CONTRASTI CON KLEE

“Un gruppetto di colori a olio si trovava tutti i pomeriggi nella piazzetta del quartiere per chiacchierare e fare segni sul selciato. All’inizio toccava sempre al Bianco in segno di rispetto, lui è la somma di tutti i colori!
Faceva tanti segni a testa in giù, con la punta affilata per l’occasione, poi si stendeva tutto di lato e giù a rotolarsi come sulla neve. Il selciato della piazza era così bianco da sembrare un limpido foglio di carta…ma, nonostante lo sforzo i segni del pastello bianco erano invisibili!? 

Il Bianco, mortificato e deluso si metteva da parte, per lasciare posto al Giallo, che faceva dei gran segni e al Blu, all’ Argento, al Rosso. 

Intanto, dal fondo della piazza si sentiva il chiacchiericcio impertinente di un gruppo di Ecoline dai toni sgargianti, che leggère si avvicinavano al gruppo indaffarato dei pastelli a olio.

Qui va a finire che si litiga… lo sanno tutti che i colori a olio e i colori ad acqua non si sopportano!” 

Ho scritto questa storiella per introdurre un atelier sui contrasti cromatici.

Per definizione dal vocabolario Treccani un contrasto è ciò che si oppone al compimento di qualcosa. È ostacolo, resistenza, disaccordo, scontro.

A ben guardare contrastarsi è un po’ lo stile del nostro tempo. Penso a quando in un dibattito pubblico le parti si parlano sopra, talvolta alzando i toni.

Ma ci sono anche contrasti che hanno un’altra origine, per esempio se si parlano lingue differenti. L’incomprensione linguistica è un ostacolo naturale, per il suo superamento vanno messi in moto l’ascolto, lo studio, l’intelligenza.

Di questo secondo tipo di resistenza si occupa l’ atelier “Contrasti con Klee”.

Chiama in campo un semplice esperimento fisico che sempre affascina i più piccoli: versando alcune gocce d’olio in un bicchiere d’acqua i due fluidi che non sono miscibili, restano separati.

Così si comportano anche i pastelli che hanno base a olio e le ecoline che invece hanno base all’acqua.

Una volta eseguito l’esperimento si traccia un segno sul foglio bianco con il pastello a olio bianco: il segno non si vede o si distingue appena. Poi si stende a pennello l’ecoline blu su tutta la superficie. L’acqua sarà respinta naturalmente e farà emergere il segno a olio.

Sono contrasti sorprendenti da sperimentare, i quali dimostrano come la diversa composizione dei colori non si possa classificare al rango di mera resistenza, diventa piuttosto motivo di apprendimento, proprio come imparare una lingua.

La diversità è evidentemente indispensabile al fine di creare originalità: il pastello a olio non sarà mai un’ecoline e viceversa. Se questi colori cambiassero la propria composizione, nel contrastarsi non sarebbero così generosi di effetti.

Un pastello a olio è fiero di ciò che è. Un’ecoline è fiera di ciò che è.

Quando si incontrano sul foglio è un contrasto certo, ma mai dozzinale.

Questo atelier è un mezzo per introdurre la distinzione tra un ostacolo rozzo, come chi interrompe e parla sopra all’altro e un ostacolo naturale, come la barriera linguistica.

Può essere usato oltre che per il piacere di sperimentare i colori, come metafora per affrontare tematiche di inclusione, accoglienza e curiosità per la diversità.

Una volta compresa la tecnica, qualsiasi alunno, da coloro che sono nati nei dintorni a coloro che arrivano da lontano, fino agli alunni con bisogni speciali, possono prendervi parte in piena autonomia. Mettendo insieme tutti i fogli dipinti non sarà più possibile distinguerne gli autori.

L’effetto finale risulta essere un unicum che parla attraverso la forza del colore dello stare insieme. È il noi che include l’io. Visivamente.

Volendo espandere l’esperienza e rendere plastico il concetto, ecco alcune immagini da un’installazione realizzata con una scuola primaria di Padova a partire dagli esperimenti cromatici.

Si tratta di un grande cubo bianco, completamente rivestito all’interno da fogli dipinti dagli alunni. Per volontà dei bambini si raggiunge l’interno del cubo strisciando dentro un condotto di cartone! Ci passano anche gli adulti più coraggiosi.

E poi si fa un bagno nel colore accendendo una lampadina.

A essere moderni si dovrebbe dire che questa è un’esperienza immersiva, ma la parola “bagno” ha ancora il suo peso, almeno in età scolare.

Il cubo in seguito è stato aperto in un lato per creare una stanza della lettura nella biblioteca della scuola.

