun solido seguendo leggi differenti, e che così la ricerca della misura di queste superfici o di questi solidi si riduceva alla conoscenza della somma di una serie o di una infinita successione di quantità crescenti o decrescenti. Pertanto ci si applicò alla ricerca della somma delle successioni; è ciò che si chiamò aritmetica degli infiniti. Si giunse a sommarne parecchi e si applicarono alle figure geometriche i risultati di questo metodo. Wallis, Mercator, Brouncker, Jacques Grégori, Huyghens e qualche altro si segnalarono in questo genere e fecero di più: ridussero certi spazi e certi archi di curve in serie convergenti, vale a dire i cui termini andavano sempre diminuendo, e di qui dettero il mezzo per trovare il valore di questi spazi e di questi archi, se non esattamente, almeno per approssimazione, perché ci si avvicinava al vero valore tanto più quanto più grande si prendeva un numero di termini della successione o serie infinita che lo esprimeva.

Tutti i materiali del calcolo differenziale erano pronti ormai e non restava da fare che l’ultimo passo. Leibniz fu il primo a pubblicare nel 1684 le regole di questo calcolo che Newton dal canto suo aveva già  trovato. […] Ma questi scritti, per quanto ammirevoli siano, non sono niente, per così dire, se paragonati all’immortale opera [di Newton] intitolata Philosophiae naturalis principia matematica, che può essere considerata come l’applicazione più estesa, più ammirevole e più felice che sia stata mai fatta della Geometria alla Fisica.

Questo libro [di Newton] oggi è troppo conosciuto, perciò non aggiungiamo maggiori dettagli. […] Qui non parliamo […] di qualche altro scritto geometrico meno importante, tutti però di prima forza, tutti brillanti di sagacia e inventiva, come la sua Analysis per aequationes numero terminorum infinitas, la sua  Analysis per aequationum series, fluxiones et differentias, il metodo dei flussi, il metodo differenziale, eccetera. Quando si considerano questi monumenti immortali del genio del loro autore,  e quando si considera che questo grand’uomo aveva fatto le sue principali scoperte a soli ventiquattro anni, si è quasi tentati di sottoscrivere ciò che dice Pope, che la sagacia di Newton sbalordì le intelligenze celesti e che queste guardarono a lui come a un essere intermedio fra l’uomo e loro stesse: d’altronde è ben fondata l’esclamazione homo homini quid praestat! ossia: quale distanza c’è fra un uomo e un altro uomo!

L’edificio innalzato da Newton ha questa immensa altezza, pur non essendo stato portato a termine. Il calcolo integrale in seguito è stato estremamente perfezionato  da Bernoulli, Cotes, Maclaurin e altri e dai matematici venuti dopo di loro. […] Sono state fatte applicazioni ancora più raffinate e oseremmo dire più difficili, più felici e più esatte della Geometria alla Fisica. È stato aggiunto molto a ciò che Newton aveva intrapreso circa il sistema del mondo: soprattutto sotto questo aspetto è stata corretta e perfezionata la sua grande opera sui Principi matematici. Quanto alla maggior parte dei matematici ancora viventi che hanno contribuito ad arricchire la Geometria mediante le loro scoperte e ad applicarle alla Fisica e all’Astronomia,  avendo partecipato forse anche noi  in qualche misura a questi lavori, lasceremo ai posteri il compito  di rendere a ciascuno la giustizia che merita, e termineremo qui questa breve storia della Geometria: chi vorrà istruirsi più a fondo, potrà consultare i diversi autori che hanno scritto su questo argomento.Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, Mathematique, o Matematiques, 1751-1758

NOTE

  1. Cavalieri fece parte dei Gesuati e non dei Gesuiti. La storia dell’ordine, sciolto nel 1668, è su Cathopedia.

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Libri di testo di Matematica

