Potrà essere sconcertante per quel gruppo (non so quanto numericamente ristretto) di docenti che sogna ancora di salire sul palco e incantare l’uditorio con il proprio sapere, ma ai nostri allievi e alle nostre allieve, almeno in una prima fase, interessa di più sapere che Dante è il nome del nostro cane che non dell’autore della Divina Commedia.

Una cosa, in tanti anni di insegnamento, di tutoring e di rapporti con gli studenti, l’ho imparata e non mi stancherò mai di diffonderla: prima arriva la relazione poi Dante Alighieri.

Sono finiti i tempi (ci sono mai veramente stati?) in cui tu, insegnante, al pari del parroco, del medico e del farmacista eri un’autorità indiscussa. Tu non sei più l’unico detentore del sapere: c’è Internet, ci sono milioni di fonti a cui attingere per ottenere le informazioni che puoi dare. E, per fortuna, a darti potere non c’è più la paura .

La questione diventa più che mai il “come” non il “cosa”. E in quel “come” c’è, ancor di più del passato, non solo la capacità empatica, l’autentico e non giudicante interessamento, la capacità trasmissiva, ma, soprattutto, la disponibilità ad essere persone, con le nostre vite, i nostri problemi, le nostre risorse, i nostri errori.

Sapete cosa mi raccontano gli studenti quando chiedo qualcosa in merito alle lezioni avute in quella mattinata? Che hanno riso perché la prof ha portato la foto del divano mangiato da Dante, che si sono offesi perché il prof ha detto che se suo figlio non studiasse come loro lo avrebbe buttato fuori casa, che la prof è ricca perché quando si collegava in DAD si vedeva che “vive in un villone“… Poi, dopo tutte queste informazioni, mi parlano dell’argomento affrontato. Ad esclusione di quello trattato dal prof che li ha offesi. Perché, dopo quella brillante uscita, hanno chiuso le orecchie oltre che, se sono stati diplomatici, la bocca.

Sapete cosa mi chiedevano i miei allievi quando ho iniziato a lavorare in scuole professionali in quartieri popolari dove la povertà economica e culturale dilagava? Se avevo la signora che mi faceva le pulizie e mi preparava la cena… e mi guardavano con simpatia e con un sorriso quando raccontavo che la governante ero io e che la miglior cena che la stessa governante sapeva preparare erano i tramezzini. Gli occhi poi brlllavano se entravo in classe e dicevo che ero furiosa con mio figlio perché aveva preso una nota. Persona tra persone.

Cosa significa tutto questo? Brioche, cappuccino e chiacchiere invece di Napoleone o della trigonometria? No affatto, significa solo che come insegnanti non facciano data entry. Se vogliamo fiducia, ascolto, interesse dagli studenti, li dobbiamo conquistare partendo da noi stessi come essere umani prima ancora che come docenti. Solo così i nostri allievi saranno disponibili ad accoglierci e ad accogliere quello che abbiamo da dire, ad aprirsi e a permetterci di capire chi sono, come apprendono e come accompagnarli nell’acquisizione di conoscenze e competenze, ma soprattutto nel diventare uomini e donne.

Io, prof, ti dico chi sono, e tu, studente, mi dirai chi sei.

Un giorno ho letto da qualche parte: “… per vedere il nostro allievo fiorire nella consapevolezza, occorre che il suo percorso scolastico profumi di ricerca, intrisa di scoperte, stupore e meraviglia…”. Anche la scoperta, lo stupore e la meraviglia di avere degli insegnanti che non sono poi così diversi da lui.