In difesa della lezione frontale

L’angolo della giustizia. Arringa in  difesa della lezione frontale.

Signor giudice, signori giurati!

La pubblica accusa nella persona del mio illustre avversario, il pedagogista Daniele Novara, autore di un intervento al Convegno organizzato dal Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, ha ritenuto di poter essere categorico al punto di dichiarare testualmente, come è dato leggere agli Atti:

“La lezione frontale non serve.”

Con baldanza degna di miglior causa il sopra nominato esperto non si è peritato di esporre anticipatamente e antipaticamente le seguenti  motivazioni della sua sfrenata e proterva audacia:

“La lezione frontale non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati e, infine, si interroga e si valuta l’alunno […] S’impara molto di più dai coetanei che dagli insegnanti […] L’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale, l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.”

Nel testo appena citato ben tre le affermazioni da contestare.

Innanzitutto spiegare non è affatto il termine adatto. Il docente che intenda svolgere mediante la lezione frontale il suo compito di educatore porge i contenuti della disciplina di sua competenza, fornendo informazioni e svolgendo argomentazioni, verificando che i discenti lo seguano con partecipazione, invitandoli ed esortandoli a porre domande sugli argomenti esposti, ovvero a sottoporlo alle loro interrogazioni. E poi, come potrebbe non richiedere a ciascun discente lo studio individuale e come potrebbe non interrogare ciascun discente al fine di verificare progressi e manchevolezze delle sue conoscenze? Cosa ci sarebbe in tutto ciò di non pedagogico? Ben altra è la verità, che sfugge allo sguardo offuscato del nostro temerario avversario. Egli scaglia i suoi strali contro la lezione frontale cattiva. Strali che non sfiorano affatto la buona lezione frontale.

Non pago di questo madornale fraintendimento nel quale è maldestramente incappato, il nostro incauto accusatore giunge a formulare la strabiliante asserzione secondo la quale gli allievi apprenderebbero “molto di più dai coetanei che dagli insegnanti”. Ma che cosa contiene quel “molto di più”? Contiene forse i contenuti disciplinari? O non contiene piuttosto il vuoto del sapere e la plenitudine dell’ignoranza o peggio l’iniziazione ai comportamenti devianti?

Ma c’è ancora di più nel nefasto testo in esame!

A parte il fatto che la lezione frontale correttamente intesa non è per niente in contrapposizione con un “approccio maieutico all’apprendimento”, non si può fare a meno di rimarcare quanto ridicola e penosa insieme si palesi  l’asserzione secondo cui “l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.” Ahimè! In quali assurdi equivoci può incappare un riverito pedagogista! Insegnamento e apprendimento non sono forse momenti indissolubili di ogni autentico processo educativo? Come ridurre quindi l’apprendimento all’esclusiva attività dello studente? Certo, sarebbe un bel risparmio di spesa con beneficio delle casse dello Stato eliminare con le cattedre anche i docenti!

Prestate ascolto ora a un nobile grido proveniente dal nostro passato.

“O Italiani, io vi esorto alle storie”: questa l’esortazione di  Ugo Foscolo dalla sua cattedra universitaria di eloquenza. Raccogliamolo dunque il passionale appello del nostro insigne scrittore. Si sa che nel mondo greco antico ebbe un suo spazio privilegiato la lezione dialogica, destinata a perdurare attraverso i secoli: ebbene, forse che gli allievi nel dialogare non erano di fronte o accanto al maestro? Perfino nella  forma esasperata che la lezione frontale assumeva nella scuola pitagorica, in cui ogni neofita era tenuto addirittura ad ascoltare in silenzio il maestro per alcuni anni, veniva il momento in cui chi era stato obbligato al silenzio poteva e doveva prendere la parola, esternando ciò che nel frattempo era stato argomento di un dialogo interiore. Oggi non vorremo certo silenziare i nostri pargoli, ammesso che essi siano così docili da lasciarsi silenziare, sennonché l’attenzione a scuola resta pur sempre un requisito indispensabile per la corretta assimilazione di ogni materia di studio.

Ma passiamo a considerare il mutamento delle forme assunte dall’attenzione nel nostro tempo.

Sono forse rimaste immutate rispetto al passato? Niente affatto! Nell’ambiente virtuale al quale si accede navigando in internet è richiesta un’attenzione condizionata dalla peculiare presentazione dei contenuti, mediante quale modalità? Quella della tanto bistrattata e vituperata lezione frontale. L’insegnamento frontale è infatti la tecnica con cui si intrattengono i fruitori nel dominio informatico. Ben sapete che a questo proposito circolano fra  gli studenti idee contraddittorie sull’approccio alla cultura: da una parte ci si oppone alla didattica a distanza e si invoca la lezione in presenza, mentre dall’altra, essendo ormai lo scibile reperibile in rete, si vagheggia un avallo del Ministero dell’Istruzione all’apprendimento in ambiente virtuale, ove si ritiene che le spiegazioni degli argomenti di studio su youtube possano essere più chiare ed efficaci di quelle fornite in aula dai propri professori, non pochi dei quali, divenuti consci di tale fenomeno, cercano di mettersi al passo coi tempi. Infatti sul settimanale culturale Robinson di la Repubblica del 17 settembre 2022 un servizio di Sara Scarafia s’intitola Chiedilo al professor tiktoker e il  sottotitolo recita:

