La favola della Sirenetta

Le dotte Sirene e la favola della Sirenetta di Hans Christian Andersen, specialista in fiabe per bambini.

Secondo la tradizione, le Sirene [Dal latino tardo “sirenae”, che è dal greco Σειρῆνες] erano tre o quattro fanciulle dalla voce soave, nate dal dio fluviale Achelòo, figlio di Ocèano e Tèti, e dalla musa della tragedia Melpòmene.

Come narra Ovidio (Sulmona 43 a.C. – Tomi 17 d.C.) nel Libro V, vv 552-63, delle “Metamòrfosi”, quando Prosèrpina raccoglieva fiori primaverili, le dotte Sirene (<>, come le Muse, perché il canto è poetica composizione) erano nel numero delle sue compagne. Quando lei fu rapita da Plutone, dopo che invano l’ebbero cercata per tutta la terraferma, ecco che, perchè anche il mare sapesse quanto erano angosciate, espressero il desiderio di potersi soffermare sopra i flutti remigando con delle ali, e trovarono gli dei ben disposti, e tutt’a un tratto videro gli arti farsi biondi di penne. Tuttavia, perché al loro famoso canto fatto per ammaliare le orecchie, perché alla loro bocca così dotata, non venisse a mancare la favella, rimasero loro volti di fanciulle e voce umana.

Le Sirene avevano quindi aspetto di donne giovani e belle nella parte superiore del corpo e di uccelli nella parte inferiore. Situate, secondo la tradizione, in una rocciosa isola del Mediterraneo (a nord della Sicilia), esse ammaliavano col loro canto i naviganti e li facevano naufragare contro gli scogli. Ulisse le ascoltò dopo aver riempito di cera le orecchie dei compagni ed essersi fatto legare all’albero della nave per resistere alle loro lusinghe (le Sirene gli promettevano il sapere) [Omèro, “Odissèa”, Libro XII, vv. 52-73 e 206-265]. Questo episodio è raffigurato in un mosaico romano proveniente da Dougga, che si trova a Tunisi, Museo del Bardo.

Tre Sirene avevano rispettivamente nome: Aglaope (“colei che ha la voce splendida”), Pisinoe (“colei che seduce”), Telsinoe (“colei che incanta”). Partenope era una quarta Sirena innamorata di Ulisse e quando percepì il suo rifiuto, si gettò in mare, lasciandosi andare in balia delle onde. Il suo corpo arrivò sulle coste della Campania, dove gli abitanti del posto le diedero onorata sepoltura. Su quella tomba costruirono la città di Partenope. In tempi successivi la città fu distrutta e dalle sue ceneri nacque la città nuova, “Neapolis” ovvero Napoli, ancor oggi detta “città partenopea”.

La raffigurazione delle Sirene come donne con la parte inferiore del corpo a forma di pesce appare solo in età medievale ed è la loro figura più nota.
A volte viene detta “sirena” una bellezza femminile che diletta col fascino e con la seduzione.
Ed ora una favola, che ha per protagonista una Sirenetta con la parte inferiore del corpo a forma di pesce.

Ne è autore lo scrittore danese Hans Christian Andersen (Odense 1825 – Copenaghen 1875), specialista in “Fiabe per bambini”, fra le quali spiccano: “Il brutto anatroccolo”, “Scarpette rosse”, “La principessa sul pisello”, “Gli abiti nuovi dell’imperatore”, “I cigni selvatici”, “La piccola fiammiferaia”.

La Sirenetta

“Nelle profondità marine, ove sbocciano fiori vivi dai magnifici colori e piante flessibili dal fogliame diàfano, sorgeva il castello del re del Mare, con muri di corallo rosato, finestre d’ambra gialla, tetto di conchiglie perlacee. Il re del Mare, vedovo da tempo, aveva sei figliole, bellissime fanciulle, sirene dai lunghi capelli e dalle bianche braccia, il cui corpo terminava in una squamosa coda di pesce. La loro vecchia nonna diceva:

  • Quando compirete quindici anni, potrete salire a fior d’acqua, stendervi sulle rocce e veder passare le navi nell’albore lunare…

E le fanciulle attendevano con ansia il tempo loro fissato per salire alla superficie del mare. Della terra e dei suoi abitatori nulla sapevano. Solo nel giardino subacqueo v’era una statua marmorea, calata a picco dopo un naufragio: essa rappresentava un bellissimo giovinetto e la Sirenetta più piccina aveva piantato vicino a lui un roseo salice piangente, e rimaneva spesso estatica a guardare la statua, con l’anima perduta nel sogno… A una a una alle sue sorelle fu concesso salire a fior d’acqua, e tutte tornarono, narrando le meraviglie che avevano venduto sulla terra… Allorché giunse la volta della Sirenetta minore ella si apprestò col cuore in tumulto alla gran prova: mise il capo fuor dalle onde non appena il sole fu tramontato, e sullo sfondo del cielo di porpora e d’oro vide un bastimento a tre alberi, fermo sul mare in bonaccia. Quando scese la notte, ella si accostò a una finestretta, che dava sulla sala, e vide una gran festa con molti invitati. E fra tutti spiccava un giovane principe dagli occhi neri: si festeggiava il suo compleanno e più tardi si lanciarono nel cielo razzi, bengala, fuochi artificiali dai colori abbaglianti.

