La favola della Sirenetta

Le dotte Sirene e la favola della Sirenetta di Hans Christian Andersen, specialista in fiabe per bambini.

Secondo la tradizione, le Sirene [Dal latino tardo “sirenae”, che è dal greco Σειρῆνες] erano tre o quattro fanciulle dalla voce soave, nate dal dio fluviale Achelòo, figlio di Ocèano e Tèti, e dalla musa della tragedia Melpòmene.

Come narra Ovidio (Sulmona 43 a.C. – Tomi 17 d.C.) nel Libro V, vv 552-63, delle “Metamòrfosi”, quando Prosèrpina raccoglieva fiori primaverili, le dotte Sirene (<>, come le Muse, perché il canto è poetica composizione) erano nel numero delle sue compagne. Quando lei fu rapita da Plutone, dopo che invano l’ebbero cercata per tutta la terraferma, ecco che, perchè anche il mare sapesse quanto erano angosciate, espressero il desiderio di potersi soffermare sopra i flutti remigando con delle ali, e trovarono gli dei ben disposti, e tutt’a un tratto videro gli arti farsi biondi di penne. Tuttavia, perché al loro famoso canto fatto per ammaliare le orecchie, perché alla loro bocca così dotata, non venisse a mancare la favella, rimasero loro volti di fanciulle e voce umana.

Le Sirene avevano quindi aspetto di donne giovani e belle nella parte superiore del corpo e di uccelli nella parte inferiore. Situate, secondo la tradizione, in una rocciosa isola del Mediterraneo (a nord della Sicilia), esse ammaliavano col loro canto i naviganti e li facevano naufragare contro gli scogli. Ulisse le ascoltò dopo aver riempito di cera le orecchie dei compagni ed essersi fatto legare all’albero della nave per resistere alle loro lusinghe (le Sirene gli promettevano il sapere) [Omèro, “Odissèa”, Libro XII, vv. 52-73 e 206-265]. Questo episodio è raffigurato in un mosaico romano proveniente da Dougga, che si trova a Tunisi, Museo del Bardo.

Tre Sirene avevano rispettivamente nome: Aglaope (“colei che ha la voce splendida”), Pisinoe (“colei che seduce”), Telsinoe (“colei che incanta”). Partenope era una quarta Sirena innamorata di Ulisse e quando percepì il suo rifiuto, si gettò in mare, lasciandosi andare in balia delle onde. Il suo corpo arrivò sulle coste della Campania, dove gli abitanti del posto le diedero onorata sepoltura. Su quella tomba costruirono la città di Partenope. In tempi successivi la città fu distrutta e dalle sue ceneri nacque la città nuova, “Neapolis” ovvero Napoli, ancor oggi detta “città partenopea”.

La raffigurazione delle Sirene come donne con la parte inferiore del corpo a forma di pesce appare solo in età medievale ed è la loro figura più nota.
A volte viene detta “sirena” una bellezza femminile che diletta col fascino e con la seduzione.
Ed ora una favola, che ha per protagonista una Sirenetta con la parte inferiore del corpo a forma di pesce.

Ne è autore lo scrittore danese Hans Christian Andersen (Odense 1825 – Copenaghen 1875), specialista in “Fiabe per bambini”, fra le quali spiccano: “Il brutto anatroccolo”, “Scarpette rosse”, “La principessa sul pisello”, “Gli abiti nuovi dell’imperatore”, “I cigni selvatici”, “La piccola fiammiferaia”.

La Sirenetta

“Nelle profondità marine, ove sbocciano fiori vivi dai magnifici colori e piante flessibili dal fogliame diàfano, sorgeva il castello del re del Mare, con muri di corallo rosato, finestre d’ambra gialla, tetto di conchiglie perlacee. Il re del Mare, vedovo da tempo, aveva sei figliole, bellissime fanciulle, sirene dai lunghi capelli e dalle bianche braccia, il cui corpo terminava in una squamosa coda di pesce. La loro vecchia nonna diceva:

  • Quando compirete quindici anni, potrete salire a fior d’acqua, stendervi sulle rocce e veder passare le navi nell’albore lunare…