Un buon libro di testo di matematica che soddisfi tutti è utopia. Il piano stilato da d’Alembert è un importante e tuttora valido saggio di didattica della matematica.
Come va pensato, organizzato, scritto un libro di testo di Geometria? Qual è l’ordine che si deve seguire nella trattazione degli argomenti? Come introdurre l’uguaglianza delle figure? Quale il ruolo da assegnare al movimento e quale agli assiomi e alle dimostrazioni? Quando introdurre gli incommensurabili e che posto dare all’infinito e allo studio delle curve, dell’algebra e del calcolo differenziale? Ancora, un libro va pensato per tutti gli studenti o in funzione delle propensioni?
Sono questioni che si sente dibattere nei tanti convegni odierni dedicati all’insegnamento della matematica.
Sono questioni però che sono state sempre “attuali”.
Lo sono state ai tempi di d’Alembert come ai tempi di Euclide rimasto nella storia come il più celebre degli autori di manuali scolastici. L’autore del più duraturo libro di elementi mai dato alle stampe. Il libro che ha stabilito una via regia per l’insegnamento della geometria e della matematica. Il libro che ha indicato le proposizioni con le quali iniziare, fissandone l’ordine e fornendo il metodo di insegnarle.
C’è da osservare subito che il termine Geometria per d’Alembert ha il significato di Matematica, come era nella tradizione degli Elementi di Euclide che raccoglievano insieme aritmetica e geometria.
Il problema che si pone d’Alembert, caratteristico peraltro del periodo storico che egli vive, è didattico.
È la realizzazione di un moderno Elementi di matematica comprensivo di algebra (che allora si diceva anche geometria simbolica e anche geometria metafisica), curve geometriche e analisi matematica, cioè il nuovo calcolo sublime, differenziale e integrale.
Come fare? Conviene seguire l’ordine degli inventori, cioè la via genetica della scoperta, che è  genealogia naturale delle idee o procedere altrimenti pensando altre inferenze logiche?
In sostanza, si chiede d’Alembert, quali riflessioni “potrebbero essere non inutili sul modo di trattare a metà del XVIII secolo gli Elementi della Geometria?
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert è convinto che realizzare un libro di testo che raccolga il gradimento di tutti è una utopia.
L’argomento però l’affronta e delinea un piano didattico che espone in dettaglio nella voce Mathematique dell’Encyclopedie. Voce che Biagio Scognamiglio ha recentemente reso nella traduzione italiana per Matmedia. Il piano di d’Alembert è un saggio di didattica della matematica che ha svolto un ruolo di guida per molti dei decenni successivi. Anzi, si può dire con certezza che ha ispirato la maggior parte delle stesure di libri di testo almeno fino alla metà del secolo XX.
«Questo piano – egli afferma – fa capire che una simile impresa può essere ben compiuta soltanto da matematici di prim’ordine, e che, per fare eccellenti elementi di geometria, Cartesio, Newton, Leibniz, Bernoulli, eccetera, non sarebbero stati di troppo».
Scrivere un libro di testo è comunque tanto oneroso e esclusivo da inibire ad ogni autore qualsiasi altra attività di ricerca. Cosa che ha scoraggiato soprattutto i grandi, perché «forse non c’è scienza sulla quale siano stati tanto moltiplicati gli elementi» quanto la matematica. Questi libri sono per la maggior parte «opera di matematici mediocri, le cui conoscenze in Geometria spesso non vanno al di là del loro libro e che per questo stesso motivo sono incapaci di trattar bene questa materia».
I grandi matematici hanno preferito fare altro, contribuire a far crescere la matematica.
Non così però i mediocri, in compenso dotati di una dose di presunzione adeguata al compito e della quale è prova il fatto, dice d’Alembert, che «non c’è quasi nessun autore di elementi di Geometria che nella sua prefazione non dica più o meno male di tutti quelli che l’hanno preceduto».
Quali sono i principi pedagogici ai quali attenersi?
Prima di tutto, è il parere di d’Alembert, occorre non parcellizzare troppo il discorso suddividendolo in tante parti: la trattazione va resa quanto più possibile unitaria. Ad esempio, non è affatto utile «la suddivisione in geometria delle linee rette e delle linee curve, geometria delle superfici e geometria dei solidi».
Non lo è perché «sebbene la linea retta sia più semplice della linea curva, tuttavia è appropriato trattare l’una e l’altra insieme e non separatamente negli Elementi di Geometria».  Un principio che è seguitissimo tuttora anche per le operazioni aritmetiche: vanno trattate insieme, almeno dirette e inverse. È il principio didattico che valorizza la reversibilità, che insieme alla invarianza caratterizza molto dell’attività del fare matematica. Già da questo, in didattica, d’Alembert lo si direbbe un primo fusionista nel senso di Klein, Polya e de Finetti.
Come affrontare, a livello didattico, l’uguaglianza? 