Dopo mezzanotte tutti si coricarono e dai profondi gorghi del mare s’annunciò con sordo mugghio la tempesta. Poco dopo essa si scatenò terribile: alla Sirenetta pareva un gioco, ma ai marinai no davvero! La nave era sballottata dalle onde, fra scrosci, fulmini, lampi: l’albero maestro si spezzò, i fianchi si sfasciarono, e la nave s’inabissò…

La Sirenetta si slanciò verso il giovane principe e lo raggiunse fra i rottami sparsi e i marosi furibondi: le forze lo abbandonarono ed ella lo sostenne fra le braccia, svenuto, e si lasciò trasportare con lui dalle onde alla deriva. Sorgeva l’alba e la tempesta si placava: la Sirenetta depose delicatamente il giovane privo di sensi su una spiaggia arenosa, in fondo ad una piccola baia tranquilla.

Poco lontano sorgeva un monastero. E una giovinetta non tardò a uscirne, vide il principe, chiamò le compagne, lo soccorse. Il principe riaperse gli occhi e le sorrise: non sapeva che la Sirenetta vedeva tutto, nascosta dietro una roccia; non sapeva che era stata lei a salvarlo. Ed ella si rituffò nel mare, profondamente triste.

Da quel giorno non ebbe più pace: narrò le sue pene alle sorelle ed esse la condussero a fior d’acqua in un luogo donde si vedeva il magnifico palazzo del principe. Da allora, ogni notte la Sirenetta nuotò fin presso la riva per vederlo. Di giorno poi chiedeva alla nonna tante notizie intorno agli uomini e apprese da lei che la loro vita era più breve di quella degli abitanti del mare, i quali possono vivere fino a trecento anni; ma gli uomini hanno un’anima immortale, che, quando il corpo perisce, sale al cielo fra le stelle.

  • E io non potrei avere un’anima immortale? – domandava la Sirenetta.
  • Sì, – rispondeva la nonna – ma solo se un uomo ti amasse più di tutto e più di tutti, e ti facesse sua sposa… Ma gli uomini non amano le sirene con la coda di pesce…

Da quel momento la Sirenetta non ebbe che un pensiero: liberarsi dalla coda squamosa, divenir simile alle donne terrestri e conquistare, con l’amore del principe, l’anima che mai non muore. Le dissero che una vecchia maga, la quale abitava in una grotta marina piena di polipi dai paurosi tentacoli e di orrendi serpentacci, era capace di qualsiasi sortilegio; ed ella si recò da lei. La strega, per compiere il prodigio, le chiese in cambio il dono della sua voce.

  • Ma se mi togli la voce – chiese la Sirenetta – che cosa mi resterà?
  • La tua bellezza – rispose la maga.

E la sirenetta si lasciò tagliare la lingua ed ebbe in cambio un filtro. Andò a berlo presso la scalèa marmorea del palazzo principesco e sentì un dolore così atroce che svenne. Quando riprese i sensi, il principe era dinnanzi a lei e la guardava coi grandi occhi neri: ella abbassò i suoi e si avvide che la sua coda di pesce era sparita. Il principe la prese per mano e la condusse al castello: a ogni passo che faceva (la maga glielo aveva predetto) alla Sirenetta sembrava di camminare su aghi pungenti e su pugnali accuminati. Ma non le importava. Fu accolta a Corte e il principe le voleva bene e la chiamava la sua piccola trovatella; ella danzava per lui con incantevole grazia, nonostante gli spasimi atroci; ma non poteva né parlare né cantare né dirgli il suo amore. La notte usciva sulla scalèa marmorea e immergeva nell’acqua marina, fresca, i piedini doloranti.

Una notte vennero a fior d’acqua le sue sorelle, e le dissero il loro dolore, perché ella le aveva lasciate. Un’altra notte le apparve la nonna, e un’altra notte il re del Mare, ed entrambi stesero invano le braccia verso lei. I giorni passavano, e la Sirenetta sentì dire a Corte che il principe presto doveva sposarsi. Era la fine: se egli avesse sposato un’altra donna, la mattina delle nozze la Sirenetta si sarebbe disciolta in spuma marina. Il giorno fatale giunse. Ed ella vide che la sposa era la fanciulla del monastero: il principe la credeva la sua salvatrice… Le campane suonavano a festa e la cerimonia ebbe luogo nel tempio: poi gli sposi salirono a bordo di una nave magnificamente addobbata, dove si dava un gran ballo. A notte alta tutti andarono a riposare e la Sirenetta rimase sola sulla spiaggia, donde era rimasta a guardare il bastimento, tutta la notte. Poco prima dell’alba le sue sorelle salirono a fior d’acqua e nuotarono fino a lei ed ella vide che i loro lunghi capelli erano tutti recisi.

  • Li abbiamo dati alla strega, perché tu non muoia all’alba. Ed ella ci ha dato questo coltello: devi immergerlo nel cuore del principe e allora riavrai la coda di pesce e rimarrai per trecento anni con noi!

