Alternanza scuola-(morte sul) lavoro
Lo studente schiacciato da una lamiera era in stage, non doveva stare solo. L’alternanza scuola-(morte sul) lavoro.
Non è più un’alternanza per lo studente morto sul lavoro, che a scuola non ci torna.
Non torna a quella che avrebbe dovuto essere la buona scuola. Buona: aggettivo ormai gravato da una sorta di macabra ironia. Nel 2022 buona la scuola non lo è stata per Lorenzo Parrelli, diciottenne schiacciato da una putrella di acciaio in azienda, né per Giuseppe Lenoci, sedicenne deceduto in un incidente d’auto durante un percorso legato a uno stage, né per Giuliano De Seta, diciottenne che una lastra di metallo piombatagli addosso ha strappato al futuro. Sono conseguenze della legge 53/2003, del decreto legislativo 77/2002 e infine della legge 107/2015. Legge, questa, che impone i percorsi di alternanza scuola-lavoro “al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti” negli istituti tecnici e professionali e nei licei.
Come Lorenzo e Giuseppe, anche Giuliano ha concluso l’alternanza.
Non è tornato a scuola. È finito in cronaca. Vediamo come hanno dato la notizia alcuni quotidiani a stampa. Taglio basso sul Corriere della Sera in cronaca. Titolo: «Muore schiacciato in azienda a 18 anni. “Era in stage, non doveva stare solo”». Sottotitolo: «Venezia, lo studente travolto da una lastra. La telefonata del Ministro Bianchi al papà.» Andrea Priante e Antonella Gasparini riferiscono sullo sconvolgimento della preside dell’istituto tecnico frequentato dal giovane, sugli interventi di carabinieri, ispettori del lavoro e tecnici dell’azienda sanitaria locale per prevenzione e sicurezza, politici, sindacalisti. E riferiscono anche sulla telefonata del ministro dell’istruzione al padre di Lorenzo. Telefonata che appare del tutto inopportuna. Opportuno sarebbe stato invece che il ministro dell’istruzione si fosse deciso finalmente a pronunciarsi contro l’alternanza, sollevando la questione in sede istituzionale con una ferma proposta di abolirla. Ed ora guardiamo in alto in pagina di cronaca su la Repubblica. Titolo: «Studente muore a 18 anni durante stage. “Schiacciato da una lastra di metallo”.» Francesco Furlan scrive che il giovane voleva “mettere in pratica quello che aveva studiato, essere pronto, una volta concluso l’anno scolastico, a entrare nel mercato del lavoro”. La preside, continua il giornalista, riferisce che da tempo gli stage sono organizzati e “i ragazzi sono formati, preparati, le aziende scelte con criterio”, cosicché non si riesce a comprendere l’accaduto. Esprime sconcerto il sindaco del paese. Intanto la Rete degli Studenti Medi preannuncia battaglia:
“Da sempre sottolineiamo la totale insicurezza del mondo del lavoro e degli stage scolastici, che vanno aboliti.”
Si dirà con cinismo che la legge sulla cosiddetta buona scuola non c’entra con qualche malaugurato incidente.
Senonché non basta promulgare una legge. È indispensabile che se ne verifichino le condizioni e le ricadute sul piano pratico. I segnali di condizioni sfavorevoli ed eventi negativi non sono mancati e continuano a non mancare. La complessità del dettato legislativo (al quale si rinvia per un’attenta lettura o rilettura dell’articolo 1, commi 33 e seguenti, e per un’approfondita o rinnovata riflessione in materia) contempla anche il richiamo ai diritti e doveri degli studenti e comprende la necessità di ascoltarli. Si ascolti dunque la Rete degli Studenti Medi, che si è pronunciata come sopra riportato. Il sussistere di una “totale insicurezza del mondo del lavoro” lo dimostrano le morti di operai che continuano ad accadere con cadenza quotidiana. Per non dire delle situazioni di sfruttamento alle quali l’alternanza dà adito. Alternanza scuola-sfruttamento. Quanto all’invocata abolizione degli stage, occorre tenerne presente anche un’altra ragione.
La ragione per cui l’alternanza scuola-lavoro è da rigettare risiede nell’essenza e nello scopo dell’istituzione scolastica.
L’essenza della scuola consiste nella sua disinteressata vocazione educativa e il suo scopo è quello di formare cittadini dotati di un bagaglio culturale atto a consentire loro di “essere” piuttosto che “avere”, per usare la classica dicotomia di Erich Fromm, aggiornata da Miguel Benasayag in “funzionare” o “esistere”. Si vuole invece forza lavoro per le aziende, togliendo tempo di studio agli alunni Per un autentico avviamento al lavoro, occorrerebbe ricorrere ad appositi corsi di formazione professionale. Con l’alternanza si scimmiottano esperienze estere, che si svolgono però in contesti diversi e non comparabili.
Purtroppo nel caos dell’informazione anche le sorti di Lenoci, De Seta, Parrelli rischiano di sbiadire nelle coscienze fino ad essere poste in oblio.
Studenti che non risponderanno più all’appello. Passerà poco tempo e per loro l’appello non solo nelle classi, ma nemmeno nelle coscienze sarà più fatto. Ci saremmo aspettati una presa di posizione collettiva di tutto il personale della scuola, una protesta comune, una manifestazione indignata, un silenzio non di un minuto, ma prolungato fino alla resipiscenza dei responsabili, insomma un segno di umanità.
E avete notato che in campagna elettorale la parola scuola non ricorre quasi mai, per non dire mai?
Per giunta, anche gli organi di informazione sembrano riluttanti a nominare la scuola. Su un quotidiano a stampa figurava un articolo dedicato alla cultura. La parola cultura vi era più volte ripetuta. La parola scuola era del tutto assente. Di lavoro invece si sproloquia. Un’insulsa retorica favorisce l’assuefazione al degrado civile. E si dimentica che per la morte di un giovane che avrebbe dovuto essere a scuola e non in azienda si veste a lutto un futuro non solo suo.