Autonomia scolastica: c’è chi vuole abolirla, ma forse va solo corretta per farla diventare un leva per la cooperazione e lo sviluppo

Un quarto di secolo ferveva il dibattito sul “decentramento amministrativo”: era stata approvata da poco la legge 59 del 1997 sulla riforma della Pubblica Amministrazione e si discuteva su come applicarla anche nella scuola.
L’articolo 21 della legge era chiaro: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”.
La legge del 1997 attribuiva al Governo il potere di emanare decreti legislativi e regolamenti per dare attuazione ai principi in essa previsti; nel 1998 arrivò così il decreto che riconosceva ai “capi di istituto” la qualifica di dirigenti e nel 1999 il regolamento n. 275 che attribuiva l’autonomia alle istituzioni scolastiche.
Regolamento che è rimasto pressoché intatto fino ad oggi, ad eccezione di una importante modifica introdotta con la legge 107/2015 che trasforma il POF in PTOF, cioè in “Piano triennale dell’offerta formativa”.
Ed è proprio dal

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