Ma la Sirenetta non poteva uccidere colui che amava tanto: gettò lungi da sè il coltello e al primo raggio del sole si sentì dissolvere in candida spuma. Mille splendenti eteree forme fluttuavano nell’aria, fra melodie spirituali: ed ella era simile ad esse, una figlia dell’aria. Le sue sorelle le dissero che con le opere buone, recando frescura e ristori di pura aura ai malati nei caldi climi pestilenziali, visitando i bimbi sofferenti nelle case misere, in capo a trecento anni avrebbe potuto, come loro, acquistare un’anima immortale ed essere partecipe della eterna felicità. La Sirenetta levò gli occhi al cielo e per la prima volta li sentì riempirsi di lacrime. Alitò lieve sul volto del principe e della sua sposa, che invano la cercavano dappertutto. Poi salì con le altre figlie dell’aria sulle rosee nubi, fluttuanti per l’etere. E le voci melodiose cantavano:

  • Da qui a trecento anni saliremo con te al Paradiso!”.

Per finire, ricordo che a Copenaghen si trova la statua raffigurante la «Sirenetta» di cui sopra, sulle onde del Baltico.

  • Domenico Bruno

    Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione.

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La mitologia nell’Universo: Plutone, pianeta nano

Una storia un po’ triste fra mitologia e astronomia. La strana metamorfosi: Ades o Plutone da signore dell’Oltretomba a pianeta nano.
Gian Lorenzo Bernini, il ratto di Proserpina, Roma
Quella che state per leggere è la storia un po’ triste, fra mitologia e astronomia, di Ades o Plutone, che, dopo essere stato per secoli considerato il dio dell’inferno, viene relegato in soffitta per oltre un millennio e mezzo. Nel 1930 ritorna in ballo come nono pianeta del sistema solare; ma dopo 76 anni viene riclassificato e inserito fra i pianeti nani, dove ritrova (ahimè!) l’irata suocera Dèmetra o Cèrere.
La mitologia.
Ades (“invisibile” o “che rende invisibile”), figlio di Cròno e Rèa, fratello di Zèus, signore degli dei e degli uomini, e di Posèidone, signore del mare, scuotitore della terra, è il dio dell’inferno e regna sulle ombre dei morti con la moglie Persèfone o Còre, che egli rapì alla madre Dèmetra, chiamata dai Romani Cèrere, anch’ella figlia di Cròno e di Rèa e dea dell’agricoltura, onorata nei misteri eleusini.
Vale la pena di approfondire un po’ la storia del ratto di Persèfone, chiamata dai Romani Prosèrpina e il cui padre era Zèus. La madre errò sulla terra nove giorni per cercarla, e finalmente, irata, fece sì che il terreno divenisse sterile. Zèus, per placarla, ottenne da Ades che Persèfone trascorresse i quattro mesi dell’inverno agli Inferi col marito e gli altri otto con la madre.
Anticamente si credeva che Ades stesso salisse sulla terra a prendere le anime dei defunti, ma in seguito questo ufficio fu attribuito ad Ermes, figlio di Zèus e di Màia, messaggero degli dei, chiamato perciò “psykhopompòs” (“che conduce o accompagna le anime dei morti”).
Ades, divinità truce e terribile, nel V sec. a.C., nei misteri eleusini fu venerato anche col nome di Plutone (“ricco” o “dispensatore di ricchezza”) e considerato una divinità benefica che manda dalla profondità della terra prosperità e ricchezza.
Con l’avvento del cristianesimo, Ades o Plutone andò ad ammuffire in soffitta, come tutti gli dei dell’Olimpo. Neppure Dante, che nell’”Inferno” rispolverò Caronte e Cerbero, lo degnò della benché minima considerazione.
Gian Lorenzo Bernini, il ratto di Proserpina, particolare
L’astronomia.
Nel 1915 l’astronomo americano Percival Lowell (1855-1916), studiando le perturbazioni residue di Urano non giustificate completamente dalla sola presenza di Nettuno, intuì la presenza di un nuovo pianeta, del quale calcolò l’orbita senza tuttavia trovarlo nel cielo. Alla stessa conclusione giunse in seguito anche William Henry Pickering (1858-1938). Il pianeta fu scoperto per una fortunata combinazione il 18 febbraio 1930 da Clyde Tombough, in una posizione assai prossima a quella prevista. Al nuovo corpo celeste venne dato il nome di Plutone perché il suo simbolo PL ricorda le iniziali di Percival Lowell.
Plutone diventa così il nono pianeta del sistema solare, distante in media dal Sole 5,906 miliardi di km, con perielio a 4,437 e afelio a 7,376 miliardi di km; al suo perielio si trova perciò più vicino all’astro centrale di quanto non lo sia Nettuno. Compie la sua rivoluzione in 247,9 anni “siderei” (cioè riferiti alle stelle fisse), alla velocità media di 4,669 km/s su un’orbita ellittica di eccentricità e = 0,2448, maggiore di quella di tutti gli altri pianeti, con inclinazione media sul piano dell’”eclittica” (la traiettoria descritta apparentemente dal Sole sulla sfera celeste) di 17,13826°.
La massa di Plutone è lo 0,22% di quella terrestre e meno del 18% di quella lunare, ma è anche minore di quella di altri sei satelliti del sistema solare: Ganimede [Giove], Titano [Saturno], Callisto, Io, Europa [Giove], Tritone [Nettuno].
Il suo diametro medio è di 2376,6 km, ovvero circa il 68% di quello della Luna.
La superficie è composta per oltre il 98% di ghiaccio d’azoto, monossido di carbonio e tracce di metano. La temperatura superficiale si aggira tra i 40 e i 50 K. Qui di seguito sono riportati tutti i dati relativi a Plutone:

Semiasse maggiore                         5.906.380.000 Km = 39,4817 UA
Periodo orbitale                               247,9 anni
Velocità orbitale media                  4,669 Km/s
Eccentricità                                      0,2448
Inclinazione sull’eclittica               17,13826°
Temperatura superficiale media  45 K (-228,2 °C)
Periodo di rotazione                        6g 9h 17min 36 s
Diametro medio                               2376,6 km
Massa (Terra = 1)                            0,00218
Densità media                                 2,5 ⋅
Gravità superficiale (Terra = 1)   0,063
Satelliti naturali                              5.

