L’appello di Morin: Svegliamoci
L’appello di Edgar Morin per un risveglio delle coscienze e del pensiero e per l’attuazione di nuove politiche pienamente umaniste.
“Svegliamoci”, in libreria da settembre, è l’ultimo saggio di Edgar Morin.
Un saggio breve quanto chiaro. D’altronde, leggere Morin non è come leggere Michel Serres, l’altro grande intellettuale francese scomparso nel 2019, che per scrivere le Origini della Geometria aveva impiegato trentacinque anni della sua vita. Tanto difficile l’uno quanto più semplice e rapido l’altro.
Morin, rappresentante di un pensiero complesso che fonda sulla storia le sue radici, lancia il suo «appello per un risveglio delle coscienze»: svegliamoci! Il pamphlet è una interpretazione della storia, letta con la saggezza dei suoi centouno anni. Una storia che conta vistose discontinuità, tra le quali certamente singolare è il 1492, l’anno d’inizio della conquista delle Americhe e della circumnavigazione del globo.
L’anno d’inizio dell’era planetaria, in cui tutte le regioni del mondo diventano progressivamente interdipendenti e che si lascia caratterizzare da dominazioni, guerre e distruzioni. In quest’era planetaria, il 1945 introduce una qualità assolutamente nuova: la creazione dell’arma capace di annientare l’umanità. Una spada di Damocle che pende tuttora sopra otto miliardi di teste.
Altra singolarità è il 1° ottobre del 1972, la scoperta di portata gigantesca per la vita della Terra e quella dell’umanità: il rischio ecologico.
Negli anni ’80, poi, compare il transumanesimo, che rimette in discussone la natura umana e la natura della società, per trasformarle, e, parallelamente, dilaga nel mondo la marea neoliberista che porta con sé la mondializzazione tecno-economica, detta globalizzazione. Ciò che ne consegue è una catena di incertezze sul presente e il futuro. Dato reale: siamo costretti a navigare nell’incertezza, rinunciando con ciò a ogni concezione lineare della storia. Dobbiamo sperimentare che essa procede attraverso deviazioni che si rafforzano e diventano tendenze, rivelandosi allo stesso tempo razionale e demente, marxiana e shakespeariana. Una storia che è universale, cumulativa e direzionale, ma contrariamente a quanto sostenuto da Francis Fukuyama non ha una fine. Non c’è la fine della storia!
C’è invece nel divenire storico una crisi profonda da cui dobbiamo uscire.
Una crisi fatta di “devianze” che colpiscono la stabilità del sistema; una crisi che è invisibile, perché è anche crisi del pensiero che è a monte della miopia e del sonnambulismo che ci affliggono nella comprensione del presente. In definitiva, una crisi che è allo stesso tempo tanatologica (perché porta in sé una minaccia di morte), ecologica, economica, di civiltà e dunque storica, e per tutte queste ragioni coniugate è una crisi antropologica che riguarda la natura e il destino della condizione umana.
Il pianeta è in difficoltà: la crisi colpisce l’umanità intera, provoca ovunque fratture, fa scricchiolare le articolazioni, riaccende le guerre, determina ripiegamenti particolaristici; la visione globale e il senso dell’interesse generale sono ignorati.
Quale allora la tendenza e il significato dell’appello?
«Civilizzare la Terra, trasformare la specie umana in umanità, diviene l’obiettivo fondamentale e globale di qualunque politica che aspiri non solo al progresso ma alla sopravvivenza dell’umanità».
La sfida cioè per l’essere umano, instabile e versatile, che vive di contraddizioni, che è capace del meglio e del peggio, che è costretto a controllare incessantemente le passioni con la ragione e a riscaldare continuamente la ragione con le passioni, è: salvare il pianeta dal nostro sviluppo economico; regolare e controllare lo sviluppo tecnico; assicurare uno sviluppo umano.
Civilizzare la Terra-patria di tutti, contando su alcuni principii di speranza ai quali la storia ci ha educati.
Per sostenere tali principi di speranza, occorre una politica di “salute pubblica” che non dia luogo al Terrore come nella Francia del 1793, ma ad attività risanatrici, ovvero a nuove politiche. Tra queste:
Il saggio di Morin è breve, sintetico, senza fronzoli, si legge con interesse crescente e si chiude ri-pensando quanto letto.
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