E-learning. Perché incentivare l’autonomia formativa nella formazione

Nello scenario attuale l’autonomia formativa assume un ruolo di grande rilievo nella formazione. Scopriamo come implementarla in azienda.

Fino a qualche tempo fa, un tempo neppure troppo lontano, si è assistito a una strano paradosso. Tecnologie digitali e mutamenti sociali hanno trasformato la società in ogni settore, ma la formazione è rimasta ancorata al concetto di classe con lezione frontale, un luogo in cui una persona spiega delle nozioni e molte altre assistono in silenzio.

Questo modello non è da rigettare a priori, ma può oggi essere arricchito, soprattutto in ambito di formazione digitale, da una serie di nuove opportunità che superano il concetto di verticalità dell’apprendimento (da uno a molti). Per citarne solo alcuni: flipped classroom, reverse mentoring, informal learning e apprendimento collaborativo o cooperativo.

Qualunque modello si scelga, il nuovo paradigma è spostare il focus dal docente al discente. È quest’ultimo il protagonista del progetto formativo, è su questa figura che va basata ogni metodologia e ogni possibile innovazione.

La formazione aziendale e il suo ruolo nell’organizzazione.

Se basata sulla centralità del discente, la formazione aziendale realizza obiettivi rilevanti. Il primo tra tutti è la diffusione del sempre più necessario digital mindset, inteso come quell’ insieme di conoscenze, competenze ed esperienze sviluppate all’interno di un contesto sociale dominato dalla tecnologia e sempre più digitalizzato.

Oltre a ciò, la formazione realizza:

  • creazione e condivisione di cultura d’impresa;
  • rafforzamento positivo del clima aziendale;
  • miglioramento delle performance on the job;
  • fidelizzazione dei dipendenti.

Centralità del discente e autonomia formativa.

Se accettiamo che il discente sia il protagonista del progetto, appare chiaro che per esserlo realmente debba avere molte opportunità di esercitare scelte autonome all’interno della piattaforma e-learning o dell’Academy aziendale, senza la presenza di insegnanti, trainer o istruttori. La prima di queste scelte è ovviamente quella della formazione  “everytime & everywhere” che rende l’utente libero di scegliere quando e come aggiornarsi, in base agli impegni lavorativi di ciascuno.

L’autonomia formativa può però arricchirsi anche di molte altre caratteristiche; proviamo a elencarne alcune:

  • possibilità di assistere alla lezione in classe virtuale o in presenza;
  • possibilità di non assistere alla lezione, ma di rivederla in video, in seguito;
  • accesso facilitato a colloqui “one to one” con docenti
  • possibilità di formazione asincrona con corsi presenti in piattaforma;
  • sezione Wiki-experience, in cui condividere o trovare contenuti caricati da se stesso e dai colleghi:
  • comunità di pratica in cui poter esplorare in modo verticale un dato argomento;
  • accesso a piani di formazione personalizzata;
  • opportunità di social learning.

Oltre a ciò, incrementare l’autonomia formativa contribuisce a innestare buone pratiche di formazione continua e di seamless learning.

Vantaggi dell’autonomia formativa per il discente

Quando si parla di autonomia formativa è facile focalizzarsi sulla libertà di scelta.

Ma questo non è l’unico vantaggio da considerare. Per un’organizzazione aziendale proporre modelli di autonomia formativa significa creare un rapporto di fiducia con il collaboratore. Chi deve apprendere ora è responsabile del suo progetto formativo e consapevole di essere autore delle strategie per portarlo a termine. Come individuo, se gli è più congeniale, ma anche in gruppo se lo preferisce, grazie alle risorse che troverà in piattaforma per realizzare l’apprendimento collaborativo, o entrando a far parte di una comunità di pratica.

L’autonomia formativa permette quindi di ritagliare la formazione a misura delle proprie esigenze o di gestirla “on demand” quindi solo al momento in cui occorre.

Vantaggi dell’autonomia formativa per l’azienda

È assodato che la formazione aziendale è di importanza rilevante per l’azienda. Ma perché lo diventa anche l’autonomia formativa?

La risposta è correlata all’epoca in cui viviamo e agli scenari in cui l’azienda opera. Un contesto in cui è sempre più difficile che un dipendente svolga solo quei due o tre compiti per tutta la sua carriera. Sarà invece probabile che sia interessato da modelli di upskilling e reskilling e che il processo formativo sia costante e continuo durante tutta l’attività: una formazione continua.

L’autonomia formativa quindi permette di avere una risorsa sempre aggiornata, più consapevole e responsabile e che ha costruito un rapporto con l’impresa basato su libertà e fiducia.

Quindi non contano le dieci o le trenta ore di formazione, ma se il contenuto è stato appreso, se lo si sa mettere in pratica, se ha portato ai miglioramenti attesi.