Plutone possiede 5 satelliti naturali conosciuti, il più massiccio e importante dei quali è certamente Caronte.
Scoperto il 22 giugno 1978 e avente un raggio poco più della metà di quello di Plutone, è l’unico dei satelliti in equilibrio idrostatico e dalla forma sferica. Sono noti anche 4 satelliti minori: Notte e Idra, scoperti nel maggio 2005; Cerbero, scoperto nel luglio 2011 e Stige, scoperto nel luglio 2012.
Caronte possiede dimensioni non molto inferiori a Plutone; alcuni preferiscono quindi parlare di un sistema binario, giacché i due corpi orbitano attorno a un comune centro di gravità situato all’esterno di Plutone. Nell’Assemblea Generale UAI (Unione Astronomica Internazionale) dell’agosto del 2006 venne presa in considerazione la proposta di riclassificare Plutone e Caronte come un “pianeta doppio”, ma la proposta fu poi abbandonata.
Caronte ruota su se stesso con un movimento sincrono in 6,39 giorni, presentando sempre la stessa faccia a Plutone, come la Luna con la Terra.
Tuttavia, a differenza della Terra, il blocco mareale vale anche per Plutone che rivolge quindi anch’esso il medesimo emisfero a Caronte, unico caso nel sistema solare dove anche il corpo principale è in rotazione sincrona col suo maggior satellite; da qualsiasi posizione della superficie di ciascuno dei due corpi, l’altro rimane fisso nel cielo oppure perennemente invisibile.
Idra è il satellite più esterno del sistema e sembra essere il maggiore dei 4 nuovi satelliti. Stige è la più piccola luna del sistema plutoniano, avendo un diametro compreso tra i 10 e i 25 km.
Da Plutone, il Sole appare puntiforme, anche se ancora molto luminoso, da 150 a 450 volte più luminoso della Luna piena vista dalla Terra (la variabilità è dovuta al fatto che l’orbita di Plutone è altamente eccentrica).
Caronte visto dalla superficie di Plutone ha un diametro angolare di circa 3,8°, quasi otto volte il diametro angolare della Luna vista dalla Terra. Appare come un oggetto molto grande nel cielo notturno, ma risplende circa 13 volte meno della Luna, a causa della poca luce che riceve dal Sole.
Pianeta nano.
Dopo la scoperta di Plutone, nel 1930, gli astronomi avevano stabilito che il sistema solare contenesse nove pianeti e migliaia di altri corpi dalle dimensioni significativamente minori, asteroidi e comete. Per quasi 50 anni, Plutone è stato ritenuto più grande di Mercurio, ma la scoperta nel 1978 della sua luna Caronte permise di misurarne la massa con precisione, ottenendo per essa un valore molto più piccolo delle stime iniziali: il valore misurato corrispondeva a circa un ventesimo della massa di Mercurio, rendendo Plutone di gran lunga il pianeta più piccolo. Sebbene fosse ancora 14 volte più massiccio di Cerere, l’oggetto più grande presente nella fascia principale degli asteroidi, anche dal confronto con la Luna Plutone appariva ridimensionato, raggiungendone meno del 18% della massa. Inoltre, possedendo alcune caratteristiche inusuali quali un’elevata eccentricità orbitale e un’elevata inclinazione orbitale, divenne evidente che si trattava di un corpo differente da ogni altro pianeta.
Fra il 2002 e il 2005 furono scoperti 8 oggetti che condividevano le caratteristiche chiave di Plutone.
Il termine “pianeta nano” è stato introdotto ufficialmente nella nomenclatura astronomica il 24 agosto 2006 da un’assemblea dell’UAI, fra molte discussioni e polemiche. Nella risoluzione si legge:
“[…]  La UAI quindi decide che i pianeti [dal greco “plànētes” = errante] e gli altri oggetti nel nostro sistema solare, eccetto i satelliti, siano classificati in tre categorie distinte nel modo seguente:

un “pianeta” è un corpo celeste che

è in orbita intorno al Sole;
ha una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di corpo rigido, cosicché assume una forma di equilibrio idrostatico (quasi sferica);
ha ripulito le vicinanze intorno alla sua orbita;

un “pianeta nano” è un corpo celeste che:

è in orbita intorno al Sole;
ha una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di corpo rigido, cosicché assume una forma di equilibrio idrostatico (quasi sferica);
non ha ripulito le vicinanze intorno alla sua orbita;
non è un satellite.

tutti gli altri oggetti, eccetto i satelliti, che orbitano intorno al Sole devono essere considerati in maniera collettiva come “piccoli corpi del sistema solare”.