E le fanciulle attendevano con ansia il tempo loro fissato per salire alla superficie del mare. Della terra e dei suoi abitatori nulla sapevano. Solo nel giardino subacqueo v’era una statua marmorea, calata a picco dopo un naufragio: essa rappresentava un bellissimo giovinetto e la Sirenetta più piccina aveva piantato vicino a lui un roseo salice piangente, e rimaneva spesso estatica a guardare la statua, con l’anima perduta nel sogno… A una a una alle sue sorelle fu concesso salire a fior d’acqua, e tutte tornarono, narrando le meraviglie che avevano venduto sulla terra… Allorché giunse la volta della Sirenetta minore ella si apprestò col cuore in tumulto alla gran prova: mise il capo fuor dalle onde non appena il sole fu tramontato, e sullo sfondo del cielo di porpora e d’oro vide un bastimento a tre alberi, fermo sul mare in bonaccia. Quando scese la notte, ella si accostò a una finestretta, che dava sulla sala, e vide una gran festa con molti invitati. E fra tutti spiccava un giovane principe dagli occhi neri: si festeggiava il suo compleanno e più tardi si lanciarono nel cielo razzi, bengala, fuochi artificiali dai colori abbaglianti.

Dopo mezzanotte tutti si coricarono e dai profondi gorghi del mare s’annunciò con sordo mugghio la tempesta. Poco dopo essa si scatenò terribile: alla Sirenetta pareva un gioco, ma ai marinai no davvero! La nave era sballottata dalle onde, fra scrosci, fulmini, lampi: l’albero maestro si spezzò, i fianchi si sfasciarono, e la nave s’inabissò…

La Sirenetta si slanciò verso il giovane principe e lo raggiunse fra i rottami sparsi e i marosi furibondi: le forze lo abbandonarono ed ella lo sostenne fra le braccia, svenuto, e si lasciò trasportare con lui dalle onde alla deriva. Sorgeva l’alba e la tempesta si placava: la Sirenetta depose delicatamente il giovane privo di sensi su una spiaggia arenosa, in fondo ad una piccola baia tranquilla.

Poco lontano sorgeva un monastero. E una giovinetta non tardò a uscirne, vide il principe, chiamò le compagne, lo soccorse. Il principe riaperse gli occhi e le sorrise: non sapeva che la Sirenetta vedeva tutto, nascosta dietro una roccia; non sapeva che era stata lei a salvarlo. Ed ella si rituffò nel mare, profondamente triste.

Da quel giorno non ebbe più pace: narrò le sue pene alle sorelle ed esse la condussero a fior d’acqua in un luogo donde si vedeva il magnifico palazzo del principe. Da allora, ogni notte la Sirenetta nuotò fin presso la riva per vederlo. Di giorno poi chiedeva alla nonna tante notizie intorno agli uomini e apprese da lei che la loro vita era più breve di quella degli abitanti del mare, i quali possono vivere fino a trecento anni; ma gli uomini hanno un’anima immortale, che, quando il corpo perisce, sale al cielo fra le stelle.

  • E io non potrei avere un’anima immortale? – domandava la Sirenetta.
  • Sì, – rispondeva la nonna – ma solo se un uomo ti amasse più di tutto e più di tutti, e ti facesse sua sposa… Ma gli uomini non amano le sirene con la coda di pesce…

Da quel momento la Sirenetta non ebbe che un pensiero: liberarsi dalla coda squamosa, divenir simile alle donne terrestri e conquistare, con l’amore del principe, l’anima che mai non muore. Le dissero che una vecchia maga, la quale abitava in una grotta marina piena di polipi dai paurosi tentacoli e di orrendi serpentacci, era capace di qualsiasi sortilegio; ed ella si recò da lei. La strega, per compiere il prodigio, le chiese in cambio il dono della sua voce.

  • Ma se mi togli la voce – chiese la Sirenetta – che cosa mi resterà?
  • La tua bellezza – rispose la maga.

E la sirenetta si lasciò tagliare la lingua ed ebbe in cambio un filtro. Andò a berlo presso la scalèa marmorea del palazzo principesco e sentì un dolore così atroce che svenne. Quando riprese i sensi, il principe era dinnanzi a lei e la guardava coi grandi occhi neri: ella abbassò i suoi e si avvide che la sua coda di pesce era sparita. Il principe la prese per mano e la condusse al castello: a ogni passo che faceva (la maga glielo aveva predetto) alla Sirenetta sembrava di camminare su aghi pungenti e su pugnali accuminati. Ma non le importava. Fu accolta a Corte e il principe le voleva bene e la chiamava la sua piccola trovatella; ella danzava per lui con incantevole grazia, nonostante gli spasimi atroci; ma non poteva né parlare né cantare né dirgli il suo amore. La notte usciva sulla scalèa marmorea e immergeva nell’acqua marina, fresca, i piedini doloranti.

