Stipendi precari, ‘diritto alla RPD per i docenti che svolgono supplenze temporanee’
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Stipendi docenti precari, il Tribunale del Lavoro di Parma, attraverso una recente sentenza, ha stabilito che i docenti, anche per le supplenze di pochi giorni, hanno diritto a percepire la Retribuzione Professionale Docente (RPD). Ne ha dato notizia Anief, il sindacato che ha assistito una docente che ha presentato ricorso per non avere ricevuto la RPD in busta paga, contrariamente a quanto avviene per i colleghi di ruolo e per i precari che hanno sottoscritto un contratto annuale.
Stipendi docenti precari, Tribunale di Parma sancisce il diritto a percepire la RPD in busta paga
Il ricorso, come indicato da una nota informativa pubblicata da Anief, è stato presentato da “una docente abilitata per la classe concorsuale Scuola Primaria (EEEE)” che presta “attualmente servizio presso un Istituto Comprensivo” di Parma: la donna è “stata utilizzata dal MIUR in attività di docenza mediante la stipula di ripetuti contratti d’insegnamento a tempo determinato” e “la medesima, nonostante per gli anni scolastici 2015/16, 2016/17 e 2017/18 avesse svolto diverse supplenze temporanee con oneri e responsabilità non inferiori a quelli dei docenti di ruolo e dei docenti precari con supplenze annuali in scadenza al 30 giugno o al 31 agosto, non aveva percepito la retribuzione professionale docenti”.
Le motivazioni della sentenza
Il Giudice del Lavoro, una volta esaminato il caso, ha ritenuto che “anche per il personale assunto per espletare incarichi di durata inferiore a quella annuale si pongono le medesime finalità di valorizzazione della funzione docente e di riconoscimento del ruolo svolto dagli insegnanti, in relazione alle quali il trattamento accessorio è stato istituito, non essendo provate significative diversificazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa fra assunti a tempo indeterminato e supplenti temporanei.
Dunque, una volta escluse significative diversificazioni nell’attività propria di tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico, rispetto a quella del personale stabilmente inserito negli organici, il principio di non discriminazione, sancito dalla richiamata clausola 4 e recepito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 368 del 2001 e poi dall’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015, deve guidare nell’interpretazione delle clausole contrattuali che vengono in rilievo, nel senso che fra più opzioni astrattamente possibili deve essere preferita quella che armonizza la disciplina contrattuale con i principi inderogabili del diritto europeo”.
Ministero dell’Istruzione condannato
Il Tribunale di Parma, al termine dell’esame del ricorso, ha deciso per il suo accoglimento, ritenendo corretta la richiesta della docente di “percepire la retribuzione professionale docenti prevista dall’art. 7 del CCNL 15.03.2001 in relazione al servizio non di ruolo prestato in favore del Ministero dell’Istruzione in forza dei contratti a tempo determinato sottoscritti negli anni scolastici 2015/16, 2016/17 e 2017/18 e, per l’effetto, condanna il Ministero dell’Istruzione a corrispondere” alla docente “a tale titolo l’importo di Euro 3.030,98, oltre alla maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo”.
Nella sentenza, infine, si “condanna il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a rifondere” alla docente “le spese di lite, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi a favore dei difensori dichiaratisi antistatari”, ponendo “definitivamente a carico del Ministero convenuto le spese di CTU, come separatamente liquidate in corso di causa”.
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