Nonostante il nome, un pianeta nano non è necessariamente più piccolo di un pianeta. In teoria non vi è limite alle dimensioni dei pianeti nani. Si osservi inoltre che la classe dei pianeti è distinta da quella dei pianeti nani, e non comprende quest’ultima.
L’UAI riconosce cinque pianeti nani: Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris.
Cerere era il più grande degli asteroidi, ha un diametro medio di appena 955 km e fu il primo di questi pianetini ad essere scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi (1746 – 1826), direttore dell’Osservatorio di Palermo. Carl Friedrich Gauss (1777 – 1855) calcolò la sua orbita con il metodo dei minimi quadrati.
Haumea è stata scoperta nel 2004 e Makemake nel 2005.
Eris, scoperta nel 2005, ha un diametro medio di 2326 km ed una massa 1,28 volte quella di Plutone; è il pianeta nano più distante dal Sole, avendo un semiasse maggiore di 68,071 UA. Deve il suo nome ad Èris, sorella di Ares, chiamata dai Romani Discòrdia, che accompagna il fratello nelle battaglie e personifica la discordia.
I seguenti oggetti del sistema solare potrebbero essere classificati, in base alla definizione, come pianeti nani, sebbene l’UAI si riservi di decidere in futuro se includerli o meno nella lista ufficiale. Fra parentesi è data per ciascuno la data di scoperta:
Gonggong (2007), Quaoar (2002), Sedna (2003), Orco (2004), 2002 (2002) e Salacia (2004).
L’elenco dei 6 candidati pianeti nani è stato fatto in base al diametro medio decrescente: dai 1290 Km di Gonggong ai 921 km di Salacia. Il più vicino al Sole è Orco (39,173 UA; periodo orbitale 247,492 anni); il più distante Sedna (524,400 UA; periodo orbitale 12059,06 anni).
Epilogo (non troppo serio).
Il nostro amico Plutone siede da solo ad un piccolo tavolo nel piccolo “Bar del pianeta nano”, dove ambrosia e nettare sono sconosciuti e i camerieri, quando lui entra nel locale, fanno i debiti scongiuri.
Pensa con rimpianto ai bei tempi in cui regnava sulle ombre di gente come Patroclo, Ettore, Achille, Priamo, Agamennone, Cassandra, Leonida e i suoi 300 compagni, Alessandro Magno.
Pensa pure a quando, dopo un lunghissimo letargo, era diventato per soli 76 anni il nono pianeta del sistema solare. Ora è solo un pianeta nano e in che compagnia si ritrova!
Per prima sua suocera Cerere, che lo ha sempre odiato; poi c’è quell’attaccabrighe di Èris, impegnata a seminar zizzania e sempre smaniosa di menare le mani (ed anche un po’ più grossa di lui). C’è poi quella coppia di sconosciuti dagli strani nomi, Haumea e Makemake, che se ne stanno sempre per i fatti loro e non danno confidenza a nessuno.
Plutone pensa, pensa e una lacrima scende sulle barbute guance dell’antico dio. Certo, è proprio caduto in basso: solo un ripensamento di quella dannata UAI potrebbe un giorno farlo tornare un pianeta “normale”, magari “doppio” in coppia col vecchio amico Caronte.
“Méllonta taúta?” [è l’equivalente in greco di “Ça ira?”]: non lo so, ma mi farebbe veramente piacere se accadesse.

Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione.

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Laboratorio di Letteratura per l’infanzia

Il Laboratorio di Letteratura per l’infanzia come strumento di decostruzione pedagogica su modelli e stili di funzionamento familiare: l’esperienza dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

di Valerio Ferro Allodola e Sofia Turiano [1]

1. Introduzione

Fino agli anni Ottanta del secolo scorso la Letteratura per l’infanzia è stata considerata di rango inferiore rispetto a quella di poeti e scrittori classici, antichi e contemporanei (Barsotti e Cantatore, 2021), un genere letterario marginale, una “Cenerentola” (Bacchetti, 2006).

Oggi è invece riconosciuta come:

– uno specchio dell’identità perché attraverso la lettura si ragiona, soprattutto si riflette e i personaggi di ogni storia diventano compagni di viaggio che alleviano la solitudine e ci insegnano a vivere;

– un sentiero di conoscenza che invita alla lettura ed ogni storia può fare da ponte tra il conosciuto o passato e lo sconosciuto o futuro;

– uno scrigno dei sogni dove regna l’immaginario e la fantasia;

– una lanterna per i sentimenti;

– una sorgente di storie nuove, di nuove “case” in cui vivere (Beseghi, 2008).

La Letteratura per l’infanzia si basa, nel contemporaneo, su origini articolate, sul pluralismo semantico, sulla funzione ideologica e culturale tutt’altro che superficiale (Cambi, 1996).

A partire dagli anni ’80, numerosi studi di linguistica, psicologia cognitiva, pedagogia e Letteratura per l’infanzia hanno dimostrato che l’uso precoce dei libri sia fondamentale per l’acquisizione del linguaggio e della visual literacy, mostrando una corrispondenza tra precoce accostamento al libro e competenze di lettura/scrittura in adolescenza.

Debes (1968) definisce la visual literacy come un gruppo di competenze che permette agli esseri umani di discriminare e interpretare i dati visibili che incontrano nel loro ambiente di vita.

