Pagine autobiografiche di Benedetto Croce
Tra le novità in libreria una raccolta antologica di pagine autobiografiche di Benedetto Croce primo biografo di sé stesso.
È in libreria da metà ottobre, edito da Adelphi, con prefazione di Piero Craveri, Soliloquio e altre pagine autobiografiche di Benedetto Croce. Una raccolta antologica che Giuseppe Galasso (1929-2018) aveva approntato per Toni Servillo che ne lesse numerosi brani in una memorabile serata organizzata a Napoli nel 2016, nell’ambito delle iniziative per il centocinquantenario della nascita del grande filosofo.
Pagine che danno piacere a leggerle.
Belle per come sono scritte e per il senso che danno di una cultura elevata e di una vita straordinariamente operosa e intensamente vissuta. Sono pagine tratte dal Diario che Croce iniziò a redigere il 27 maggio 1906 e terminò di annotare il 29 settembre 1949. Un Diario che era nato «per esercitare una specie di controllo su me stesso e mettermi sull’avviso se mi lasciassi andare a perder tempo. Ma dopo più di quarant’anni che lo scrivo, non solo debbo essermi bene autodisciplinato, ma debbo temere che le seduzioni a perder tempo si faranno sempre minori, o saranno sostituite da qualcosa di peggio del gaio divertirsi, che è il perder tempo per forza ossia perché la salute non ci assiste».
Nel Diario ha registrato il suo impegno di studio e di lavoro ma anche i ricordi dell’infanzia, degli studi in un «collegio di preti, con molta clientela aristocratica borbonizzante», dei suoi cari, della mamma e del papà persi insieme all’unica sorella nel terremoto che, alle 21,30 del 28 luglio 1883, colpì Casamicciola, nell’isola di Ischia, dove i Croce si trovavano a villeggiare. Vi ha annotato l’esperienza del periodo romano, a casa dello zio Silvio Spaventa che accolse lui e il fratello Alfredo dopo che erano rimasti soli, il ritorno a Napoli e la vita a palazzo Filomarino dai cui balconi «l’occhio scorre sulle vetuste fabbriche che l’una in contro all’altra sorgono all’incrocio della via Trinità Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara» e su tutto «grandeggia» il campanile di Santa Chiara, e tanto, che gli sembra di «poterlo toccare con la mano».
Nella raccolta del Soliloquio, preparata da Galasso, si trova anche il brano riguardante il rifiuto di entrare a far parte del Governo Mussolini.
L’episodio nell’annotazione del 26 giugno 1924: «A Roma. Il tempo è trascorso quasi tutto al Senato e in conversazioni politiche. […] La sera, dopo pranzo, il Gentile mi ha telefonato che, essendosi recato (come già mi era noto che avrebbe fatto) a offrire le sue dimissioni a Mussolini, questi le aveva accettate, e gli aveva detto che desiderava avere me in suo luogo come ministro dell’istruzione. Il Gentile mi ha detto di avergli risposto che la cosa era impossibile, conoscendo il mio stato d’animo, manifestatogli in un breve incontro al Senato; e io gli ho detto, sempre per telefono, che aveva fatto benissimo».
Non mancano altri passi antologici di grande interesse.
Il merito è anche di Galasso che dalle fonti ha veramente ritagliato pezzi che ci fanno rivivere l’ininterrotto dialogo che Croce ha intrattenuto con sé stesso, instillando in noi allo stesso tempo il desiderio di poterci immergere nell’interezza di quelle fonti. Mirabile è anche il passo che ci dà un penetrante scorcio della sua filosofia:
«L’infinito, inesauribile dal pensiero dell’individuo, è la Realtà stessa, che crea sempre nuove forme; è la Vita, che è il vero mistero, non perchè inpenetrabile dal pensiero, ma perchè il pensiero la penetra, con potenza pari alla sua, all’infinito. E come ogni attimo, per bello che sia, diventerebbe brutto se si arrestasse, brutta diventerebbe la Vita, se mai indugiasse in una delle sue forme contingenti. E perchè la Filosofia, non meno dell’Arte, è condizionata dalla Vita, nessun particolare sistema filosofico può mai chiudere in sé tutto il filosofabile: nessun sistema filosofico è definitivo, perché la Vita, essa, non è mai defintiva. Un sistema filosofico risolve un gruppo di problemi storicamente dati, e prepara le condizioni per la posizione di altri problemi, cioè di nuovi sistemi. Così è sempre stato, e così sarà sempre. In questo significato la Verità è sempre stata cinta di mistero, ossia è un’ascensione ad altezze sempre crescenti, che non hanno giammai il loro culmine, come non l’ha la Vita. Ogni filosofo, alla fine di una sua ricerca, intravede le prime incerte linee di un’altra, che egli medesimo, o chi verrà dopo di lui, eseguirà».
Sembra di aver letto non una pagina autobiografica di Croce al cospetto del mistero della Verità quanto una moderna pagina di filosofia della matematica, in uno sforzo interpretativo del mistero in divenire della sua Verità e cioè che un ultimo teorema non ci sarà mai.
Benedetto Croce si spense a Napoli, nella sua casa, il 20 novembre 1952.
Esattamente settant’anni fa e la ricorrenza è stata ricordata ovunque studio e cultura abbiano vita. Una testimonianza di quanto sia realistico il suo filosofare, nel quale il conoscere è in rapporto con la storia e «ogni evento nuovo ritrova gli uomini ignoranti e li costringe a pensare».
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