Una notte vennero a fior d’acqua le sue sorelle, e le dissero il loro dolore, perché ella le aveva lasciate. Un’altra notte le apparve la nonna, e un’altra notte il re del Mare, ed entrambi stesero invano le braccia verso lei. I giorni passavano, e la Sirenetta sentì dire a Corte che il principe presto doveva sposarsi. Era la fine: se egli avesse sposato un’altra donna, la mattina delle nozze la Sirenetta si sarebbe disciolta in spuma marina. Il giorno fatale giunse. Ed ella vide che la sposa era la fanciulla del monastero: il principe la credeva la sua salvatrice… Le campane suonavano a festa e la cerimonia ebbe luogo nel tempio: poi gli sposi salirono a bordo di una nave magnificamente addobbata, dove si dava un gran ballo. A notte alta tutti andarono a riposare e la Sirenetta rimase sola sulla spiaggia, donde era rimasta a guardare il bastimento, tutta la notte. Poco prima dell’alba le sue sorelle salirono a fior d’acqua e nuotarono fino a lei ed ella vide che i loro lunghi capelli erano tutti recisi.

  • Li abbiamo dati alla strega, perché tu non muoia all’alba. Ed ella ci ha dato questo coltello: devi immergerlo nel cuore del principe e allora riavrai la coda di pesce e rimarrai per trecento anni con noi!

Ma la Sirenetta non poteva uccidere colui che amava tanto: gettò lungi da sè il coltello e al primo raggio del sole si sentì dissolvere in candida spuma. Mille splendenti eteree forme fluttuavano nell’aria, fra melodie spirituali: ed ella era simile ad esse, una figlia dell’aria. Le sue sorelle le dissero che con le opere buone, recando frescura e ristori di pura aura ai malati nei caldi climi pestilenziali, visitando i bimbi sofferenti nelle case misere, in capo a trecento anni avrebbe potuto, come loro, acquistare un’anima immortale ed essere partecipe della eterna felicità. La Sirenetta levò gli occhi al cielo e per la prima volta li sentì riempirsi di lacrime. Alitò lieve sul volto del principe e della sua sposa, che invano la cercavano dappertutto. Poi salì con le altre figlie dell’aria sulle rosee nubi, fluttuanti per l’etere. E le voci melodiose cantavano:

  • Da qui a trecento anni saliremo con te al Paradiso!”.

Per finire, ricordo che a Copenaghen si trova la statua raffigurante la «Sirenetta» di cui sopra, sulle onde del Baltico.

  • Domenico Bruno

    Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione.

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La mitologia nell’Universo: Plutone, pianeta nano