“Sempre più docenti si affidano al social come strumento didattico e per sperimentare nuovi linguaggi […]”

Diversi docenti informano che mediante “brevi video-lezioni” riescono a destare l’attenzione e catturare l’interesse di centinaia di migliaia fino a oltre un milione di studenti. Con piattaforme come @coluzzidaniele, @heyprof, @lafisica che ci piace,  #BookTok,  #ripassiamo insieme, e così via, si parte da un argomento o da un quesito per suscitare curiosità e spingere a volerne sapere di più. È una sorta di ludendo discitur in formato virtuale.

Scrive in proposito Rich Waterworth, TikTok General Manager EU:

Vorremmo che le persone arrivassero su TikTok non solo per il divertimento, ma per imparare, acquisire una nuova abilità o semplicemente essere ispirati a fare qualcosa che non avevano mai fatto prima. Ci sono persone che lo stanno già facendo ed è una tendenza che vogliamo sostenere e accelerare. Che tu sia un genitore che lavora, una persona in cerca di lavoro o semplicemente una mente curiosa, crediamo che quello dei video brevi sia il formato perfetto per continuare a imparare, con una modalità che si adatta allo stile di vita frenetico che molti di noi conducono.”

Lo stesso Ministero dell’Istruzione ricorre alla lezione frontale in ambiente virtuale, come potrete accertare accedendo al sito che su questo foglio vi ho trascritto: miur.gov.it/servizi-per-le-scuole

Qualche tempo fa destò scalpore una proposta di Ernesto Galli della Loggia: rimettere i docenti in cattedra sulla predella, per sancire in forma  prossemica la loro autorità. L’autorità ha però il difetto di oscillare fra autorevolezza e autoritarismo. La distanza fra docenti e allievi, se limitata enfaticamente alla sola posa cattedratica, diventa infinita.

Per stare in cattedra con profitto degli allievi, ciò che conta è un certo tipo di  autorità, così definita da Umberto Galimberti:

“Un’autorità […] non imposta dal ruolo del docente, ma conferita dagli studenti al professore perché ne riconoscono il valore.”

È questo carisma che riesce ad affascinare una classe e la invoglia a seguire il docente. Viene a crearsi così una sintonia grazie alla quale all’interno della lezione frontale può tornare ad aprirsi il dialogo e lo può sia per esigenze liberamente manifestate dagli allievi che per iniziative sollecitanti ex cathedra.

Presso l’Università di Pisa il 6 novembre 1997 Antonio La Penna tenne un discorso sulla crisi della scuola media superiore all’interno della crisi morale in Italia, riportato in questo libro che vi mostro: Antonio La Penna, Sulla scuola, Editori Laterza, 1999. Nel discorso a un certo punto  viene delineato il modo ideale del fare lezione secondo l’autore:

“Il docente, accertati gli interessi degli alunni, procederà innanzitutto ad una scelta, scartando gli interessi più futili; poi cercherà di conciliare gli interessi emersi, di orientarli,  di farne la base per uno sviluppo formativo; ad un certo momento deve guidare l’alunno anche a rendersi conto che la spontaneità non basta, che occorre la fatica guidata dalla volontà di concentrarsi e di prepararsi ai fini determinati, magari eliminando una parte del proprio fermento giovanile.”

Quindi nel fare lezione si confrontano le identità di docenti e allievi.

Identità condizionate sia dalle situazioni esistenziali che dalla realtà sociale in cui si vanno strutturando. Sono identità valide nella misura in cui si inverano nel reciproco rispetto. Di qui le possibili situazioni di apprendimento reciproco da far affiorare alla coscienza. Di qui la concezione della lezione frontale come occasione di un reciproco innamoramento che investe le sfere cognitiva ed emotiva insieme. È l’erotica dell’insegnamento teorizzata in ambito psicoanalitico da Massimo Recalcati.

Chiamo a testimoniare il pedagogista Luciano Sidoti:

“Gli insegnanti non si limitano a trasmettere conoscenze, ma imprimono il sapere attraverso un’impronta del proprio essere, attraverso una trasmissione corporea ed empatica […] Le strategie comunicative messe in campo dall’insegnante rendono la lezione frontale avvincente, comprensibile, espressiva ed aperta.”

Chiamo a testimoniare lo psicologo Gianni Marconato:

“La lezione frontale è da elogiare, perché altre strategie sono dispersive.”

Chiamo a testimoniare la  psicoterapeuta Giuliana Gradavilla:

“Gli alunni hanno bisogno di una guida.”

Chiamo a testimoniare il professore Roberto Contu:

“Io so che, per quanto mi riguarda, […] i risultati migliori li ho ottenuti e li ottengo tuttora con lezioni frontali […] Se l’insegnante è depositario di un’esperienza culturale compresa realmente e profondamente, la trasmissione di tale tesoro non sarà mai troppo complicata.”

