La lingua che abitiamo. Scrivere o leggere senza parole.

ARTICOLO SCRITTO DA: MATILDE PULEO, AUTRICE SCUOLA OLTRE

Spendiamo buona parte del nostro tempo pensando per immagini. Una delle principali abilità cognitive dell’essere umano è infatti la capacità di rappresentare mentalmente un’idea, accompagnandola con un’immagine che mostra come intendiamo la realtà e quale è la nostra prospettiva in quel momento.

D’altra parte non è possibile evitare di mettere in gioco questa abilità, soprattutto oggi che viviamo nell’era dell’immagine. Tutto ciò che ci circonda ha a che fare con l’immagine e pertanto occupa una posizione centrale anche nell’insegnamento e nell’apprendimento delle lingue. L’immagine può accompagnare la regola grammaticale come supporto visivo per la comprensione della regola ma può anche chiarire i significati nascosti di ciò che intendiamo quando usiamo parole importanti come quelle astratte. Il potenziale dell’immagine cioè va ben oltre: l’immagine può essere la regola stessa, o andare al di là di ciò che serve nell’immediato affinché lo studente capisca e ricordi quando prende una decisione grammaticale. Un silent book è un libro fatto di immagini e in quanto tale è utilissimo anche per comprendere i meccanismi della nostra lingua, spesso astratti e difficili soprattutto per chi la sta apprendendo. È così che da una piccola grande scoperta si apre la porta a nuove idee, a superare confini e aprire una nuova esperienza di apprendimento. Questo è l’universo dei silent book.

Nel campo della didattica delle lingue, le immagini sono sempre state di grande supporto per la comprensione linguistica in generale (lessicale, grammaticale, culturale) e sono parte integrante del lavoro del docente: un disegno alla lavagna, proiettare una fotografia, indicare un simbolo, etc. Chi non si è trovato a spiegare un termine a fronte delle domande spontanee “come si dice…? o cosa significa?”, e chi non si è visto trasportato dentro una parafrasi labirintica senza via d’uscita? Un’immagine può portare a una spiegazione e a un apprendimento più proficuo in modo molto più immediato e contestualizzato.

Al centro di tutto c’è l’alfabetizzazione visiva

La prima e necessaria competenza da affinare non appena ci si approccia al silent book è la Visual Literacy. Il termine è stato coniato da John Debes nel 1968 ed è essenzialmente la comprensione degli elementi visivi e la comunicazione del loro significato. La comprensione degli elementi visivi avviene tramite una sorta di grammatica visiva che permette di interpretare gli elementi che compongono l’immagine: colori, figure geometriche, dimensioni, prospettiva, luce, ambiente e organizzazione. Ma perché lavorare con l’immagine “come testo” in classe? Intanto, a una prima analisi, si evidenzia come e quanto l’immagine riesca ad attivare canali di comprensione, non solo linguistici, spingendo a realizzare connessioni e ricordi. L’immagine è in grado di catturare l’attenzione e di mantenerla, liberando lo studente dalla paura di una singola risposta corretta. È necessario poi attivare il dialogo e non appena ciò si realizza, non sono più previsti i meccanismi di domanda-risposta perché a innescare le questioni sono spesso i ragazzi stessi. In questo modo l’immagine riesce a motivare una sequenza di attività di metacomprensione che ovviamente forniscono moltissime opportunità e argomenti con cui partecipare in classe. 

Per quanto riguarda l’insegnante o l’adulto di riferimento, le immagini di un silent book pubblicato o di un silent book realizzato dai ragazzi stessi sono in grado di connettere l’adulto con la visione del mondo e con le competenze generali dello studente. Peraltro, ultimamente le proposte degli insegnanti che si occupano quotidianamente di L2 fanno passi da gigante: “dipingendo i racconti” a seconda che si usi un tempo verbale o un altro, si può facilitare lo studente o la studentessa non madrelingua. È possibile dunque cambiare il significato di parti del racconto a seconda del colore che si usa, per esempio stabilendo che il verde corrisponde al passato remoto e il giallo all’imperfetto, una frase come “prendono la principessa” può trasformarsi, se le persone sono dipinte in giallo in “il popolo ha preso la principessa”, mentre se tutta l’ambientazione è di colore verde in “presero la principessa”, acquisendo tutt’altro significato.

Libri muti

Il concetto ormai chiaro a tutti è che i silent book sono libri senza parole, o quasi, dove l’immagine è l’elemento narrativo primario. Si possono identificare come libri per bambini, ma sarebbe un peccato non sfruttarne le potenzialità anche con giovani e adulti nell’aula di lingua.

Le caratteristiche di un silent book ben si prestano agli usi più disparati. Si può fare affidamento sulla facilità con la quale è possibile identificare le immagini, su una successione di illustrazioni che presentano in maniera comprensibile la narrazione e sul fatto che il ritmo della lettura è davvero molto attivo. La possibilità offerta da questi libri è quella di attivare un’interpretazione multipla o aperta. La ricerca di “altri modi per dirlo” è ciò che trovo particolarmente interessante nello sviluppo di un pensiero critico o divergente. Se scompare l’interpretazione univoca, con essa scompare anche l’errore o la pretesa di interpretare correttamente il racconto. Inoltre, il trattamento dell’errore si concentra sul mero contenuto linguistico e non interpretativo, quindi lo studente non sentirà la pressione di sapere se il modo di decodificare la storia sia corretto o meno, dal momento che partecipa attivamente alla creazione della narrazione. Qui sta l’attrattiva di questo materiale, con questo tipo di lettura cioè stiamo mettendo in pratica una linea didattica più democratica attraverso una serie di punti focali. La questione più importante è che ciò permette di mettere davvero lo studente al centro del proprio processo di apprendimento, mentre il ruolo dell’insegnante è quello di guida e facilitatore. Ciò che in un’aula linguistica sembra essere davvero rivoluzionario è lo sviluppo della creatività come base del pensiero critico.

Una finestra per parlare

Un’illustrazione può introdurre infatti un tema storico-sociale o una questione familiare complicata, può raccontare una dimensione intima conflittuale o raccontare segreti molto privati. La dinamica di progettazione e realizzazione è molto simile a quella che si realizza per la lettura dei silent stampati e realizzati da grandi artisti. Tutto si struttura cioè attraverso domande come: “Loro chi sono? Dove sono loro? È un’immagine attuale? Che cosa ti ricorda? Potrebbe essere successo? Come potrebbe andare avanti la storia?”. Con queste domande, lo studente è invitato a osservare e fare le proprie ipotesi su ciò che ha realizzato nell’immagine, scoprendo ulteriori varianti a cui non aveva pensato prima. Questa attività diventa molto interessante con preadolescenti e adolescenti ai quali, dopo aver fornito le loro descrizioni, viene posta loro un’altra domanda e cioè: quali temi sono legati a queste immagini? L’insegnante in questa fase non può (e peraltro non avrebbe senso) emettere verdetti, anzi li invita a indagare per verificare le loro congetture.

Credo che nei silent book si possa trovare la possibilità di sfidare ciascuno ad attivare il meglio di sé perché con questo tipo di lettura l’adolescente si cercherà dentro, in quel vortice emotivo e concettuale dove proverà a descrivere ciò che vede osservando silenziosamente i dettagli oppure tornare indietro e rileggere le immagini. Si troverà di fronte a un’esperienza in cui dovrà interpretare le proprie emozioni e la relazione dei concetti (colori, dimensioni, contrasti…) verbalizzando questioni complesse senza sentirsi vincolato a un copione di strutture linguistiche preconcette.

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