L’obiettivo finale è la reading literacy (Elley, 1992) per comprendere e utilizzare testi scritti, riflettere su di essi e impegnarsi nella loro lettura al fine di raggiungere i propri obiettivi e di sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità per essere parte attiva della società

I primi testi che i bambini incontrano sono gli albi illustrati, che richiedono processi di decodifica complessi: da immagini e parole, i lettori danno senso alle storie. In questo modo si sviluppa la visual literacy, connessa all’acquisizione del linguaggio: il dialogo intorno alle immagini rappresenta il primo approccio al lessico. L’adulto è un modello di interazione con le figure e la lingua scritta, accompagnando il bambino alle prime forme di interrogazione ed elaborazione cognitiva dei sensi, interagendo con i simboli e i loro significati, con i “segreti della lettura profonda” (Meek, 1991, p. 41).

Ogni testo può configurarsi come dispositivo cognitivo e metacognitivo. Le teorie dello sviluppo bio-psico-sociale del bambino si intrecciano con i fattori individuali di ogni lettore, con le caratteristiche del libro e con la dimensione contestuale.

Fin dai due anni e mezzo, i bambini acquisiscono la funzione simbolica delle parole, il loro vocabolario cresce e imparano a leggere le immagini (Vygotskij, 1966, 1980). Molto importanti sono le metafore, visive e linguistiche. Il piccolo lettore è invitato alla decodifica non banale delle metafore e a una lettura interpretativa dei dettagli dell’immagine che assume significati diversi.

Le metafore servono per:

· la comprensione testuale e conoscenza delle proprie emozioni;

· la comprensione di concetti astratti.

Il rapporto privilegiato dell’infanzia con le immagini è stato studiato, per primo, da Jan Amos Comenius, il quale osserva quanto interessanti siano le immagini per i bambini (Didacta Magna, 1657).

Successivamente, nell’Orbis Sensualium Pictus (1658), Comenio progettò il libro con le figure per bambini, il primo concepito con questa esplicita intenzione. Nell’opera, il mondo da lui dipinto ha l’intento di raccontare il mondo ai bambini attraverso tavole illustrate a incisione, nelle quali inserisce brevi didascalie. Comenio intendeva rappresentare il mondo delle cose sensibili e questa sua volontà si convertì in una trasformazione etica della vita quotidiana.

Tre aspetti avvalorano l’utilità degli albi per lo sviluppo precoce di competenze narrative:

principio di sequenzialità, indotto sfogliando le pagine e guardando le figure nella doppia apertura;

Immagini e parole sono interconnesse e scelte secondo un criterio. Il soggetto o il gruppo di soggetti sono inseriti in un riquadro, inducendo il lettore a pensare che appartengano allo stesso contesto. I tre schemi organizzativi (somiglianza, contrasto, relazione) provocano un senso di anticipazione, in attesa di verificare la conferma dello schema iniziale. Il rapporto tra le immagini può cambiare nello stesso libro (climax);

immagini e parole provengono dall’ambiente familiare del bambino; questo lo aiuterà a sviluppare immagini mentali degli oggetti.

Come sottolineato altrove (Maddalena, Ferro Allodola, 2023), consapevoli che la Letteratura per l’infanzia, soprattutto quella rivolta ai prelettori, fa parte del graduale passaggio dalla cultura orale a quella scritta, durante la fase di progettazione del Laboratorio qui presentato, si è optato per la famosa raccolta di fiabe italiane curata da Italo Calvino nel 1956, in particolare quelle calabresi.

Le parole che scrive Calvino nell’Introduzione riassumono bene il file rouge che accomuna tutte le fiabe della Raccolta: “Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano” (1956, p. 4).

Come afferma lo stesso Calvino “L’interesse per le fiabe non ha nulla a che fare con una fedeltà a una tradizione etnica o con una nostalgia delle letture infantili, ma ha come obiettivo precipuo l’interesse all’economia del ritmo e la logica essenziale con cui le fiabe sono raccontate. Il mio obiettivo è scavare le radici di un’Italia moderna e cosmopolita, che conserverà sempre radici e problematiche identiche nel corso dei decenni”. (1956, p. 23) Attraverso questa raccolta, egli volle costruire un’antologia di fiabe per salvaguardare il patrimonio culturale di tutte le regioni italiane e dare dignità a un patrimonio italiano fiabesco, tutto da scoprire e riscoprire. In tal modo, egli contribuì anche alla ricostruzione dell’Italia del secondo dopo guerra. “Le Fiabe italiane” si possono definire come una combinazione di elementi nazional-popolari, rappresentando un progetto in qualche modo delicato ma funzionante. Questa opera agisce come una forza trainante inalterabile, evidenziata dal suo messaggio di libertà fantastica e apertura linguistica. La fiaba come strumento fondamentale per la letteratura dell’infanzia rappresenta un modo efficace per tramandare valori, insegnamenti e stimolare l’immaginazione dei bambini, anche a quelli nati dopo il secondo conflitto mondiale e alle generazioni future. Tanto che Calvino arriva a definirle come “il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna” (Calvino,1956, pag.8).

2. Il Laboratorio

Il Laboratorio di Letteratura per l’infanzia (AA. 2023/2024), di cui è docente titolare lo scrivente presso il Corso di Laurea Magistrale in Scienze della formazione primaria, previsto al quarto anno, per un totale di 16 ore, ha coinvolto n. 260, studenti, opportunamente suddivisi in n. 26 gruppi di 10 persone.

Per poter ricevere un così alto numero di iscritti e garantire loro l’adeguatezza di spazi e strumenti, è stata individuato l’Atelier di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, fornito di tavoli, sedie e divani sufficienti al numero di iscritti al Laboratorio.