Chiamo a testimoniare il professore di filosofia sociale Axel Honneth della Goethe University di Francoforte:

“La ricostruzione dell’identità esige un riconoscimento intersoggettivo.”

Testimonianza particolarmente importante, quest’ultima, dal momento che chiama in causa il passaggio da individui a persone come continua conquista di un’identità non solipsistica, facendo  comprendere perché e come fra docente in cattedra e allievi nei banchi debba e possa instaurarsi la complicità positiva dell’apprendimento reciproco, nel quale il riconoscersi soggetti in continua ricostruzione si traduca in condivisione di responsabilità nei confronti della cultura. Come negare che la disposizione in aula di cattedra e banchi sia la più funzionale per tante solitudini chiamate a incontrarsi con sorrisi di solidarietà?

Signor giudice, signori giurati!

Pensate a Platone. Pensate a Pitagora. Pensate a Dante Alighieri. Pensate a William Shakespeare. Pensate a Michelangelo Buonarroti. Pensate a Johann Sebastian Bach. Pensate a Galileo Galilei. Pensate a Immanuel Kant. Pensate a Kurt Gödel. Pensate a Albert Einstein. Pensate a Giorgio Parisi. Potrebbe uno studente da solo misurarsi con tali e altri giganti della cultura, se non guidato a conoscerli da docenti che si adoperino non solo a spiegare la grandezza delle loro opere, ma anche a passare dal cosa sapere al come saperlo? Si badi che il come è implicito nel cosa, a patto che si riesca a evidenziarlo presentando le opere di quei grandi ingegni non staticamente, in quanto già realizzate, ma dinamicamente, in quanto esiti di un processo costruttivo il cui prodotto compiuto continua ad attendere la propria rigenerazione nell’attività interpretativa.

Si dirà che gli autori testé nominati possono essere adatti agli studi liceali ma non ad altri livelli scolastici. Sennonché qualsiasi altro contenuto si presta ad essere indagato ad ogni livello nella sua genesi. Purché, s’intende, a partecipare a tale genesi siano guidati gli alunni da un maestro nel più nobile senso del termine. Questo e non altro dobbiamo intendere per lezione frontale come esercizio di aperto confronto e di reciproco aiuto fra docenti e discenti. Così la realtà materiale di cattedra, banchi, aula scomparirà e appariranno nelle dimensione metafisica della vita le menti pensanti e i cuori palpitanti all’unisono di soggetti che si saranno riconosciuti come esseri umani anelanti a preservare la civiltà.

Signor giudice, signori giurati!

Alla luce di quanto fin qui illustrato e argomentato chiedo per la mia assistita, la lezione frontale, l’assoluzione con formula piena e il vostro plauso.

  • Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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Modugno e Santomauro

GIOVANNI MODUGNO E GAETANO SANTOMAURO NEL PERSONALISMO PUGLIESE, ITALIANO ED EUROPEO DEL ‘900

di Carlo De Nitti

Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza PAPA FRANCESCO

1. ABBRIVO

In un’epoca, come quella che viviamo caratterizzata da una sempre più forte caratterizzazione digitale in ogni aspetto della vita – personale, sociale, civile economico, politico – e delle sue relazioni, non è anacronistico parlare di educazione ‘integrale’, ovvero che un’educazione che programmaticamente abbracci nel processo educativo l’uomo/la donna, la persona, in ogni età della vita ed in tutte le sue dimensioni.

A chi scrive sembra interessante incentrare il proprio intervento sul pensiero di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro, pedagogisti del ‘900 pugliese, italiano, europeo.

Non come esperto dei due Autori nel senso accademico della parola, ma come chi, uomo di scuola, da molti anni, con le storia di vita e di pensiero dei due autori ha avuto una frequentazione generata dall’aristotelico “thaumazein”. Sì, perché personalità siffatte non possono non sé-durre, a prescindere dalle idee di chi si accosti, purché lo faccia con onestà intellettuale e sprito teoretico scevro da pre-giudizi. 

E’ di sicuro interesse interrogare le figure di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro per cogliere – provando a suggere l’essenza del loro pensiero – quanto essi possanodire (rectius: insegnare) a noi, persone di scuola del XXI secolo, che operano nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Il ri-pensare le istanze di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro nella scuola di oggi non può, né deve, essere un mero esercizio di erudizione storiografica, ma un interesse squisitamente teoretico che interroghi i due pedagogisti, a partire dagli interrogativi del presente che scaturiscono, ovviamente, da bisogni didattici, educativi e pedagogici che urgono alle persone di scuola.

2. I “MAESTRI DEL SENSO”

E’ possibile connotare Giovanni Modugno e Gaetano Santomauro – per utilizzare il lessico della pedagogia di Papa Francesco – nell’espressione “maestro del senso”. Chi scrive non trova migliore sintetica definizione se non quella delle parole usate dal Pontefice nel 2022 a Lisbona, parlando ai giovani per definirli: . 