Infine l’autonomia formativa porta un ulteriore cambiamento nell’atteggiamento del discente che diventa caratterizzato dal seamless learning. Questo significa estendere la formazione anche oltre l’orario di formazione (ad esempio  l’ora di lezione) e, grazie alla tecnologia, far diventare formazione ogni momento e ogni esperienza vissuta in azienda.

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Il Reverse Mentoring

Il Reverse Mentoring

di Bruno Lorenzo Castrovinci

In un mondo scolastico in continua trasformazione, dove le competenze richieste agli insegnanti si moltiplicano e si rinnovano senza tregua, si fa sempre più urgente la necessità di immaginare percorsi formativi che superino i confini della trasmissione unidirezionale del sapere. La scuola del presente, chiamata ad accogliere la complessità della società contemporanea, ha bisogno di abbandonare i modelli rigidi e verticali per aprirsi a forme più fluide e circolari di apprendimento, in cui ogni voce possa trovare ascolto e valore.

È in questa prospettiva che il reverse mentoring si rivela non solo una pratica formativa, ma un gesto di fiducia verso l’altro, un atto poetico che sovverte le gerarchie e intreccia generazioni. In questo scambio inaspettato, i docenti più giovani non insegnano soltanto strumenti o tecniche, ma offrono sguardi nuovi, domande coraggiose, sensibilità inedite. E i docenti più esperti, lungi dal rinunciare alla propria autorevolezza, si riscoprono ancora capaci di apprendere, di mettersi in gioco, di lasciarsi sorprendere.

In un recente contributo pubblicato su TES Magazine, una delle più autorevoli piattaforme internazionali dedicate all’educazione, David Tuck racconta un’esperienza concreta di reverse mentoring vissuta presso la Harrow International School di Hong Kong. Il suo racconto diventa finestra aperta su un orizzonte possibile, esempio vivo di come lo scambio tra pari possa diventare linfa per rigenerare il senso stesso dell’essere educatori. Una voce che, tra molte, ci invita a rallentare, ascoltare, e forse — per un istante — imparare a guardare il mondo con gli occhi di chi arriva adesso.

Il mentoring tradizionale come base del cambiamento

Prima di comprendere appieno il valore del reverse mentoring, è utile soffermarsi sul significato, sulla funzione e sull’evoluzione del mentoring tradizionale. In ambito scolastico, questa pratica si concretizza nella relazione educativa tra un docente esperto e uno meno esperto, spesso appena inserito nella professione. Il mentore, attraverso l’esperienza e la conoscenza dei contesti, guida, consiglia e sostiene il collega più giovane, aiutandolo a orientarsi nei meccanismi istituzionali, nelle dinamiche didattiche e nei rapporti interpersonali che caratterizzano la vita scolastica. Questa relazione, spesso informale ma profondamente formativa, rappresenta una vera e propria alleanza pedagogica che contribuisce alla costruzione dell’identità professionale del docente neofita.

Il mentoring tradizionale non si limita alla mera trasmissione di conoscenze tecniche, ma include l’offerta di modelli comportamentali, la trasmissione di valori etici, e il supporto nella gestione delle difficoltà emotive e relazionali del mestiere. È un dispositivo formativo fondamentale, che poggia sul valore della fiducia, della reciprocità e della costruzione collettiva del sapere professionale. Tuttavia, in un’epoca in cui le innovazioni tecnologiche, la multiculturalità e la crescente complessità delle dinamiche scolastiche impongono aggiornamenti costanti, la direzione unidirezionale di questa relazione si dimostra talvolta insufficiente. Non sempre il docente esperto dispone delle competenze aggiornate per affrontare le sfide digitali, interculturali o di benessere psico-sociale emergenti.

È proprio da questo limite che nasce l’opportunità di affiancare alla trasmissione verticale del sapere un modello orizzontale e dialogico, capace di valorizzare il contributo dei più giovani, non solo come apprendisti ma come innovatori e portatori di nuove visioni educative. Il reverse mentoring non nega il valore dell’esperienza, ma lo integra in una dinamica di scambio, in cui l’anzianità non è più sinonimo di esclusiva autorità, bensì occasione di confronto fertile e di crescita reciproca.

Una nuova forma di apprendimento intergenerazionale

Nel panorama educativo moderno, sempre più segnato da trasformazioni digitali, culturali e generazionali, emerge con forza il concetto di reverse mentoring come strumento potente, dinamico e inclusivo. A differenza del mentoring tradizionale, che si basa su una relazione verticale in cui un docente esperto trasmette il proprio sapere a un collega più giovane, il reverse mentoring sovverte questa logica lineare per aprire un canale bidirezionale di apprendimento. In questo modello, sono gli insegnanti della nuova generazione, spesso più aggiornati sulle tecnologie digitali, le dinamiche culturali contemporanee, le sensibilità sociali emergenti e le pratiche didattiche innovative, ad assumere il ruolo di guida nei confronti dei colleghi più anziani.

