In difesa della lezione frontale
L’angolo della giustizia. Arringa in difesa della lezione frontale.
Signor giudice, signori giurati!
La pubblica accusa nella persona del mio illustre avversario, il pedagogista Daniele Novara, autore di un intervento al Convegno organizzato dal Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, ha ritenuto di poter essere categorico al punto di dichiarare testualmente, come è dato leggere agli Atti:
“La lezione frontale non serve.”
Con baldanza degna di miglior causa il sopra nominato esperto non si è peritato di esporre anticipatamente e antipaticamente le seguenti motivazioni della sua sfrenata e proterva audacia:
“La lezione frontale non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati e, infine, si interroga e si valuta l’alunno […] S’impara molto di più dai coetanei che dagli insegnanti […] L’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale, l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.”
Nel testo appena citato ben tre le affermazioni da contestare.
Innanzitutto spiegare non è affatto il termine adatto. Il docente che intenda svolgere mediante la lezione frontale il suo compito di educatore porge i contenuti della disciplina di sua competenza, fornendo informazioni e svolgendo argomentazioni, verificando che i discenti lo seguano con partecipazione, invitandoli ed esortandoli a porre domande sugli argomenti esposti, ovvero a sottoporlo alle loro interrogazioni. E poi, come potrebbe non richiedere a ciascun discente lo studio individuale e come potrebbe non interrogare ciascun discente al fine di verificare progressi e manchevolezze delle sue conoscenze? Cosa ci sarebbe in tutto ciò di non pedagogico? Ben altra è la verità, che sfugge allo sguardo offuscato del nostro temerario avversario. Egli scaglia i suoi strali contro la lezione frontale cattiva. Strali che non sfiorano affatto la buona lezione frontale.
Non pago di questo madornale fraintendimento nel quale è maldestramente incappato, il nostro incauto accusatore giunge a formulare la strabiliante asserzione secondo la quale gli allievi apprenderebbero “molto di più dai coetanei che dagli insegnanti”. Ma che cosa contiene quel “molto di più”? Contiene forse i contenuti disciplinari? O non contiene piuttosto il vuoto del sapere e la plenitudine dell’ignoranza o peggio l’iniziazione ai comportamenti devianti?
Ma c’è ancora di più nel nefasto testo in esame!
A parte il fatto che la lezione frontale correttamente intesa non è per niente in contrapposizione con un “approccio maieutico all’apprendimento”, non si può fare a meno di rimarcare quanto ridicola e penosa insieme si palesi l’asserzione secondo cui “l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.” Ahimè! In quali assurdi equivoci può incappare un riverito pedagogista! Insegnamento e apprendimento non sono forse momenti indissolubili di ogni autentico processo educativo? Come ridurre quindi l’apprendimento all’esclusiva attività dello studente? Certo, sarebbe un bel risparmio di spesa con beneficio delle casse dello Stato eliminare con le cattedre anche i docenti!
Prestate ascolto ora a un nobile grido proveniente dal nostro passato.
“O Italiani, io vi esorto alle storie”: questa l’esortazione di Ugo Foscolo dalla sua cattedra universitaria di eloquenza. Raccogliamolo dunque il passionale appello del nostro insigne scrittore. Si sa che nel mondo greco antico ebbe un suo spazio privilegiato la lezione dialogica, destinata a perdurare attraverso i secoli: ebbene, forse che gli allievi nel dialogare non erano di fronte o accanto al maestro? Perfino nella forma esasperata che la lezione frontale assumeva nella scuola pitagorica, in cui ogni neofita era tenuto addirittura ad ascoltare in silenzio il maestro per alcuni anni, veniva il momento in cui chi era stato obbligato al silenzio poteva e doveva prendere la parola, esternando ciò che nel frattempo era stato argomento di un dialogo interiore. Oggi non vorremo certo silenziare i nostri pargoli, ammesso che essi siano così docili da lasciarsi silenziare, sennonché l’attenzione a scuola resta pur sempre un requisito indispensabile per la corretta assimilazione di ogni materia di studio.
Ma passiamo a considerare il mutamento delle forme assunte dall’attenzione nel nostro tempo.