Giovanni Modugno e Gaetano Santomauro lo sono stati, di sicuro, ante litteram, … e lo sono ancora oggi per noieducatori e le giovani generazioni affidate alle nostre cure!Leggere contestualmente oggi Modugno e Santomauro oggi significa affrontare in modo efficace le urgenze educative del mondo contemporaneo. Al centro del processo educativo – come sostenevano nel loro tempo i pedagogisti dell’attivismo pedagogico – non possono che esserci gli educandi con i loro vissuti, le loro storie interiori, i loro bisogni. Nel processo di educazione, non si può che “ascendere insieme”, per riprendere il titolo di un testo del 1943 dello stesso Modugno, per cambiare se stessi e,contestualmente, la società in cui si vive.

3. GIOVANNI MODUGNO 

La vita, la ricerca culturale, l’insegnamento di Giovanni Modugno incarnano l’anelito verso una società più giusta e più libera, nella quale ogni persona, consapevole della sua dignità, possa recuperare e vivere il significato dei valori fondamentali, in primis, la vita e la libertà, senza dei quali non è possibile praticare alcun altro valore. L’attualità del suo messaggio si focalizza prioritariamente intorno alla finalità dell’educazione, riprendendo le istanze più significative della tradizione pedagogica cristiana, arricchita dal dialogo fecondo con autori contemporanei. A partire dalla fine degli anni Venti, intensa fu la relazione di Giovanni Modugno con il gruppo di pedagogisti cattolici che si raccoglieva in quel di Brescia intorno alla casa editrice La Scuola, fondata nel 1904, ed alla rivista Scuola Italiana Moderna, nata nel 1893. Il medesimo milieu cattolico in cui, com’è noto, si formò il giovane don Giovanni Battista Montini (1897 – 1978) – Pontefice con il nome di Paolo VI – che alle posizioni di Giovanni Modugno fu certamente vicino, attraverso la filosofia della persona di Jacques Maritain (1882 – 1973).  

Nel gruppo di docenti e pedagogisti cattolici bresciani e nelle loro iniziative, di cui fu ispiratore e sodale anche attraverso il suo discepolo e figlioccio Matteo Perrini (1925 – 2007), Giovanni Modugno trovò quella consonanza intellettuale e religiosa che spesso gli mancò in Puglia, una sorta di accogliente “rifugio”, ma anche la possibilità di incidere nella scuola militante: basti pensare alla comunanza di interessi e alla sua consonanza intellettuale con Laura Bianchini (1903 – 1983), docente liceale bresciana di filosofia e madre Costituente.  

Anche dopo la seconda guerra mondiale, Giovanni Modugno continua a collaborare con Scuola Italiana Moderna, la rivista scolastica più diffusa tra i docenti di scuola elementare, ed ispirò anche una filiazione diretta del gruppo bresciano: il “gruppo di maestri sperimentatori” di Pietralba (BZ), che si riunì per la prima volta nel 1948, cui partecipò anche un altro grande pedagogista pugliese, appena venticinquenne, suo allievo all’Istituto Magistrale di Bari: Gaetano Santomauro.  

Giovanni Modugno riconosce che la pedagogia è la “scienza della vita”: si preoccupa di affinare una riflessione rigorosa ma anche che manifesti un’efficacia pratica, fondata su principi e valori saldi, applicabili sia alla prassi quotidiana, scolastica e non. Per Modugno, la scienza della vita costituisce la risposta più significativa all’esigenza di riaffermare il primato della moralità, della razionalità e della spiritualità, come qualità peculiari di ogni persona che impara a riconoscerle come espressioni ineludibili della propria dignità e della propria coscienza morale.

Giovanni Modugno ricerca sempre il “perfezionamento interiore” anche nei momenti più drammatici della sua vita personale, come, con la precoce morte della figlia Pina. Evento – collegato con altri lutti familiari (i genitori) – che interroga la coscienza del pedagogista. Quando la figlia si ammala, il progetto di Giovanni Modugno è di lavorare per ‘cristianizzare la vita’, in lui e attorno a lui. E’ convinto che le disuguaglianze sociali e le miserie non si eliminano soltanto con le leggi e le riforme, ma con l’amore. La vera riforma interiore consiste nel disporsi a comprendere i bisogni di ciascuna persona in difficoltà e nel sentirsi responsabili se manca il necessario per vivere.

I motivi fondamentali che accompagnano la vita di Modugno sono quelli di ‘ascendere insieme’, ‘salire alla sublime vetta’, ‘aiutare gli altri a salire’: l’insegnamento gli consente di adempiere a questa sua idea. Nella prospettiva del suo pensiero, la religione costituisce il principale centro d’interesse dell’intero curricolo scolastico, oltre che il contenuto più significativo della scienza della vita. Essa è la guida per cogliere nella vita concreta le relazioni tra le singole azioni ed i principi della ragione e della morale. Con la didattica della ‘provocazione riflessiva’, stimolata dal docente, la pratica del riflettere durante le lezioni li sollecita nella chiarificazione dei criteri direttivi e li pome nelle condizioni di osservare, giungendo a scoprire le istanze più profonde della vita. Come non ritenere queste suggestioni attuali e praticabili nel XXI secolo

4. GIOVANNI MODUGNO VIVANT

Riflettere oggi, nel terzo decennio del XXI secolo, sulla figura, sul pensiero e sulla storia di Giovanni Modugno, “cercatore di Cristo” ed “apostolo dell’educazione” è un atto “rivoluzionario” nella sua essenza, che modifica radicalmente i paradigmi del pensiero corrente, spesso incentrato sui tecnicismi della pedagogia – declinati in tutte le sue branche – e della scuola, piuttosto che sulla persona, quale punto di imputazione ultimo di ogni azione educativa.