Non si tratta semplicemente di una trasmissione tecnica di competenze, ma di un incontro autentico tra visioni educative differenti, in cui la freschezza dello sguardo giovanile si intreccia con l’esperienza consolidata in una relazione paritaria. In questo scambio si sviluppano nuove consapevolezze, si riducono le distanze generazionali, e si promuove una crescita professionale condivisa. Il reverse mentoring, infatti, rompe le logiche gerarchiche tradizionali per favorire una cultura fondata sull’umiltà reciproca, sull’ascolto attivo e sull’aggiornamento continuo, che rende ogni docente al tempo stesso insegnante e discente.

In un’epoca in cui la scuola è chiamata a gestire sfide sempre più complesse, dall’inclusione digitale all’educazione emotiva, dalla cittadinanza globale alla sostenibilità, risulta evidente quanto il sapere distribuito tra le generazioni possa diventare una risorsa inestimabile. Questo tipo di mentoring promuove un’educazione continua e partecipativa, in cui il dialogo, la contaminazione dei saperi e la collaborazione diventano strumenti fondamentali per affrontare con maggiore consapevolezza e sensibilità le trasformazioni in atto. Così, la comunità scolastica diventa un laboratorio vivo e intergenerazionale, in grado di rigenerarsi costantemente attraverso il confronto costruttivo tra le diverse età professionali e di sviluppare una nuova etica della condivisione.

Reverse mentoring e innovazione metodologica e didattica

Uno degli aspetti più significativi del reverse mentoring risiede nella sua capacità di facilitare l’introduzione e l’integrazione delle nuove tecnologie e metodologie nella didattica quotidiana. In molte realtà scolastiche, l’adozione di strumenti digitali come piattaforme di apprendimento collaborativo, app educative, simulatori virtuali, metaverso o sistemi di gestione delle classi avviene grazie al supporto e alla guida dei docenti più giovani, che hanno spesso sperimentato tali strumenti già nel loro percorso universitario o nelle loro prime esperienze lavorative.

Ma il reverse mentoring non si limita all’aspetto strumentale. Esso favorisce anche un ripensamento più profondo delle modalità di insegnamento, promuovendo l’adozione di strategie didattiche innovative come il cooperative learning, il problem-based learning, la gamification e l’uso dei podcast o dei video interattivi. Questo approccio apre nuove possibilità per personalizzare l’insegnamento, stimolare la partecipazione attiva degli studenti e valorizzare la loro autonomia cognitiva e progettuale. Il docente esperto, supportato da un collega più giovane, può così rinnovare il proprio stile pedagogico, rendendolo più adatto alle esigenze delle nuove generazioni.

Il reverse mentoring, in tal senso, non è solo un meccanismo per aggiornare le competenze digitali, ma un veicolo per trasformare la cultura didattica della scuola, favorendo la sperimentazione, il dialogo e l’ibridazione tra modelli tradizionali e approcci contemporanei. In un tempo segnato dall’accelerazione tecnologica, è proprio questo tipo di alleanza intergenerazionale a offrire una via sostenibile per costruire un’educazione capace di innovare senza perdere la propria radice umana e relazionale.

Uno degli ambiti in cui il reverse mentoring mostra il suo maggiore impatto è l’innovazione didattica, oggi considerata una delle priorità strategiche per la scuola del futuro. Come sottolinea David Tuck nel testo pubblicato su TES Magazine, i docenti più giovani, nativi digitali e spesso più familiari con strumenti come Microsoft OneNote, applicazioni per la gestione collaborativa dell’apprendimento, ambienti digitali integrati e tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, diventano guide preziose per i colleghi meno avvezzi all’uso delle tecnologie. Il loro contributo non si limita alla formazione tecnica, ma si estende alla diffusione di nuove metodologie didattiche attive come la flipped classroom, l’apprendimento personalizzato e l’utilizzo di risorse interattive per stimolare l’engagement degli studenti.

Questo passaggio di conoscenze, lungi dal mettere in crisi le gerarchie professionali, si rivela invece una leva preziosa per colmare il divario digitale e favorire una transizione graduale ma profonda verso modelli didattici più flessibili, inclusivi e centrati sui bisogni degli alunni. Il reverse mentoring, in questo senso, si inserisce nel più ampio paradigma dell’innovazione pedagogica, dove la scuola si apre alla sperimentazione, alla ricerca-azione e alla valorizzazione dei saperi distribuiti. L’esperienza raccontata da Tuck dimostra come l’adozione di una postura aperta all’apprendimento reciproco possa generare un cambiamento culturale nella percezione del ruolo del docente, sempre più orientato alla co-progettazione e al lifelong learning. Rendere la didattica più efficace, personalizzata e coinvolgente non è solo un obiettivo tecnico, ma un progetto etico che richiede fiducia, disponibilità e visione condivisa.

