Sciascia e il dialetto: quanto è opportuno usarlo in letteratura?
Quanto è opportuno l’uso del dialetto nella narrativa? Ed è appropriato usarlo? Se fino ad alcuni decenni addietro esso era per lo più praticato in funzione quasi verista per descrivere le abitudini linguistiche legate al folklore dei ceti sociali che si intendeva rappresentare, inserendo locuzioni, proverbi, modi di dire e antroponimi, con gli anni anche lo stesso Leonardo Sciascia se ne allontana e proprio quando la sua opera incomincia a diventare più universale, europea. Infatti, spiegava a Domenico Porzio che il dialetto riguarda solo i sentimenti più intimi dell’animo, consentendo magari di andare più a fondo di una lingua nazionale e perfino di “raggiungere la madre”, ma il “pensiero metodico, sistematico non può servirsi del dialetto: nessun’opera di pensiero può essere scritta in dialetto”.
Dunque, nonostante il dialetto riguardi la sfera più esclusiva e soggettiva e lui stesso dichiari di essere “molto attaccato al dialetto e lo