Una storia un po’ triste fra mitologia e astronomia. La strana metamorfosi: Ades o Plutone da signore dell’Oltretomba a pianeta nano.
Gian Lorenzo Bernini, il ratto di Proserpina, Roma
Quella che state per leggere è la storia un po’ triste, fra mitologia e astronomia, di Ades o Plutone, che, dopo essere stato per secoli considerato il dio dell’inferno, viene relegato in soffitta per oltre un millennio e mezzo. Nel 1930 ritorna in ballo come nono pianeta del sistema solare; ma dopo 76 anni viene riclassificato e inserito fra i pianeti nani, dove ritrova (ahimè!) l’irata suocera Dèmetra o Cèrere.
La mitologia.
Ades (“invisibile” o “che rende invisibile”), figlio di Cròno e Rèa, fratello di Zèus, signore degli dei e degli uomini, e di Posèidone, signore del mare, scuotitore della terra, è il dio dell’inferno e regna sulle ombre dei morti con la moglie Persèfone o Còre, che egli rapì alla madre Dèmetra, chiamata dai Romani Cèrere, anch’ella figlia di Cròno e di Rèa e dea dell’agricoltura, onorata nei misteri eleusini.
Vale la pena di approfondire un po’ la storia del ratto di Persèfone, chiamata dai Romani Prosèrpina e il cui padre era Zèus. La madre errò sulla terra nove giorni per cercarla, e finalmente, irata, fece sì che il terreno divenisse sterile. Zèus, per placarla, ottenne da Ades che Persèfone trascorresse i quattro mesi dell’inverno agli Inferi col marito e gli altri otto con la madre.
Anticamente si credeva che Ades stesso salisse sulla terra a prendere le anime dei defunti, ma in seguito questo ufficio fu attribuito ad Ermes, figlio di Zèus e di Màia, messaggero degli dei, chiamato perciò “psykhopompòs” (“che conduce o accompagna le anime dei morti”).
Ades, divinità truce e terribile, nel V sec. a.C., nei misteri eleusini fu venerato anche col nome di Plutone (“ricco” o “dispensatore di ricchezza”) e considerato una divinità benefica che manda dalla profondità della terra prosperità e ricchezza.
Con l’avvento del cristianesimo, Ades o Plutone andò ad ammuffire in soffitta, come tutti gli dei dell’Olimpo. Neppure Dante, che nell’”Inferno” rispolverò Caronte e Cerbero, lo degnò della benché minima considerazione.
Gian Lorenzo Bernini, il ratto di Proserpina, particolare
L’astronomia.
Nel 1915 l’astronomo americano Percival Lowell (1855-1916), studiando le perturbazioni residue di Urano non giustificate completamente dalla sola presenza di Nettuno, intuì la presenza di un nuovo pianeta, del quale calcolò l’orbita senza tuttavia trovarlo nel cielo. Alla stessa conclusione giunse in seguito anche William Henry Pickering (1858-1938). Il pianeta fu scoperto per una fortunata combinazione il 18 febbraio 1930 da Clyde Tombough, in una posizione assai prossima a quella prevista. Al nuovo corpo celeste venne dato il nome di Plutone perché il suo simbolo PL ricorda le iniziali di Percival Lowell.
Plutone diventa così il nono pianeta del sistema solare, distante in media dal Sole 5,906 miliardi di km, con perielio a 4,437 e afelio a 7,376 miliardi di km; al suo perielio si trova perciò più vicino all’astro centrale di quanto non lo sia Nettuno. Compie la sua rivoluzione in 247,9 anni “siderei” (cioè riferiti alle stelle fisse), alla velocità media di 4,669 km/s su un’orbita ellittica di eccentricità e = 0,2448, maggiore di quella di tutti gli altri pianeti, con inclinazione media sul piano dell’”eclittica” (la traiettoria descritta apparentemente dal Sole sulla sfera celeste) di 17,13826°.
La massa di Plutone è lo 0,22% di quella terrestre e meno del 18% di quella lunare, ma è anche minore di quella di altri sei satelliti del sistema solare: Ganimede [Giove], Titano [Saturno], Callisto, Io, Europa [Giove], Tritone [Nettuno].
Il suo diametro medio è di 2376,6 km, ovvero circa il 68% di quello della Luna.
La superficie è composta per oltre il 98% di ghiaccio d’azoto, monossido di carbonio e tracce di metano. La temperatura superficiale si aggira tra i 40 e i 50 K. Qui di seguito sono riportati tutti i dati relativi a Plutone:

Semiasse maggiore                         5.906.380.000 Km = 39,4817 UA
Periodo orbitale                               247,9 anni
Velocità orbitale media                  4,669 Km/s
Eccentricità                                      0,2448
Inclinazione sull’eclittica               17,13826°
Temperatura superficiale media  45 K (-228,2 °C)
Periodo di rotazione                        6g 9h 17min 36 s
Diametro medio                               2376,6 km
Massa (Terra = 1)                            0,00218
Densità media                                 2,5 ⋅
Gravità superficiale (Terra = 1)   0,063
Satelliti naturali                              5.