Sono forse rimaste immutate rispetto al passato? Niente affatto! Nell’ambiente virtuale al quale si accede navigando in internet è richiesta un’attenzione condizionata dalla peculiare presentazione dei contenuti, mediante quale modalità? Quella della tanto bistrattata e vituperata lezione frontale. L’insegnamento frontale è infatti la tecnica con cui si intrattengono i fruitori nel dominio informatico. Ben sapete che a questo proposito circolano fra gli studenti idee contraddittorie sull’approccio alla cultura: da una parte ci si oppone alla didattica a distanza e si invoca la lezione in presenza, mentre dall’altra, essendo ormai lo scibile reperibile in rete, si vagheggia un avallo del Ministero dell’Istruzione all’apprendimento in ambiente virtuale, ove si ritiene che le spiegazioni degli argomenti di studio su youtube possano essere più chiare ed efficaci di quelle fornite in aula dai propri professori, non pochi dei quali, divenuti consci di tale fenomeno, cercano di mettersi al passo coi tempi. Infatti sul settimanale culturale Robinson di la Repubblica del 17 settembre 2022 un servizio di Sara Scarafia s’intitola Chiedilo al professor tiktoker e il sottotitolo recita:
“Sempre più docenti si affidano al social come strumento didattico e per sperimentare nuovi linguaggi […]”
Diversi docenti informano che mediante “brevi video-lezioni” riescono a destare l’attenzione e catturare l’interesse di centinaia di migliaia fino a oltre un milione di studenti. Con piattaforme come @coluzzidaniele, @heyprof, @lafisica che ci piace, #BookTok, #ripassiamo insieme, e così via, si parte da un argomento o da un quesito per suscitare curiosità e spingere a volerne sapere di più. È una sorta di ludendo discitur in formato virtuale.
Scrive in proposito Rich Waterworth, TikTok General Manager EU:
“Vorremmo che le persone arrivassero su TikTok non solo per il divertimento, ma per imparare, acquisire una nuova abilità o semplicemente essere ispirati a fare qualcosa che non avevano mai fatto prima. Ci sono persone che lo stanno già facendo ed è una tendenza che vogliamo sostenere e accelerare. Che tu sia un genitore che lavora, una persona in cerca di lavoro o semplicemente una mente curiosa, crediamo che quello dei video brevi sia il formato perfetto per continuare a imparare, con una modalità che si adatta allo stile di vita frenetico che molti di noi conducono.”
Lo stesso Ministero dell’Istruzione ricorre alla lezione frontale in ambiente virtuale, come potrete accertare accedendo al sito che su questo foglio vi ho trascritto: miur.gov.it/servizi-per-le-scuole
Qualche tempo fa destò scalpore una proposta di Ernesto Galli della Loggia: rimettere i docenti in cattedra sulla predella, per sancire in forma prossemica la loro autorità. L’autorità ha però il difetto di oscillare fra autorevolezza e autoritarismo. La distanza fra docenti e allievi, se limitata enfaticamente alla sola posa cattedratica, diventa infinita.
Per stare in cattedra con profitto degli allievi, ciò che conta è un certo tipo di autorità, così definita da Umberto Galimberti:
“Un’autorità […] non imposta dal ruolo del docente, ma conferita dagli studenti al professore perché ne riconoscono il valore.”
È questo carisma che riesce ad affascinare una classe e la invoglia a seguire il docente. Viene a crearsi così una sintonia grazie alla quale all’interno della lezione frontale può tornare ad aprirsi il dialogo e lo può sia per esigenze liberamente manifestate dagli allievi che per iniziative sollecitanti ex cathedra.
Presso l’Università di Pisa il 6 novembre 1997 Antonio La Penna tenne un discorso sulla crisi della scuola media superiore all’interno della crisi morale in Italia, riportato in questo libro che vi mostro: Antonio La Penna, Sulla scuola, Editori Laterza, 1999. Nel discorso a un certo punto viene delineato il modo ideale del fare lezione secondo l’autore:
“Il docente, accertati gli interessi degli alunni, procederà innanzitutto ad una scelta, scartando gli interessi più futili; poi cercherà di conciliare gli interessi emersi, di orientarli, di farne la base per uno sviluppo formativo; ad un certo momento deve guidare l’alunno anche a rendersi conto che la spontaneità non basta, che occorre la fatica guidata dalla volontà di concentrarsi e di prepararsi ai fini determinati, magari eliminando una parte del proprio fermento giovanile.”
