MARGINALITÀ COME POSSIBILITÀ: Ripensare alle pratiche d’insegnamento nell’epoca del multiculturalismo

ARTICOLO SCRITTO DA: MATILDE PULEO,  AUTRICE SCUOLA OLTRE

Si leggono tutto d’un fiato i libri della compianta bell hooks (morta un anno fa dopo una lunga malattia), non solo perché intellettuale femminista attenta, ma per la capacità di fare riferimento alla comunità afroamericana con una logica e uno sguardo universale. Nei suoi libri si trovano appassionate riflessioni sulla libertà di pensiero all’interno della scuola americana, valide anche nelle classi italiane. Non mancano poi molti strumenti, suggerimenti e strategie per ripensare al nostro modo di insegnare a partire dall’apparentemente semplice modo di stare in aula. Nei suoi libri, infatti, si trovano appassionate riflessioni filosofiche e pedagogiche che a ben vedere sanno trasformarsi tutto d’un tratto in attivismo politico vero e proprio. Nel libro Insegnare a trasgredire, in soli 14 capitoli si capisce come possa essere realizzabile quella rivoluzione per le “scuole dei neri” in America di cui tanto si lamenta la necessità. Rivoluzione che non è invocata solo oltre oceano e che ha molto da dirci sulle scuole italiane che vorrebbero intervenire nella lotta antirazzista. In questo e in molti altri scritti di bell hooks (che si firmava con questo pseudonimo in minuscolo per sottolineare il valore della causa e non del personaggio) s’impara quanto l’insegnamento sia pratica di liberazione rispetto alle gerarchie e alle dinamiche di potere che non accettano ancora l’idea di separare la scuola dall’insegnamento inteso come servizio. 

Per chi lavora all’interno di scuole “marginali” si aprono dunque nuovi scenari e mille possibilità espressive che di fatto faticano a insinuarsi altrove e soprattutto negli ambienti chiusi e restii delle scuole della cosiddetta eccellenza, dove ci si immagina più faticosa la pratica da lei suggerita. In questo libro troviamo quindi 14 capitoli che descrivono il progressivo allontanamento dalla logica dell’obbedienza di fronte a “l’autorità bianca”, attraverso la ricerca di modelli alternativi. Modelli che trovano in Paulo Freire il proprio faro, ma che non disdegnano gli insegnamenti di Thich Nhat Hann e quelli del pensiero femminista. A proposito di quest’ultima componente, risulta assai interessante l’indagine sullo sforzo femminista delle donne bianche più facilmente raggiungibile – specie all’interno delle università americane – rispetto a quello delle donne nere, mancante di contributi e di riconoscimenti ufficiali.

I contenuti del libro sono quindi di stringente attualità anche per noi e molto significative – come dicevo – nelle nostre scuole, soprattutto in quelle aule nelle quali ci si barcamena tra dimenticanza e nostalgia rispetto al nostro passato coloniale e in quelle dove l’ampia utenza straniera sta imponendo nuove modalità comunicative oltre che di attivare strategie pedagogiche, altrimenti sconosciute.  Il nostro recentissimo passato fatto di DAD e di lockdown ci ha dato un quadro drammatico e quasi mai esaustivo dell’incapacità di costruire davvero il multiculturalismo. Un multiculturalismo che finisce per essere di facciata, costituito prevalentemente da azioni che trovano applicazioni poco concrete e da una serie di altri fattori che vanno da un evidente razzismo istituzionale, a uno scadente dibattito politico sull’immigrazione; da una scarsissima conoscenza delle persone che stanno dietro alla parola “immigrati”, fino a convinzioni persistenti ammantate oltretutto da pregiudizi antichi. Eppure la scuola (proprio in DAD) ha dimostrato come questa istituzione con tutte le sue mancanze sia potuta diventare balsamo per le ferite delle comunità meno pronte ad affrontare le paure, le chiusure e le connessioni più lente. bell hooks insegnante, ma soprattutto scrittrice (professione rivendicata con coraggio da una donna appartenente alla comunità nera che ha davanti a sé al massimo la carriera dell’insegnamento) è un’intellettuale che sa sottolineare con forza ciò che in fondo è sempre passato in secondo piano: l’autorevolezza dell’esperienza condotta in classe è ciò che conta veramente. In questo senso l’inclusione diventa una sfida per costruire perché non dotata di formule a priori, ma di momenti narrati che decostruiscono le false autorevolezze. Narrazioni preziose perché “luoghi di tutti”. Prova evidente delle comunità di apprendimento di cui tanto si parla e comunità che alla fine (specie in provincia) non si realizzano se non in questo modo.  Educare alla trasgressione significa allora solo una cosa scandalosa e ancora poco chiara a molti, ovvero pensare all’aula come luogo di piacere. La schola in senso antico appunto, nella quale si va a passare il proprio tempo libero dagli affanni della vita dei campi. La schola che pensa e che vive un tempo dedicato al pensiero e al piacere del pensare, che costruisce relazioni e smaschera l’abitudine alla repressione dei propri sentimenti. Insegnare a trasgredire significa quindi insegnare ai ragazzi e alle ragazze che l’unico pensiero che conta è il loro e non quello dell’insegnante o dei libri di testo. Che ciò che conta è il pensiero fatto di partecipazione attiva che concorre a creare apprendimento.  Partecipazione che poi significa concentrazione e stare sul presente dell’esperienza, così come sul reciproco impegno insegnante/alunno. Trasgredire significa ripensare la gerarchia e sperimentare la flessibilità che si adatta non solo alle diverse classi, ma alle diverse persone che la compongono. Trasgredire significa combattere contro l’ostilità degli altri colleghi che non sono ancora disposti alla rinuncia al ruolo. Solo in questo modo l’aula resta presidio di libertà e luogo delle possibilità. Molto più della famiglia e dei luoghi di preghiera perché è qui che si può far capire ai ragazzi e alle ragazze appartenenti alle più disparate etnie che non è solo una questione di rispetto della legge. A volte il compito è quello di denunciarne l’ingiustizia.

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