L’obiettivo è stato quello di riscrivere le nove fiabe popolari provenienti dalla Calabria e contenute nella «Raccolta di fiabe italiane» di Italo Calvino (1956), come albi illustrati.

Di seguito, le fiabe prese in esame:

 I tre orfani 

 La bella addormentata ed i suoi figli 

 Il Reuccio fatto a mano 

 La tacchina 

 Le tre raccoglitrici di cicoria 

 La Bella dei Sett’abiti 

 Il Re serpente 

 La vedova e il brigante (area grecanica)

 Il granchio dalle uova d’oro (area grecanica).

Diverse e attualissime le tematiche emerse ed analizzate durante l’analisi delle fiabe attraverso l’adozione di un modello di interpretazione pedagogico decostruzionista (Mariani, 2009), volto a ricercare e far emergere i suoi impliciti e archetipi; come lavoro ermeneutico e catartico che incide sui livelli della comprensione:

violenza sulle donne;

stupro;

malattia;

sofferenza;

amore perverso;

morte;

supremazia dell’uomo sulla donna;

senso morale: distinzione tra bene e male;

emozioni;

oppressione;

elementi macabri.

Un elemento da considerare è che “le fiabe calabresi sono spesso intessute di motivi cristiani ma quasi sempre come contaminazione d’un vecchio intreccio magico acristiano”. (Calvino, 1956, p. 428).

Tra l’altro, è sempre Calvino ad affermare che “A Palmi di Calabria, Letterio Di Francia, il dotto autore della storia della Novellistica, ha trascritto una raccolta (pubblicata nel 1929 e 1931) che ha i riscontri più ricchi e precisi che si siano fatti in Italia, e segna i diversi narratori, tra cui si distingue una Annunziata Palermo: e, insomma, sarebbe un modello di metodo, se questi narratori non fossero in gran parte famigliari del Di Francia. Ma, per quel che interessa a noi, è una raccolta piena di curiosi “tipi” e varianti, d’un’immaginazione carica, colorata, complicata, in cui la logica dell’intreccio spesso s’è persa e si tramanda solo la sfacettatura delle meraviglie” (1956, p. 18).

Si tratta di fiabe di estremo interesse, tanto per i rimandi alla secolare tradizione orale e letteraria, quanto per l’originalità dei temi in esse rappresentati. Accanto a trame che sono il corrispettivo calabrese di Cenerentola e di Biancaneve, di Pelle d’asino e di Raperonzolo, o a storie che donano gradazioni mediterranee ai motivi orientali mutuati dalle Mille e una notte, vi si ritrovano fiabe assolutamente inedite, depositate nell’immaginario dell’estremo meridione italiano, da secoli crocevia di popoli e transito di civiltà.

3. Risultati e discussione

La riscrittura dei testi ha riguardato un processo di rielaborazione delle fiabe calabresi in chiave moderna, come albi illustrati.

Di seguito (Fig. 1), le trasformazioni operate dagli studenti nei vari elementi delle fiabe per renderle fruibili a bambine e bambini:

Figura 1. Le trasformazioni degli elementi delle fiabe di Calvino operate dagli studenti.

Gli studenti hanno dato risalto alle diverse emozioni provate dai personaggi – paura, felicità, stupore, tristezza, rabbia – rappresentandole attraverso il disegno meticoloso delle espressioni visive e gestuali.

A seguito delle lezioni preparatorie al Laboratorio di Letteratura per l’infanzia, gli studenti sono stati altresì in grado di esplicitare, attraverso il disegno, gli stati d’animo provati dai personaggi (principali e secondari) delle fiabe esaminate.

L’intento è stato quello di comunicare le emozioni provate attraverso le immagini.

Rielaborazione della morte e della violenza sessuale:

Il ruolo della donna:

Di seguito, si riportano gli elementi innovativi nell’elaborazione degli albi illustrati in chiave moderna:

utilizzo di vari materiali volti a stimolare i sensi (Munari, 1998);

creatività nel progettare e realizzare albi illustrati rivolti ai bambini;

riflessioni su tematiche importanti e attuali, quali il femminicidio, lo stupro, la violenza, la parità di genere, la libertà;

saper cogliere il senso di ogni fiaba riuscendo ad alleggerire gli argomenti, talvolta troppo forti e cruenti;

capacità di calare nella realtà calabrese le argomentazioni, introducendo elementi facenti parte della quotidianità e della tradizione popolare (bergamotto, peperoncino, ecc…);

introduzione della disabilità presentata come opportunità e stimolo per la promozione di elementi quali la solidarietà, l’inclusione, l’empatia, l’aiuto reciproco.

I temi emergenti hanno riguardato:

il femminicidio (soprattutto in connessione con gli episodi di cronaca recente);

la violenza sulle donne (fisica, psicologia e sessuale);

il ruolo della donna (ieri e oggi);

i diritti costituzionali;

le tradizioni popolari;

le relazioni sentimentali patologiche e la dipendenza affettiva;

la società patriarcale (realtà tutt’oggi esistente nell’entroterra calabrese);

la libertà in tutte le sue forme;

i valori etici e sociali;

il ruolo dell’educazione.