Questo progetto che ha visto coinvolti bambini, famiglie e i ragazzi con disabilità di un istituto cittadino, è partito dal presupposto per il quale, fatte salve le resistenze, i contrasti e le peculiarità, una via verso la bellezza e il dialogo è sempre possibile.

Il progetto è stato dedicato al grande pittore Paul Klee, artista poliedrico, che fu musicista e poeta. Attraverso le sue opere, l’artista ci lascia in eredità il suo paesaggio interiore.

Entrando nel cubo bianco si torna a casa, è la metafora della nostra interiorità.

I bambini lo capiscono. 

Pertanto approcciare le arti, soprattutto alla primaria, solo da un punto di vista tecnico o ludico non giova. Andiamo in profondità, alla ricerca del senso per il quale siamo qui, i più piccoli ci accompagneranno, loro non hanno le nostre resistenze.

Provare per credere!

Il Colore ha preso possesso di me. Non devo rincorrerlo, so che mi tiene in pugno per sempre…Il Colore ed io siamo una cosa sola. Sono un pittore. Paul Klee

Paul Klee Castello e Sole – 1928

per maggiori informazioni sul progetto “contrasti con Klee” contattare scuolaoltre info@annapiratti.com info@scuolaoltre.it

Continua la lettura su: https://www.scuolaoltre.it/contrasti-con-klee Autore del post: ScuolaOltre Didattica Fonte: https://scuolaoltre.it

Articoli Correlati

Dalle Olive all’Olio: Schede Didattiche per la Scuola Primaria

In un mondo sempre più dominato da prodotti industriali, è importante per i bambini della scuola primaria conoscere e apprezzare il processo di produzione degli alimenti di base. L’olio d’oliva è uno di questi prodotti, con una storia millenaria e un valore nutrizionale e culturale significativo. In questo articolo esploreremo come utilizzare schede didattiche appositamente progettate per insegnare agli studenti il processo “Dalle Olive all’Olio” in modo coinvolgente e educativo.
A fine articolo potrete scaricare gratuitamente in formato PDF “Dalle Olive all’Olio: Schede Didattiche per la Scuola Primaria“.
Indice

Il Viaggio dalle Olive all’Olio
Coltivazione delle Olive
Il processo inizia con la coltivazione delle olive. Le schede didattiche possono mostrare agli studenti come le olive vengono coltivate, quali sono le varietà più comuni e come vengono raccolte a mano o con l’ausilio di macchinari.
Raccolta e Selezione
Le olive vengono raccolte durante il periodo di maturazione e vengono quindi selezionate per la qualità e la dimensione. Gli studenti impareranno come avviene questo processo e l’importanza della corretta selezione delle olive per la produzione di olio di alta qualità.
Molitura e Gramolatura
Le olive vengono quindi macinate per ottenere una pasta, che viene poi sottoposta a gramolatura, un processo che permette di separare l’olio dall’acqua e dai solidi. Le schede didattiche illustreranno agli studenti come avviene questo processo e quali macchinari vengono utilizzati.
Estrazione e Filtraggio
L’olio estratto dalla pasta viene quindi filtrato per rimuovere eventuali impurità e ottenere un olio chiaro e limpido. Gli studenti impareranno l’importanza di questo processo e come vengono utilizzati filtri speciali per garantire la qualità dell’olio.
Attività Didattiche Coinvolgenti
Esperimenti Pratici
Gli esperimenti pratici sono un ottimo modo per coinvolgere gli studenti nel processo di produzione dell’olio d’oliva. Si possono simulare piccoli impianti di gramolatura utilizzando olive fresche e strumenti semplici, come un mortaio e un pestello.
Visite Guidate
Organizzare visite guidate a frantoi e aziende agricole locali può offrire agli studenti un’opportunità unica per osservare il processo di produzione dell’olio d’oliva dal vivo e porre domande agli esperti del settore.
Conclusioni
Insegnare “Dalle Olive all’Olio” attraverso schede didattiche è un modo efficace per introdurre agli studenti della scuola primaria il mondo affascinante della produzione dell’olio d’oliva. Oltre alle attività menzionate, gli insegnanti possono anche coinvolgere gli studenti in progetti pratici, come la creazione di un piccolo frantoio in classe o la produzione di olio d’oliva fatto in casa utilizzando olive raccolte dagli stessi studenti. Inoltre, incoraggiare la discussione sulle tradizioni culinarie legate all’uso dell’olio d’oliva in diverse culture può fornire agli studenti una comprensione più profonda del ruolo dell’olio d’oliva nella dieta e nella cultura mediterranea.

Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF “Dalle Olive all’Olio: Schede Didattiche per la Scuola Primaria“, basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:

Domande Frequenti su ‘Dalle Olive all’Olio’: Scienze per la Scuola Primaria

Cosa imparano i bambini studiando ‘Dalle Olive all’Olio’?
Gli studenti imparano il processo completo di trasformazione delle olive in olio d’oliva, comprendendo le fasi dalla coltivazione delle olive fino alla produzione dell’olio. Questo include conoscenze di base sull’agricoltura, la biologia delle piante, i processi meccanici e chimici coinvolti nell’estrazione dell’olio, e l’importanza culturale e nutrizionale dell’olio d’oliva.

Perché è importante insegnare ai bambini il processo di produzione dell’olio d’oliva?
Insegnare il processo di produzione dell’olio d’oliva aiuta i bambini a comprendere l’origine degli alimenti che consumano quotidianamente, promuove la consapevolezza ambientale e alimentare, e incoraggia il rispetto per le tradizioni agricole. Inoltre, offre un’opportunità per sviluppare competenze interdisciplinari in scienze naturali, geografia e cultura.

Come si spiega ai bambini il processo di estrazione dell’olio dalle olive?
Il processo di estrazione può essere spiegato in modo semplice, enfatizzando l’uso di macchinari per macinare le olive e separare l’olio. Si possono utilizzare video, immagini e dimostrazioni pratiche per illustrare il funzionamento di un frantoio e i passaggi che portano alla produzione dell’olio.

Quali sono alcuni vantaggi di utilizzare schede didattiche per insegnare ‘Dalle Olive all’Olio’?
Le schede didattiche offrono un approccio visivo e interattivo all’apprendimento, aiutando gli studenti a comprendere meglio le informazioni attraverso l’uso di immagini, diagrammi e attività pratiche. Forniscono una guida strutturata per gli insegnanti e offrono agli studenti un’esperienza di apprendimento autodiretta e coinvolgente.

Come possono i genitori supportare l’apprendimento a casa sull’argomento ‘Dalle Olive all’Olio’?
I genitori possono coinvolgere i loro figli in attività pratiche come la degustazione di diversi oli d’oliva, la visita a frantoi locali, o la coltivazione di una pianta di olivo in giardino. Possono anche leggere libri e guardare documentari insieme per approfondire la comprensione del processo.

Clicca per votare questo articolo!Maestra di Sostegno – Scuola Primaria

Tre volte il volto: i ritratti triplici nella storia dell’arte

Di fronte, di profilo e di tre quarti. No, non è una foto segnaletica (o forse dovremmo chiamarlo “quadro segnaletico”), ma il celebre triplo ritratto del regnante inglese Carlo I, realizzato da Antoon van Dyck nel 1635.
Antoon van Dyck, Carlo I in tre posizioni, 1635, olio su tela, cm 84×99, Royal Collection, Londra
Ma che significato aveva questo curioso dipinto? Perché l’artista ha raffigurato il sovrano da tre punti di vista differenti? Voleva sottolinearne l’espressività? Era una prova di virtuosismo? C’era qualche allegoria sottesa?Nulla di tutto ciò: il ritratto serviva perché Gian Lorenzo Bernini potesse realizzare un busto di re Carlo I senza muoversi da Roma (lo scultore non uscì mai dall’Italia se non una sola volta per andare a Parigi e Varsailles a realizzare il ritratto di Luigi XIV). Era quindi necessario che avesse a disposizione più viste possibili del soggetto, in modo da cogliere perfettamente la forma del volto, l’espressione del viso e l’andamento del profilo (ma si dice che Bernini non facesse mai posare immobili i soggetti da ritrarre preferendo osservarli in movimento e in pose naturali).
Purtroppo il busto marmoreo, realizzato nel 1636, è andato distrutto nel terrificante incendio del 1698 che distrusse il palazzo di Whitehall. Alcune copie vagamente simili sono ciò che rimane. Una è quella creata nel 1759 dallo scultore Louis François Roubiliac…

… e l’altra è quella attribuita a Jan Blommendael.