Plutone possiede 5 satelliti naturali conosciuti, il più massiccio e importante dei quali è certamente Caronte.
Scoperto il 22 giugno 1978 e avente un raggio poco più della metà di quello di Plutone, è l’unico dei satelliti in equilibrio idrostatico e dalla forma sferica. Sono noti anche 4 satelliti minori: Notte e Idra, scoperti nel maggio 2005; Cerbero, scoperto nel luglio 2011 e Stige, scoperto nel luglio 2012.
Caronte possiede dimensioni non molto inferiori a Plutone; alcuni preferiscono quindi parlare di un sistema binario, giacché i due corpi orbitano attorno a un comune centro di gravità situato all’esterno di Plutone. Nell’Assemblea Generale UAI (Unione Astronomica Internazionale) dell’agosto del 2006 venne presa in considerazione la proposta di riclassificare Plutone e Caronte come un “pianeta doppio”, ma la proposta fu poi abbandonata.
Caronte ruota su se stesso con un movimento sincrono in 6,39 giorni, presentando sempre la stessa faccia a Plutone, come la Luna con la Terra.
Tuttavia, a differenza della Terra, il blocco mareale vale anche per Plutone che rivolge quindi anch’esso il medesimo emisfero a Caronte, unico caso nel sistema solare dove anche il corpo principale è in rotazione sincrona col suo maggior satellite; da qualsiasi posizione della superficie di ciascuno dei due corpi, l’altro rimane fisso nel cielo oppure perennemente invisibile.
Idra è il satellite più esterno del sistema e sembra essere il maggiore dei 4 nuovi satelliti. Stige è la più piccola luna del sistema plutoniano, avendo un diametro compreso tra i 10 e i 25 km.
Da Plutone, il Sole appare puntiforme, anche se ancora molto luminoso, da 150 a 450 volte più luminoso della Luna piena vista dalla Terra (la variabilità è dovuta al fatto che l’orbita di Plutone è altamente eccentrica).
Caronte visto dalla superficie di Plutone ha un diametro angolare di circa 3,8°, quasi otto volte il diametro angolare della Luna vista dalla Terra. Appare come un oggetto molto grande nel cielo notturno, ma risplende circa 13 volte meno della Luna, a causa della poca luce che riceve dal Sole.
Pianeta nano.
Dopo la scoperta di Plutone, nel 1930, gli astronomi avevano stabilito che il sistema solare contenesse nove pianeti e migliaia di altri corpi dalle dimensioni significativamente minori, asteroidi e comete. Per quasi 50 anni, Plutone è stato ritenuto più grande di Mercurio, ma la scoperta nel 1978 della sua luna Caronte permise di misurarne la massa con precisione, ottenendo per essa un valore molto più piccolo delle stime iniziali: il valore misurato corrispondeva a circa un ventesimo della massa di Mercurio, rendendo Plutone di gran lunga il pianeta più piccolo. Sebbene fosse ancora 14 volte più massiccio di Cerere, l’oggetto più grande presente nella fascia principale degli asteroidi, anche dal confronto con la Luna Plutone appariva ridimensionato, raggiungendone meno del 18% della massa. Inoltre, possedendo alcune caratteristiche inusuali quali un’elevata eccentricità orbitale e un’elevata inclinazione orbitale, divenne evidente che si trattava di un corpo differente da ogni altro pianeta.
Fra il 2002 e il 2005 furono scoperti 8 oggetti che condividevano le caratteristiche chiave di Plutone.
Il termine “pianeta nano” è stato introdotto ufficialmente nella nomenclatura astronomica il 24 agosto 2006 da un’assemblea dell’UAI, fra molte discussioni e polemiche. Nella risoluzione si legge:
“[…]  La UAI quindi decide che i pianeti [dal greco “plànētes” = errante] e gli altri oggetti nel nostro sistema solare, eccetto i satelliti, siano classificati in tre categorie distinte nel modo seguente:

un “pianeta” è un corpo celeste che

è in orbita intorno al Sole;
ha una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di corpo rigido, cosicché assume una forma di equilibrio idrostatico (quasi sferica);
ha ripulito le vicinanze intorno alla sua orbita;

un “pianeta nano” è un corpo celeste che:

è in orbita intorno al Sole;
ha una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di corpo rigido, cosicché assume una forma di equilibrio idrostatico (quasi sferica);
non ha ripulito le vicinanze intorno alla sua orbita;
non è un satellite.

tutti gli altri oggetti, eccetto i satelliti, che orbitano intorno al Sole devono essere considerati in maniera collettiva come “piccoli corpi del sistema solare”.