Questo è il continuum che attraversa la vita di Giovanni Modugno, anche prima di insegnare, quando, da giovanissimo, iniziò ad impegnarsi nelle vicende della politica della sua città, Bitonto, in solido con lo storico molfettese Gaetano Salvemini (1873 – 1957), cui lo unì un lunghissimo sodalizio intellettuale e politico, nonostante le diverse posizioni, che ha attraversato la storia italiana di mezzo secolo. Pressocché coetanei, furono entrambi “figli”, diversi tra loro, della temperie culturale positivistica, da cui furono entrambi alieni, giungendo a posizioni politiche diverse che avevano in comune l’impegno per il riscatto dei contadini meridionali rispetto ai soprusi dei latifondisti, attraverso la conquista del più fondamentale dei diritti, quello all’istruzione.   

Il fulcro dell’attività di Giovanni Modugno – che volle essere sempre “maestro di maestri” – fu sempre l’educazione dei giovani al pensiero critico, lontano da ogni possibile strumentalizzazione. Egli non fu mai uomo “di parte”, rifiutò sempre per se stesso incarichi, cariche ed onori di ogni tipo, proprio per conservare la sua libertà di pensiero. Non a caso, nel 1923, al pedagogista, ed amico, Giuseppe Lombardo Radice (1879 – 1938) che gli offriva, a nome del Ministero della Pubblica Istruzione, la nomina a Provveditore di Bari, egli oppose un fermo diniego, come fece, alla stessa maniera, quando la carica gli fu offerta, nel 1944, da Tommaso Fiore (1884 – 1973) a nome del Comitato di Liberazione Nazionale. Parimenti, non a caso, nel 1929, fu assordante il suo silenzio – in un’Italia osannante – di fronte alla firma dei Patti Lateranensi.

Questa missione educativa – cui adempì senza maideroga alcuna – non gli impedì di mantenere relazioni intellettuali con i più sensibili ed insigni pedagogisti del suo tempo, a cominciare dalla “scoperta” di Friedrich Wilhelm Foerster (1869 – 1966) e Josiah Royce (1855 – 1916). Con ed attraverso di loro, Giovanni Modugno difese la persona umana, la sua dignità e la sua libertà interiore, trovando nel Cristianesimo, inteso ome “fede nella Resurrezione”, il miglior fondamento per conseguire questo obiettivo. In quest’opera educativa, massima era la sintonia del pedagogista con Mons. Marcello Mimmi (1882 – 1961), Arcivescovo di Bari dal 1933 al 1952, di cui condivideva in toto il metodo pastorale.

La cifra di tutta l’esistenza del pedagogista che si può compendiare nel titolo del volume – pubblicato dieci anni dopo la sua scomparsa, a cura dell’amatissima moglie, Maria Spinelli Modugno – Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno: mediante un’ascesa interiore, mai disgiunta dall’adempimento del dovere della missione educativa, indirizzata alla conquista, da rinnovare continuamente, della libertà, della coscienza critica e della dignità della persona umana. Un’eredità pedagogica e morale da raccogliere e praticare con rinnovata lena anche, se non soprattutto, nelle scuole di ogni ordine e grado.

5. GAETANO SANTOMAURO

Le tematiche del pensiero di Modugno, si ritrovano, a parere di chi scrive, con semantica diversa, nel pensiero di Gaetano Santomauro. Rimeditare sul pensiero di questo autore, mediante la costruzione di un itinerario di ricerca all’interno di alcune tra le sue opere, significa accostarsi al pensiero di un Maestro della pedagogia italiana di ispirazione meridionalista e personalista: di un personalismo peculiare che “non è dogmatico ma neanche tendenzialmente scettico o relativista. E’ un personalismo realistico, che ha nella persona la misura delle cose e che nella persona ritrova il giusto equilibrio tra l’ansia del trascendente ed il qui ed ora “. 

Chi scrive pensa che esista un modello ‘protagoreo’ della pedagogia, al pari di quello della filosofia, come magistralmente teorizzato da Giuseppe Semerari. Tale modello è, di certo, invenibile in quel personalismo realistico che trova nella persona il giusto equilibrio tra l’ ‘hic et nunc’ e l’ansia del trascendente: esso legittima e sostiene la ‘pedagogia in situazione’ che è ermeneutica allorché sollecita a trovare i principi categoriali con i quali ‘comprendere’ le situazioni.