L’uguaglianza, è il parere di d’Alembert, va stabilita attraverso il principio di sovrapposizione, che «non è affatto un principio meccanico e grossolano, come dicono alcuni moderni geometri; è un principio rigoroso, chiaro, semplice, desunto dalla vera natura della cosa. Ad esempio, quando si vuole dimostrare che due triangoli che hanno uguali le basi e gli angoli alla base sono del tutto uguali, si applica con successo il principio della sovrapposizione: dalla supposizione dell’uguaglianza delle basi e degli angoli si conclude a ragione che questi angoli e queste basi in seguito all’applicazione degli uni sulle altre coincideranno, quindi dalla coincidenza di queste parti si conclude in tutta evidenza, per necessaria conseguenza, la coincidenza del resto». In definitiva, «il principio della sovrapposizione non consiste nell’applicare grossolanamente una figura sull’altra, […] come un operaio applica il suo piede su una lunghezza per misurarla, ma questo principio consiste nell’immaginare una figura trasportata su un’altra».
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783)
Il punto di vista didattico di d’Alembert è comunque molto più generale.
Il principio della sovrapposizione si può usare anche per provare che due figure non sono identiche. «Del resto, per sovrapposizione io qui intendo non solo l’applicazione di una figura su un’altra, ma quella di una parte di una figura su un’altra parte della medesima figura al fine di paragonarle fra loro, e quest’ultima maniera di impiegare il principio di sovrapposizione è di un’utilità infinita e semplicissima negli elementi di Geometria».
Gli incommensurabili, l’infinito e la reductio ad absurdum.
«Si consideri il teorema: una linea parallela alla base di un triangolo ne taglia i lati in proporzione. Per dimostrarlo, basta mostrare che se questa parallela passa per il punto di mezzo di uno dei lati, passerà per il punto di mezzo dell’altro; perché  di seguito si farà constatare agevolmente che le parti tagliate sono sempre proporzionali quando la parte tagliata sarà commensurabile all’intera linea, e quando non lo sarà, si dimostrerà il medesimo enunciato mediante la reductio ad absurdum, facendo vedere che il rapporto non può essere né più grande né più piccolo e di qui che è uguale. Noi diciamo mediante la riduzione all’assurdo, perché solo in questo modo indiretto si può dimostrare la maggior parte degli enunciati  che riguardano gli incommensurabili.
L’idea dell’infinito entra almeno implicitamente nella nozione di questi tipi di quantità; e poiché noi non abbiamo un’idea dell’infinito se non negativa, vale a dire che lo concepiamo soltanto mediante la negazione del finito, si può dimostrare direttamente e a priori tutto ciò che concerne l’infinito matematico.
Si dirà forse che la  considerazione degli incommensurabili renderà la geometria elementare più difficile; può darsi; ma essi entrano necessariamente in questa geometria; presto o tardi bisogna arrivarci, ed è meglio presto».
Le definizioni in matematica
Un buon libro non parte con le definizioni. «A noi sembra poco filosofico e poco conforme alla naturale impronta dello spirito presentarle di primo acchito, bruscamente e senza una sorta di analisi».
Anche per l’Algebra valgono le stesse raccomandazioni. Può una semplice definizione dell’algebra darne l’idea a colui che ignora detta scienza? Sarebbe dunque appropriato cominciare un trattato di Algebra con lo spiegare chiaramente la strada seguendo la quale lo spirito è giunto o può giungere a trovarne le regole, e l’opera la si farà terminare così: la scienza che abbiamo finora insegnato è la scienza che si chiama Algebra.  Ciò vale anche per l’applicazione dell’Algebra alla Geometria e per il calcolo differenziale e integrale, «di cui non si può afferrare bene la vera definizione se non dopo averne compreso la metafisica e l’uso».
La costruzione degli elementi di Geometria.
Non è conveniente perseguire il rigore a tutti i costi. Sarebbe peraltro impresa chimerica, perché  è come cercare un rigore perfetto che non esiste, è immaginario. Anche gli assiomi, quelli che Euclide chiamò “nozioni comuni”, sono perfettamente inutili. In un trattato vanno soppressi: «Che bisogno c’è di assiomi sul tutto e sulla parte per vedere che la metà di una linea è più piccola di una linea intera?».
Quello che importa nella costruzione del discorso didattico è la concatenazione degli argomenti, la loro graduazione, condotta generalmente, senza salti, dal più semplice al più complesso. Il credo didattico degli enciclopedisti è sancito nella voce Education: «Il gran segreto della didattica, ovvero dell’arte di insegnare, è di essere nelle condizioni di chiarire la subordinazione delle conoscenze».
Il piano didattico stilato da d’Alembert stabilisce questa graduazione.
Ad esempio negli “elementi” bisogna preparare il campo alla trattazione della Geometria trascendente o delle curve.
È una Geometria che comporta il calcolo algebrico. Questa parte va iniziata con la soluzione dei problemi di secondo grado,  utilizzando come strumenti la retta e il cerchio. Una volta introdotto il discorso dei problemi di secondo grado, si passerà alle sezioni coniche.
Il modo  migliore e più breve di trattarle è di “ricorrere al metodo analitico”.