Quando il busto originale arrivò a Londra, nel 1637, fu universalmente lodato “non solo per la squisitezza dell’opera, ma per la somiglianza che aveva con il re” e Bernini fu ricompensato con un anello di diamanti. La regina Enrichetta Maria ne fu talmente entusiasta che nel 1638 incaricò van Dyck di fare anche a lei un triplo ritratto da inviare a Bernini. Quella volta però il pittore fiammingo non mise i tre punti di vista nella stessa tela ma produsse tre dipinti separati, due di profilo e uno frontale. Tuttavia, non si sa perché, il busto di marmo non verrà mai eseguito.
Antoon van Dyck, Tre ritratti di Enrichetta Maria di Borbone-Francia, 1638
Bernini realizzerà invece il busto del cardinale Richelieu utilizzando anche questa volta un triplo ritratto, quello dipinto dal francese Philippe de Champaigne nel 1641, simile al ritratto di Carlo I di van Dyck (ma in questo caso non c’è la vista strettamente frontale).
Philippe de Champaigne, Triplo ritratto del cardinale Richelieu, 1642, olio su tela, cm 58×72, National Gallery, Londra
Quel busto esiste ancora e si trova attualmente al Louvre.

Ma torniamo ai triplici ritratti per sottolineare un aspetto: a livello compositivo non fu un’invenzione di van Dyck ma la ripresa di un’iconografia che esisteva fin dal Medioevo in forma di “vultus trifrons” (volto trifronte), cioè il modo con cui talvolta veniva rappresentata la trinità.
Gregorio Vasquez de Arce y Ceballos, Trinità, XVII secolo, Museo Coloniale, Bogotà
Certo, nella maggior parte dei casi non si tratta di tre volti separati ma di facce sovrapposte che condividono gli occhi del volto centrale, come in questo esempio trecentesco…
Autore sconosciuto, Vultus trifrons (Trinità), XIV secolo, Chiesa di Sant’Agostino, Norcia
… o questo del XVI secolo.
Scuola di Leonardo da Brescia, Cristo trifrons, ca. 1542, chiesa di santa Giuliana, Vigo di Fassa (Trento)
Ma non mancano casi in cui i tre volti sono separati o addirittura lo sono le tre persone della Trinità.

Tuttavia il volto con tre facce era anche quello di Lucifero…
Autore sconosciuto, Illustrazione per la Divina Commedia con Lucifero, XIV secolo
Secondo Dante, che lo descrive nel XXXIV canto dell’Inferno, Lucifero è un mostro peloso, con tre paia d’ali di pipistrello e tre facce sulla stessa testa. Con le tre bocche divora i tre più grandi traditori: Bruto e Cassio ai lati e Giuda al centro. Le tre facce avrebbero anche tre colori diversi: rossa quella centrale, bianca quella destra e nera la sinistra.