Il qui ed ora, per Santomauro, erano fondamentalmente la scuola e la società meridionali del dopoguerra ed il ruolo che la prima aveva il dovere di svolgere per il riscatto culturale, sociale, civile e, conseguentemente, economico della seconda. Il suo impegno sociale in favore del Mezzogiorno fu costante ed accompagnò la sua riflessione teoretica e la sua azione pedagogica a tutto tondo: non a caso, intrattenne rapporti, anche epistolari con uno dei più grandi Statisti, meridionale e meridionalista anch’egli, che l’Italia nei suoi centocinquanta anni di vita unitaria abbia mai avuto, Aldo Moro (1916 – 1978).

Il lascito migliore della riflessione pedagogica di Gaetano Santomauro, la cui prematura scomparsa ne ha tragicamente impedito ulteriori e fecondi sviluppi – un’eredità che lo fa essere nostro contemporaneo di persone di scuola del Terzo Millennio – è, “la sua fiducia inconcussa nell’educazione e nel suo ruolo positivo e propulsivo nella società, la sua speranza nell’educazione non in maniera fideistica né in forma ingenuamente ottimistica, ma in forma consapevole, responsabile, lucidamente ancorata al tempo storico e alla condizione umana” . 

Particolarmente interessante ed euristica è, a distanza di oltre cinquantacinque anni dalla sua prima pubblicazione, in quest’ottica, la rilettura dell’opera principale della pur vasta produzione scientifica di Santomauro, Per una pedagogia in situazione, purché la si affronti utilizzandola come chiave di lettura critica e propositiva delle problematiche pedagogiche del XXI secolo. 

La pedagogia in situazione non è una pedagogia relativistica (se non addirittura nichilistica) che si smarrisce nella realtà o la ratifica sic et simpliciter, ma è una pedagogia ermeneutica, in quanto – spiega ancora Pagano – assume il carattere, da un lato, ‘noetico’ perché sollecita la ricerca pedagogica a trovare i principi categoriali con i quali ‘leggere’, ‘spiegare’, ‘comprendere’ le cose, i fatti, le situazioni, e, dall’altro lato, storico-dialettico, perché spinge il pedagogista ad uscire dalle assolutizzazioni e a cercare mediazioni, a cogliere le reali possibilità di un processo educativo. E‟ una pedagogia forte nei suoi principi, ma pronta a mettersi in discussione quando avverte i limiti ed i rischi di una deriva integralista e fondamentalista. E‟ una pedagogia che vuole operare nel mondo e con esso continuamente rinnovarsi”. 

La ‘pedagogia in situazione’ è, a parere di chi scrive, la scommessa pedagogica che vive ogni giorno chi voglia operare con consapevolezza ed efficacia nella scuola del XXI secolo per formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano, educando alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, alla solidarietà, alla differenza, ma soprattutto al rispetto di tutt* e di ciascun*.

E’ la scommessa pedagogica che si trova a vivere ogni giorno chi voglia operare nella scuola del XXI secolo: formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano significa educare “alla responsabilità, alla partecipazione, alla solidarietà, alla tolleranza, al rispetto della tradizione, all’inclusione contro l’esclusione, al dialogo, alla prossimità, al realismo, alla comprensione del sé storico”, in una parola, ai valori.

A parere di chi scrive, l’effettiva competenza nell’umano è, e deve essere, sostanziata di un’originaria responsabilità / libertà per … che contraddistingue la persona: “noi non siamo responsabili perché siamo socialmente impegnati, ma ci impegniamo socialmente perché siamo originariamente responsabili”, come insegnava, in quegli stessi anni, Giuseppe Semerari, in una prospettiva teoretica tutt’affatto diversa.

Negli anni ‘60/’70 del secolo scorso, per Santomauro, praticare una pedagogia in situazione significava difendere le peculiarità valoriali della civiltà contadina, segnatamente pugliese e meridionale, dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione spersonalizzante ed alienante. Non è difficile invenire nell’impegno mai disgiunto di ricerca teoretica e attività sociale da parte di Gaetano Santomauro, – consegnato a volumi come Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale, Il senso di una pedagogia impegnata e Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno ed alle azioni per la scuola pugliese e meridionale nei decenni di transizione dalla società contadina a quella agro-industriale ed industriale come Consulente tecnico dell’Ente Riforma e come membro della delegazione italiana presso l’UNESCO – i fondamenti teoretici e sociali per un impegno odierno di donne ed uomini di scuola contro la spersonalizzazione di una società postindustriale, globalizzata, che tende ad omologare idee, comportamenti, usi, costumi, linguaggi, impoverendo o, addirittura, svellendo le tradizioni e modificando gli stili di vita degli uomini, delle donne e dei bambini nella prospettiva sempre ‘allettante’ dell’incremento dei consumi finalizzato alla produzione ed ad un profitto spesso fuori controllo.