4. Conclusioni

Provando a fare critica – partendo dalla forma dell’opera, nella convinzione che l’esperienza estetica, quando di valore, sia di per sé pedagogica (Cantatore et al., 2020) – il Laboratorio come metodologia formativa ha rappresentato, in questa esperienza, un modello in cui si sono incontrate teorie e prassi, promuovendo negli studenti l’emersione delle seguenti competenze:

applicare, in chiave laboratoriale, quanto appreso durante il corso di Letteratura per l’infanzia;

promuovere la passione per la lettura e le sue potenzialità;

utilizzare le potenzialità, in particolare, del linguaggio visivo;

comunicare in gruppo;

scambiare idee, punti di vista e progettualità;

attivar di processi di decostruzione e autoriflessione attorno a temi e stereotipi;

sviluppare fantasia e immaginazione attraverso la scrittura creativa e gli elementi grafico-pittorici;

strutturare esperienze teoriche e pratiche di analisi, progettazione e simulazione didattica in linea con gli argomenti trattati durante le lezioni.

La sperimentazione ha rappresentato, quindi, un momento formativo importante nella formazione degli studenti che si apprestano a diventare futuri docenti nella scuola dell’Infanzia e Primaria.

Connesso al tema dell’utilizzo creativo degli albi illustrati, una revisione della letteratura (The Reading Agency, 2015) ha altresì evidenziato che la lettura si rivela un’attività piacevole di per sé e la componente di piacevolezza permane se il lettore ha l’opportunità di scegliere liberamente se e cosa leggere. Il piacere di leggere inoltre è fondamentale per alimentare una motivazione intrinseca, prerequisito essenziale per il raggiungimento di altri obiettivi (Decy & Ryan, 2012). Lo studio mostra una forte correlazione tra lettura e aumento di conoscenza di sé e degli altri, migliori relazioni sociali, aumento del capitale sociale e culturale, incremento delle capacità di immaginazione, migliori capacità di attenzione e concentrazione. La lettura nei bambini migliora, inoltre, il rilassamento e la regolazione dell’umore, aumenta le capacità comunicative e i risultati scolastici in tutto il corso degli studi.

A supporto di questi risultati, anche una recentissima ricerca (Sun et al., 2024) ha coinvolto più di 10.000 giovani statunitensi, dimostrando che iniziare a leggere per piacere sin dalla prima infanzia migliora lo sviluppo della struttura cerebrale, evidenziando una correlazione positiva con migliori prestazioni cognitive e maggior benessere mentale durante l’adolescenza.

Nel nostro Paese, in particolare, si devono a Batini e al suo gruppo di ricerca i progetti e le ricerche pedagogiche più importanti degli ultimi anni sul tema della lettura ad alta voce (Batini, 2022, 2023; Batini & Giusti, 2021) e ad Acone (2017) sull’importanza della lettura per recuperare un rapporto profondo, consapevole e maturo con il testo e le immagini, in una società sempre più digitalmente strutturata.

Bibliografia

Acone, L. (2017). La lettura come formazione della persona. Pagina scritta, orizzonti virtuali e connessioni testo- immagine. LLL – Lifelong Lifewide Learning, 13(29): 1-12.

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Batini, F. (2022). Lettura ad alta voce. Ricerche e strumenti per educatori, insegnanti e genitori. Roma: Carocci.

Batini, F. (2023) (Ed.). La lettura ad alta voce condivisa. Un metodo in direzione dell’equità. Bologna: Il Mulino.

Batini, F., Giusti, S. (2021). Tecniche per la lettura ad alta voce. 27 suggerimenti per la fascia 0-6 anni. Milano: FrancoAngeli.

Cambi F. (1996): La letteratura per l’infanzia tra complessità e ambiguità. Testo, superficie e profondità. In: F. Cambi, G. Cives, Il bambino e la lettura. Pisa: Edizioni ETS, pp. 45-100.

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Beseghi, E. (2008). Infanzia e racconto. Bologna: Bononia University Press.

Buccolo, M. (2019). L’educatore emozionale. Percorsi di alfabetizzazione emotiva per tutta la vita. Milano: FrancoAngeli.

Cantatore, L., Galli Laforest, N., Grilli, G., Negri, M., Piccinini, G., Tontardini, M., Varrà, E. (2020). In cerca di guai. Studiare la letteratura per l’infanzia. Bergamo: Edizioni Junior.

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Filomia, M. (2023). Abitare la soglia. Sguardi inclusivi nella letteratura per l’infanzia. Lecce-Rovato: PensaMultimedia.

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Mariani, A. (2009). La decostruzione in pedagogia: una frontiera teorico-educativa della postmodernità. Roma: Armando.

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Sun, Y.-J., Sahakian, B. J., Langley, C., Yang, A., Jiang, Y., Kang, J., … Feng, J. (2024). Early-initiated childhood reading for pleasure: associations with better cognitive performance, mental well-being and brain structure in young adolescence. Psychological Medicine, 54(2), 359–373. doi:10.1017/S0033291723001381

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Vygotskij, L. (1966). Pensiero e linguaggio. Firenze: Universitaria-G. Barbera

Vygotskij, L. (1980). Il processo cognitivo. Torino: Boringhieri.

[1] Sebbene l’articolo sia il frutto comune del lavoro dei due autori, si precisa che l’Introduzione è di Valerio Ferro Allodola (Ricercatore, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria). I rimanenti paragrafi e le conclusioni sono da attribuire a Sofia Turiano (Insegnante di scuola Primaria, Reggio Calabria).

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