Quindi nel fare lezione si confrontano le identità di docenti e allievi.
Identità condizionate sia dalle situazioni esistenziali che dalla realtà sociale in cui si vanno strutturando. Sono identità valide nella misura in cui si inverano nel reciproco rispetto. Di qui le possibili situazioni di apprendimento reciproco da far affiorare alla coscienza. Di qui la concezione della lezione frontale come occasione di un reciproco innamoramento che investe le sfere cognitiva ed emotiva insieme. È l’erotica dell’insegnamento teorizzata in ambito psicoanalitico da Massimo Recalcati.
Chiamo a testimoniare il pedagogista Luciano Sidoti:
“Gli insegnanti non si limitano a trasmettere conoscenze, ma imprimono il sapere attraverso un’impronta del proprio essere, attraverso una trasmissione corporea ed empatica […] Le strategie comunicative messe in campo dall’insegnante rendono la lezione frontale avvincente, comprensibile, espressiva ed aperta.”
Chiamo a testimoniare lo psicologo Gianni Marconato:
“La lezione frontale è da elogiare, perché altre strategie sono dispersive.”
Chiamo a testimoniare la psicoterapeuta Giuliana Gradavilla:
“Gli alunni hanno bisogno di una guida.”
Chiamo a testimoniare il professore Roberto Contu:
“Io so che, per quanto mi riguarda, […] i risultati migliori li ho ottenuti e li ottengo tuttora con lezioni frontali […] Se l’insegnante è depositario di un’esperienza culturale compresa realmente e profondamente, la trasmissione di tale tesoro non sarà mai troppo complicata.”
Chiamo a testimoniare il professore di filosofia sociale Axel Honneth della Goethe University di Francoforte:
“La ricostruzione dell’identità esige un riconoscimento intersoggettivo.”
Testimonianza particolarmente importante, quest’ultima, dal momento che chiama in causa il passaggio da individui a persone come continua conquista di un’identità non solipsistica, facendo comprendere perché e come fra docente in cattedra e allievi nei banchi debba e possa instaurarsi la complicità positiva dell’apprendimento reciproco, nel quale il riconoscersi soggetti in continua ricostruzione si traduca in condivisione di responsabilità nei confronti della cultura. Come negare che la disposizione in aula di cattedra e banchi sia la più funzionale per tante solitudini chiamate a incontrarsi con sorrisi di solidarietà?
Signor giudice, signori giurati!
Pensate a Platone. Pensate a Pitagora. Pensate a Dante Alighieri. Pensate a William Shakespeare. Pensate a Michelangelo Buonarroti. Pensate a Johann Sebastian Bach. Pensate a Galileo Galilei. Pensate a Immanuel Kant. Pensate a Kurt Gödel. Pensate a Albert Einstein. Pensate a Giorgio Parisi. Potrebbe uno studente da solo misurarsi con tali e altri giganti della cultura, se non guidato a conoscerli da docenti che si adoperino non solo a spiegare la grandezza delle loro opere, ma anche a passare dal cosa sapere al come saperlo? Si badi che il come è implicito nel cosa, a patto che si riesca a evidenziarlo presentando le opere di quei grandi ingegni non staticamente, in quanto già realizzate, ma dinamicamente, in quanto esiti di un processo costruttivo il cui prodotto compiuto continua ad attendere la propria rigenerazione nell’attività interpretativa.
Si dirà che gli autori testé nominati possono essere adatti agli studi liceali ma non ad altri livelli scolastici. Sennonché qualsiasi altro contenuto si presta ad essere indagato ad ogni livello nella sua genesi. Purché, s’intende, a partecipare a tale genesi siano guidati gli alunni da un maestro nel più nobile senso del termine. Questo e non altro dobbiamo intendere per lezione frontale come esercizio di aperto confronto e di reciproco aiuto fra docenti e discenti. Così la realtà materiale di cattedra, banchi, aula scomparirà e appariranno nelle dimensione metafisica della vita le menti pensanti e i cuori palpitanti all’unisono di soggetti che si saranno riconosciuti come esseri umani anelanti a preservare la civiltà.
Signor giudice, signori giurati!
Alla luce di quanto fin qui illustrato e argomentato chiedo per la mia assistita, la lezione frontale, l’assoluzione con formula piena e il vostro plauso.