6. GAETANO SANTOMAURO VIVANT

A parere di chi scrive, praticare oggi una pedagogia in situazione significa riconoscere nelle azioni concrete la dignità di ogni persona umana e determinare la necessità di elaborare e di definire itinerari operativi di “educazione compensativa”, ossia di recupero delle situazioni di emarginazione e di insuccesso negli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Tale riconoscimento è la cifra caratterizzante la cultura occidentale dal mondo greco fino al nostro tempo. La dignità dell’uomo definisce il suo essere persona ed il fine dell’educazione di cui è protagonista: in particolare, per la scuola, non è possibile leggere, conoscere ed educare le varie condizioni umane se non nell’ottica dell’accoglienza e della promozione di ogni persona, di tutti e di ciascuno, soprattutto di quelle contrassegnate dall’emarginazione e dell’insuccesso, che non sono soltanto scolastici, ma anche e soprattutto sociali e civili, anche, se non soprattutto, per una serie di ragioni sociali, storiche, economiche e politiche, che non è, in questa sede, dato di indagare ed approfondire, nel Mezzogiorno d’Italia.

In questo senso, operare quotidianamente nella scuola sta a significare porre in essere ogni giorno la pedagogia impegnata in situazione, che non è né può diventare pedagogia della situazione.

La pedagogia in situazione trova la sua massima espressione nella pratica dei laboratori e nella didattica incentrata su di essi, che non sono soltanto uno spazio didattico diverso dall’aula tradizionale, ma una modalità di apprendimento fondata su dimensioni altre dell’insegnare, consente di conseguire in modo efficace tanto gli obiettivi formativi quanto gli obiettivi specifici di apprendimento, afferenti il sapere (conoscenze), il saper fare (abilità) il saper essere (comportamenti e competenze) poiché essa promuove linguaggi plurimi e non soltanto quelli “dal collo in su”, quelli dimidiati, per dirla con Papa Francesco, poiché non coniugano la mente con il cuore e con le mani.

Questa opzione teoretica per la laboratorialità a trecentosessanta gradi colloca la prospettiva delle scuole, soprattutto del primo ciclo di cui massimamente si è occupato, già nel 1954, Gaetano Santomauro – a parere di chi scrive – sulla medesima linea pedagogica e metodologica che, all’inizio del Novecento, era proposta in modo dirompente, in ben altro contesto culturale, dall’attivismo pedagogico: da John Dewey, alle sorelle Agazzi, da Maria Montessori ad Edouard Claparède, da Céléstin Freinet a Ovide Decroly (a cui Gaetano Santomauro, peraltro, dedicò una specifica monografia) nella direzione dell’ampliamento dell’offerta formativa e delle opportunità di apprendimento per i bambini, i ragazzi, i giovani ma anche gli adulti di tutte le età interessati a crescere, a migliorare se stessi ed a riqualificarsi in un mondo del lavoro in continua trasformazione. 

7. LEGAMI ED APPRODI

Nel 1959, in un articolo comparso su “Rassegna Pugliese”, su cui, probabilmente, non è inutile soffermarsi in questo contesto, dal titolo Il pensiero di Giovanni Modugno attraverso i suoi inediti, Gaetano Santomauro ricostruisce il pensiero del pedagogista bitontino recentemente scomparso: la sua non è mera storiografia pedagogica delle fonti cui si è “abbeverato” il pensiero di Giovanni Modugno e dei passaggi cruciali del suo itinerarium 

G. Santomauro, da insigne pedagogista, ci fa toccare con mano la grandezza di Modugno, che, come tutti i grandi, ha pensato, in forme e modalità diverse, un solo grande tema: l’educazione morale, declinandola come civile e religiosa. Non è un caso che, in quegli stessi anni, l’educazione morale, civile e religiosa fosse al centro degli interessi teoretici del medesimo Santomauro, come si evince dalla bibliografia dei suoi scritti.

Entrambi fecero i conti, in tempi diversi, con il neoidealismo, sia nella versione storicistica crociana che in quella attualistica gentiliana. Basti pensare a due scelte fondamentali delle loro esperienze biografiche.

Giovanni Modugno non fece mai parte a Bari del gruppo di antifascisti che si riuniva intorno a Benedetto Croce presso la casa editrice Laterza, sebbene il suo volume su Foerster fu pubblicato nel 1931 proprio da Giovanni Laterza, quindi è ipotizzabile non senza l’assenso di Benedetto Croce. Né il pedagogista bitontino alcun ruolo nell’organizzazione del congresso del Comitato di Liberazione Nazionale che si svolse a Bari dal 28 al 30 gennaio 1944, e fu aperto proprio da un discorso del filosofo partenopeo (di adozione).

Al pensiero di Benedetto Croce e dalla sua concezione della storia, il giovanissimo Gaetano Santomauro dedicò addirittura la sua tesi di laurea che discusse nel 1946 (quindi con Croce ancora vivente) presso l’Università degli Studi di Urbino, avendo come relatore il filosofo neotomista cattolico Gustavo Bontadini (1903 – 1990). Senza considerare l’influenza di Giuseppe Flores d’Arcais (1908 – 2004), di Mario Casotti (1896 – 1975), di Vittorio Chizzolini(1907 – 1984) e del gruppo bresciano con cui era in stretta e feconda relazione anche Giovanni Modugno, che in quel consesso lo aveva introdotto.