«Quando si saranno trovate le più semplici equazioni della parabola, dell’ellisse, e dell’iperbole, si farà vedere di seguito molto agevolmente che queste curve si generano nel cono e in che modo vi si generano». In effetti questa introduzione delle coniche a partire dalla loro formazione nel cono sarebbe forse il modo più naturale con cui partire, se ci si limitasse però «a fare un trattato su queste curve. Ma in un corso di Geometria vanno introdotte da un punto di vista più generale e la loro trattazione si concluderà con la soluzione dei problemi di terzo e quarto grado» e, ovviamente, con osservazioni che riusciranno utili nella «teoria delle traiettorie o curve descritte da proiettili  e di conseguenza nella teoria delle orbite dei pianeti».
Terminate le sezioni coniche, si passerà alle curve di genere superiore. 
Queste teorie si basano in parte sul calcolo algebrico e in  parte sul calcolo differenziale; non è che questo calcolo vi sia assolutamente necessario, ma checché se ne dica, esso abbrevia e facilita estremamente tutta questa teoria.
Riguardo alla quadratura e alla rettificazione di questi tipi di curve, come anche alla rettificazione delle sezioni coniche, le si rimetterà alla Geometria sublime. Per il resto, trattando le curve geometriche, ci si potrà dilungare un po’ più particolarmente sulle più conosciute, come il folium di Cartesio, la concoide, la cissoide, eccetera.
Le curve meccaniche faranno seguito a quelle geometriche.
Si tratteranno dapprima le curve esponenziali, «che sono come una specie intermedia fra le curve geometriche e le meccaniche». In seguito, dopo aver dato i principi generali della costruzione delle curve meccaniche per mezzo della loro equazione differenziale e della quadratura delle curve, si entrerà nel dettaglio delle principali e più conosciute: spirale, cicloide, trocoide, eccetera. Questi sono pressappoco gli argomenti che un trattato di Geometria trascendente deve contenere.
Segue la Geometria sublime, alla quale non resta che il calcolo integrale con la sua applicazione alla quadratura e alla rettificazione delle curve. «Questo calcolo sarà dunque la materia principale e quasi unica della Geometria sublime».
Altre raccomandazioni didattiche.
La prima raccomandazione è che «il calcolo algebrico non deve essere affatto applicato alle proposizioni della geometria elementare, per la ragione che bisogna usare questo calcolo soltanto per facilitare le dimostrazioni, mentre non sembra che nella geometria elementare vi siano dimostrazioni tali da poter essere realmente facilitate da questo calcolo».
L’eccezione a questa regola è la soluzione dei problemi di secondo grado, perché il calcolo algebrico semplifica al massimo la soluzione delle questioni di tal genere e abbrevia anche le dimostrazioni. Questo è il campo più proprio della applicazione dell’Algebra alla Geometria.
La seconda raccomandazione di d’Alembert è di convincersi che è «ridicolo dimostrare mediante la sintesi ciò che può essere trattato più semplicemente e più facilmente mediante l’analisi, come le proprietà delle curve, le loro tangenti, i loro punti di inflessione, i loro asintoti, le loro diramazioni, la loro rettificazione e la loro quadratura».
Porta l’esempio della spirale:  «le proprietà della spirale, che i più grandi matematici hanno tanto penato a seguire in Archimede, oggi possono essere dimostrate con un tratto di penna».
Ancora una raccomandazione:
la Geometria, soprattutto quando è aiutata dall’Algebra, è applicabile a tutte le altre parti della Matematica, giacché in Matematica non si tratta mai di altro se non di paragonare delle grandezze fra loro; e non è senza motivo che alcuni geometri filosofi hanno definito la Geometria scienza della grandezza in generale, in quanto è rappresentata o può esserlo mediante linee, superfici e solidi.
Infine, le dimostrazioni vanno presentate in forma problematica.
Il filosofo cartesiano Johannes Clauberg nella Logica vetus et nova del 1654 aveva così sintetizzato i problemi dell’insegnamento: quid sit tradendum et quo fine, quis traditurus quis accepturus, quomodo quid tradere conveniat. Il piano di d’Alembert sviluppa in particolare il quomodo quid tradere conveniat, ma non trascura osservazioni importanti sugli altri aspetti.
Ad esempio, sullo studente, perché «tutti coloro che studiano la Geometria non la studiano con le stesse vedute». Ci sono quelli a cui basta un buon trattato di geometria pratica, a chi invece fa bene avere un’infarinatura di geometria elementare speculativa, e converrà dargliela, fornendo dimostrazioni più facili, anche se meno rigorose. Per gli spiriti, però, «veramente adatti a questa scienza, per coloro che sono destinati a farvi dei progressi, noi crediamo che ci sia una sola maniera di trattare gli elementi: quella che unirà il rigore alla chiarezza e che allo stesso tempo li metterà sulla via delle scoperte per il modo in cui si presenteranno le dimostrazioni. Per questo bisogna mostrarle, per quanto possibile,  sotto la forma di problemi da risolvere piuttosto che della dimostrazione di teoremi di cui non si è capito neppure il significato.

Laureato in matematica, docente e preside e, per quasi un quarto di secolo, ispettore ministeriale. Responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell’Istruzione. Segretario, Vice-Presidente e Presidente Nazionale della Mathesis dal 1980 in poi e dal 2009 al 2019, direttore del Periodico di Matematiche.

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