Cultura della collaborazione e valorizzazione del dialogo

Oltre ai benefici sul piano tecnico, il reverse mentoring incide profondamente sulla cultura organizzativa delle scuole, contribuendo a ridisegnare i rapporti professionali e a rinnovare l’identità collettiva del corpo docente. Il confronto aperto tra generazioni diverse promuove un clima di fiducia reciproca, incoraggia la trasparenza e la responsabilizzazione, e abbatte le rigide gerarchie che spesso impediscono la circolazione libera delle idee. In questo contesto, il reverse mentoring si configura come un catalizzatore di cambiamento culturale, capace di trasformare la scuola in un organismo vivo, riflessivo e in costante evoluzione.

I docenti più giovani, grazie alla loro maggiore familiarità con la cultura della rete, con le dinamiche relazionali contemporanee e con un approccio più agile alla gestione dei problemi, portano con sé non solo competenze tecnologiche, ma anche una mentalità orientata alla collaborazione, alla sperimentazione e all’ascolto attivo. Il loro contributo rinnova le pratiche quotidiane e favorisce un atteggiamento di apertura verso il feedback, la revisione dei propri metodi e l’adozione di strumenti più inclusivi e partecipativi.

David Tuck evidenzia come questo tipo di collaborazione, oltre a potenziare le capacità professionali di ciascuno, abbia arricchito anche i legami interpersonali tra colleghi, aprendo spazi per una scuola più empatica, cooperativa e capace di valorizzare la dimensione affettiva del lavoro educativo. In tale cornice, il reverse mentoring diventa non solo una strategia di aggiornamento, ma una vera e propria pratica di rigenerazione culturale, fondata sulla convinzione che l’apprendimento nasce dal dialogo e dalla fiducia, e che ogni generazione ha qualcosa di prezioso da donare e da ricevere.

Apprendere anche dall’esperienza meno matura

Accettare il reverse mentoring richiede un atto di umiltà e una disposizione profonda all’ascolto da parte dei docenti più esperti, che devono riconoscere la legittimità e il valore delle competenze dei colleghi più giovani. Non si tratta di mettere in discussione l’autorevolezza acquisita nel tempo, ma di aprirsi a un’idea di apprendimento continuo in cui nessuno possiede tutto il sapere e tutti hanno qualcosa da offrire. Questa disponibilità al cambiamento rappresenta una sfida culturale per molti professionisti della scuola, spesso abituati a identificare il prestigio con la seniority.

Lo scambio bidirezionale che caratterizza il reverse mentoring, invece, consente di superare questa visione statica e promuove una nuova concezione dell’expertise, fondata sulla complementarità tra esperienza e innovazione. È un invito a ripensare l’idea stessa di competenza, valorizzando non solo ciò che si è già acquisito ma anche la capacità di mettersi in gioco, di sperimentare, di apprendere da prospettive differenti. In questo quadro, l’apprendimento reciproco si trasforma in un motore di crescita professionale ed evoluzione personale, stimolando riflessioni critiche, revisioni metodologiche e rinnovate motivazioni.

Contribuisce, inoltre, a costruire una comunità scolastica più coesa e resiliente, capace di adattarsi ai cambiamenti con flessibilità e intelligenza collettiva. In un’epoca in cui le sfide educative sono sempre più complesse e multidimensionali, la capacità di imparare gli uni dagli altri diventa una risorsa essenziale per rispondere in modo efficace, empatico e condiviso alle esigenze degli studenti e della società.

Conclusioni

Il reverse mentoring, come evidenziato nell’esperienza riportata da David Tuck, si configura come una pratica educativa lungimirante, in grado di generare benefici concreti sia sul piano individuale che su quello istituzionale. Le scuole che scelgono di adottare questa modalità non solo promuovono l’innovazione tecnologica e metodologica, ma coltivano una cultura basata sull’ascolto reciproco, sul riconoscimento delle competenze trasversali e sulla valorizzazione della diversità generazionale. Aprirsi al reverse mentoring significa abbracciare una visione educativa, in cui l’aggiornamento continuo diventa stile professionale, la collaborazione fondamento etico e il dialogo motore di trasformazione.

In un mondo scolastico che rischia spesso di restare intrappolato in modelli statici, il reverse mentoring rappresenta una via di rigenerazione pedagogica e umana. Perché quando un docente sceglie di imparare da un altro, più giovane o diverso, la scuola smette di essere un’istituzione e torna a essere ciò che davvero conta: una comunità che cresce insieme, un luogo dove anche gli insegnanti imparano a rinnovarsi per appassionarsi di nuovo.

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