Ciò che contraddistingue entrambi, in una linea teoretica che si potrebbe definire di continuità ideale, è il perseguire una concezione personalistica ed un’ascesa umana che li conduce all’elaborazione di un pensiero coerente ed originale: la connotazione geografica che è nel titolo non è, ovviamente, l’indicazione di un limite, ma di una precipua specificità che non arricchisce il Gotha del personalismo italiano ed europeo, quale quello che negli stessi decenni elaboravano Oltralpe Emmanuel Mounier (1905 – 1950, Jacques Maritain (1882 – 1973), Paul Ricoeur (1913 – 2005).

8. BIBLIOGRAFIA

I volumi qui citati non sono, di certo, una bibliografia esaustiva sugli argomenti cui si è avuto modo di argomentare, ma hanno costituito certamente un faro per chi si è cimentato nella scrittura.

• AA.VV., Maestri del senso: competenze e passione per una scuola migliore, a cura di CARLO DE NITTI e CARLO LAVERMICOCCA, Bari 2023, Ecumenica editrice;

• AA.VV., “Mente – Cuore – Mani”: la proposta educativa di Papa Francesco per la scuola di oggi. Riflessioni teoriche e prassi educative, a cura di CARLO DE NITTI e CARLO LAVERMICOCCA, Bari 2022, Ecumenica editrice;

• CAPORALE, VITTORIANO, Educazione e politica in Giovanni Modugno, Bari 1988, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Un pedagogista del Sud, Bari 1995, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Pedagogia Scienza della Vita, Bari, 1997, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, La proposta pedagogica di Giovanni Modugno, Bari, 2004, Cacucci;                                                                        

• CAPORALE, VITTORIANO, Pedagogia e vita di Giovanni Modugno, Bari 2006, Cacucci;

• CAPORALE, VITTORIANO, Santomauro Gaetano, in “Enciclopedia pedagogica”, 1994, pag. 10277-10283;

• CAPURSO, GIOVANNI, Due Maestri per il Sud: Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno, Corato, 2022, SECOP;

• CHIOSSO, GIORGIO, Novecento pedagogico italiano, Brescia 19 , La Scuola editrice;

• LAENG, MAURO, (a cura di), Gaetano Santomauro, “I contemporanei”, Giunti-Barbera, Firenze 1979, pp. 890-893;

• LAFRANCESCHINA, LUIGI, La Pedagogia Italiana del Secondo Dopoguerra e la Proposta Pedagogica di Don Gino Corallo, Bitonto 2014, Arti Grafiche Cortese; 

• MODUGNO, GIOVANNI, Il problema morale e l’educazione morale, Firenze 1924, Vallecchi;

• MODUGNO, GIOVANNI, F.W. Foerster e la crisi dell’anima contemporanea, Bari 1931, Laterza;

• PAGANO, RICCARDO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, Brescia 2008, La Scuola;

• PERRINI, MATTEO, Pedagogia e Vita di Giovanni Modugno, Brescia 1961, La Scuola;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno. Il volto umano del Vangelo, Bari 2020, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2022, Edizioni Dal Sud;

• SANTOMAURO, GAETANO, Giovanni Modugno attraverso gli inediti, «La Rassegna pugliese», 1969, 4-5, pp. 3 – 22;

• SANTOMAURO, GAETANO, Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale, Padova 1959, Liviana;

• SANTOMAURO, GAETANO, Il senso di una pedagogia impegnata, Lecce 1963, Milella;

• SANTOMAURO, GAETANO, Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno, Lecce 1964, Milella;

• SANTOMAURO, GAETANO, Per una pedagogia in situazione, Brescia 1967, La Scuola;

• SANTOMAURO, MARIA TIZIANA,

• SARACINO, DOMENICO, Politica, cultura e spiritualità in un cercatore di Cristo, Bari 2006, Stilo editrice;

• SEMERARI, GIUSEPPE, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1960, Lacaita.

 

Et si parva licet componere magnis, precedenti brevi testi di chi ha scritto questo:

a) Un pedagogista meridionale e meridionalista: Gaetano Santomauro, “Tempopieno”, VI, gennaio – giugno 2011, 1-2, pp. 9 – 13;

b) Introduzione. Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, in Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, a cura di CARLO DE NITTI, “Educazione & Scuola”, XVII, marzo 2012, 1015, pp. 4-8;

c) La missione educativa di Giovanni Modugno e la sua attualità nel XXI secolo. Nota a margine di una recente biografia del pedagogista bitontino, ”Educazione & Scuola”, XXVI, marzo 2021, 1123;

d) In difesa del Sud: storia di un’amicizia tra due grandi Maestri tra Molfetta e Bitonto, “Educazione & Scuola”, XXVII, settembre 2022, 1141;

e) Giovanni Modugno: un “cercatore di Cristo”, apostolo dell’educazione, in VINCENZO ROBLES, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2023, Edizioni Dal Sud, pp. 9 – 12; 

f) La ‘pedagogia in situazione’ oggi: Gaetano Santomauro vivant, “Educazione & Scuola”, XXVIII, marzo 2023, 1147;

g) Giovanni Modugno: un “maestro di senso” per la scuola italiana di oggi, “Educazione  Scuola”, XXVIII, dicembre 2023, 1156.

 

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