Nonostante il nome, un pianeta nano non è necessariamente più piccolo di un pianeta. In teoria non vi è limite alle dimensioni dei pianeti nani. Si osservi inoltre che la classe dei pianeti è distinta da quella dei pianeti nani, e non comprende quest’ultima.
L’UAI riconosce cinque pianeti nani: Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris.
Cerere era il più grande degli asteroidi, ha un diametro medio di appena 955 km e fu il primo di questi pianetini ad essere scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi (1746 – 1826), direttore dell’Osservatorio di Palermo. Carl Friedrich Gauss (1777 – 1855) calcolò la sua orbita con il metodo dei minimi quadrati.
Haumea è stata scoperta nel 2004 e Makemake nel 2005.
Eris, scoperta nel 2005, ha un diametro medio di 2326 km ed una massa 1,28 volte quella di Plutone; è il pianeta nano più distante dal Sole, avendo un semiasse maggiore di 68,071 UA. Deve il suo nome ad Èris, sorella di Ares, chiamata dai Romani Discòrdia, che accompagna il fratello nelle battaglie e personifica la discordia.
I seguenti oggetti del sistema solare potrebbero essere classificati, in base alla definizione, come pianeti nani, sebbene l’UAI si riservi di decidere in futuro se includerli o meno nella lista ufficiale. Fra parentesi è data per ciascuno la data di scoperta:
Gonggong (2007), Quaoar (2002), Sedna (2003), Orco (2004), 2002 (2002) e Salacia (2004).
L’elenco dei 6 candidati pianeti nani è stato fatto in base al diametro medio decrescente: dai 1290 Km di Gonggong ai 921 km di Salacia. Il più vicino al Sole è Orco (39,173 UA; periodo orbitale 247,492 anni); il più distante Sedna (524,400 UA; periodo orbitale 12059,06 anni).
Epilogo (non troppo serio).
Il nostro amico Plutone siede da solo ad un piccolo tavolo nel piccolo “Bar del pianeta nano”, dove ambrosia e nettare sono sconosciuti e i camerieri, quando lui entra nel locale, fanno i debiti scongiuri.
Pensa con rimpianto ai bei tempi in cui regnava sulle ombre di gente come Patroclo, Ettore, Achille, Priamo, Agamennone, Cassandra, Leonida e i suoi 300 compagni, Alessandro Magno.
Pensa pure a quando, dopo un lunghissimo letargo, era diventato per soli 76 anni il nono pianeta del sistema solare. Ora è solo un pianeta nano e in che compagnia si ritrova!
Per prima sua suocera Cerere, che lo ha sempre odiato; poi c’è quell’attaccabrighe di Èris, impegnata a seminar zizzania e sempre smaniosa di menare le mani (ed anche un po’ più grossa di lui). C’è poi quella coppia di sconosciuti dagli strani nomi, Haumea e Makemake, che se ne stanno sempre per i fatti loro e non danno confidenza a nessuno.
Plutone pensa, pensa e una lacrima scende sulle barbute guance dell’antico dio. Certo, è proprio caduto in basso: solo un ripensamento di quella dannata UAI potrebbe un giorno farlo tornare un pianeta “normale”, magari “doppio” in coppia col vecchio amico Caronte.
“Méllonta taúta?” [è l’equivalente in greco di “Ça ira?”]: non lo so, ma mi farebbe veramente piacere se accadesse.

Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione.

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Campo di fiori a colori complementari

Un argomento della teoria del colore molto interessante è quello dei colori complementari, colori opposti tra loro nel cerchio di Itten, che messi in rapporto sono in forte contrasto e creano vibrazioni cromatiche nella nostra retina. Nelle classi prime abbiamo osservato queste coppie di colori e come vengono usati nei vari campi delle arti visive come la pubblicità, il cinema, la fotografia, la moda, il teatro, le arti grafiche e pittoriche. Online abbiamo anche trovato vari giochi visivi e illusioni ottiche basati sull’influenza reciproca di questi colori

Abbiamo scelto di fare un lavoro di pittura basato sui colori complementari, per prima cosa ogni studente ha scelto la coppia di colori complementari che preferiva, e poi abbiamo dipinto a tempera su due fogli distinti. Sul primo foglio abbiamo dipinto i fiori, sul secondo foglio abbiamo dipinto lo sfondo. Per questo paesaggio immaginario abbiamo lavorato con pennelli piatti e rotondi di varie misure, l’effetto finale deve essere molto pittorico e materico, per cui non conta la precisione ma la ricerca dei colori giusti.

Per ogni colore scelto abbiamo creato una tavolozza di varie tonalità di quel colore, più scuro, chiaro, caldo o freddo, in modo da avere una serie di colori simili. Per prima cosa abbiamo dipinto 10-12 ovali con varie tonalità del colore scelto a fasce concentriche. Questi ovali saranno i nostri fiori.

Sullo sfondo abbiamo disegnato a grandi linee un sole circondato da cerchi concentrici, e un campo sottostante. Abbiamo dipinto in modo libero, a fasce colorate e alternate.

Il campo è stato colorato a tinta unita e successivamente abbiamo dipinto degli steli, come fili d’erba, sempre con le varie tonalità del colore scelto:

Successivamente sullo sfondo del campo di fiori abbiamo disegnato gli STELI dei fiori con un PASTELLO ad OLIO dello stesso colore dei fiori e abbiamo ritagliato e incollato gli ovali dei fiori:

Ecco i nostri campi di fiori a colori complementari finiti, l’insieme è un esplosione di colori!

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