Ha tre teste anche Cerbero, il cane infernale della mitologia greca che Dante colloca nel 3° cerchio dell’Inferno a vigilare e torturare i golosi.
William Blake, Cerbero, 1824-1827
Per questa insistente associazione tra le tre facce e gli esseri infernali, lo schema del vultus trifrons per rappresentare la Trinità fu abbandonato nel ‘500. Nel 1745, infine, papa Benedetto XIV, con la bolla Sollicitudini nostrae definì come “non appropriata” l’immagine di Cristo ripetuta tre volte poiché dava forme umane anche allo Spirito Santo. Dal Cinquecento, dunque, il volto triplo diventa un tema squisitamente profano.
Il primo dipinto in cui appare è probabilmente il Ritratto di un orefice di Lorenzo Lotto, una tela del 1525-1535 (dunque di un secolo precedente al ritratto di Carlo I). Qui lo stesso uomo è visto di profilo, di fronte e leggermente da dietro.  Le diverse pose delle mani e la tenda verde che taglia lo sfondo animano il ritratto e lo arricchiscono di espressività.
Lorenzo Lotto, Triplice ritratto di orefice, 1525-1535, olio su tela, cm 52×79, unsthistorisches Museum, Vienna
Questo quadro però non serviva come base per una statua, tuttavia un legame con la scultura c’era: il dipinto infatti si inserisce nel dibattito noto come “Paragone delle arti“, una disputa dell’età rinascimentale su quale arte, tra pittura e scultura, fosse la “migliore”.Secondo Leonardo, naturalmente, il primato spettava alla pittura, unica arte capace di imitare la natura nei suoi colori e nei suoi spazi. Per Michelangelo, invece, l’arte superiore era la scultura perché capace di riprodurre le forme in modo realmente tridimensionale.
Per superare il limite della pittura evidenziato da Michelangelo gli artisti tentarono di inserire più visioni del soggetto nello stesso dipinto, attraverso diverse modalità. Quella di Lorenzo Lotto consisteva, come abbiamo visto, nel creare un ritratto multiplo del soggetto in modo da raffigurarlo contemporaneamente da più punti di vista (una visione simultanea protocubista…), avvicinandosi così alla scultura.Tiziano, invece, ha inserito nella scena un grande specchio convesso per mostrare anche il retro della persona raffigurata.
Tiziano, Donna allo specchio, 1515, olio su tela, cm 96×76, Museo del Louvre, Parigi
Bronzino sceglie, invece, una terza via, quella del dipinto bifacciale che mostra la stessa scena dai due lati opposti. Suo è il Nano Morgante del 1553, un ritratto del buffone di corte di Cosimo I de’ Medici. Le due vedute, tuttavia, non corrispondono rigidamente: la vista del recto raffigura il personaggio prima della caccia mentre sul verso ha la selvaggina in mano e si volta all’indietro per vantarsene con l’osservatore.
Bronzino, Doppio ritratto del Nano Morgante, 1553, olio su tela, cm 149×98, Palazzo Pitti, Firenze
Due anni più tardi la stessa scelta sarà operata anche da Daniele da Volterra, con la sua lotta tra Davide e Golia in versione bifacciale, un quadro posto lungo la galleria del Louvre sopra un piedistallo, come fosse una scultura.
Daniele da Volterra, Combattimento di Davide e Golia, 1555, olio su ardesia, cm 130×170, Museo del Louvre, Parigi
La disputa sarà superata solo nel Seicento, quando il linguaggio barocco fonderà tra loro tutte le arti. Il dipinto bifacciale scomparirà presto ma non il triplo ritratto, che tornerà in auge nell’Ottocento.
È del 1804 un triplo ritratto di Elizabeth Patterson, prima moglie di Girolamo Bonaparte, fratello minore di Napoleone.
Gilbert Stuart, Triplo ritratto di Elizabeth Patterson (Betsy Bonaparte), 1804, olio su tela
Stavolta non c’è nessun confronto con la scultura né alcuno scopo utilitaristico: è un ritratto fresco, rapido, quasi uno studio, che evidenzia i bei lineamenti della donna.Ha invece un valore propagandistico il triplo ritratto di Napoleone in tre momenti cruciali della sua vita: il comando della Campagna d’Italia nel 1794, l’incoronazione a re d’Italia nel 1805, e il suo ritorno dall’esilio nel 1815.
Autore sconosciuto, Triplo ritratto di Napoleone Bonaparte in tre momenti della sua vita nel 1805, 1794 e 1815.
Della stessa epoca è un curioso autoritratto, di una sconosciuta artista che si è firmata come D. E. Brante, in cui la donna si è dipinta come pittrice, come scultrice e come arpista. Una tripla immagine che ha uno scopo preciso: quello di esibire il proprio poliedrico talento.
D. E. Brante, Triplo autoritratti come pittrice, scultrice e musicista, 1815-1820, olio su tela, cm 85×70
Questa modalità di rappresentazione non poteva sfuggire ai pittori amanti del simbolismo, per l’opportunità che offriva di mostrare le diverse anime racchiuse nel soggetto. È così che 1874 nasce Rosa Triplex, un triplice ritratto di May Morris (figlia di William Morris e della moglie Jane Burden), del preraffaellita Dante Gabriel Rossetti. Il dipinto richiama quelle atmosfere estetizzanti tanto care alla confraternita inglese ma anche la tela di van Dyck, che faceva parte della Royal Collection inglese.
Dante Gabriel Rossetti, Rosa triplex, 1874, acquerello su carta, cm 77×88, Collezione privata
L’immagine è molto simile a una precedente versione a pastello di sette anni prima nel quale la modella era stata Alexa Wilding.
Dante Gabriel Rossetti, Rosa Triplex, 1867, pastello su carta, cm 50×73, Tate, Londra
Nel 1877 Rossetti riprende ancora una volta lo schema della tripla raffigurazione con Astarte syriaca, una sensuale divinità mediorientale dell’amore e della bellezza, per la quale avrebbero posato Jane Burden e May Morris. La composizione, con la dea frontale e le sue “gemelle” di lato, ricorda in verità un’altra iconografia tripla, quella delle Tre Grazie.
Dante Gabriel Rossetti, Astarte Syriaca, 1877, olio su tela, cm 185×109, Manchester Art Gallery
Poco tempo dopo, il genere del triplo ritratto viene ripreso dal simbolista francese Maurice Denis con una suggestiva rappresentazione della fidanzata Marthe Meurier. Non sfugge all’osservazione la progressiva apertura degli occhi andando verso destra, come se i tre volti raccontassero un risveglio, una maturazione, una consapevolezza verso la vita.
Maurice Denis, Triplo ritratto della fidanzata Marta, 1892
Da questo punto di vista il dipinto si inserisce nell’antico filone dell’allegoria delle tre età dell’uomo, realizzata, appunto, con tre personaggi in diverse fasi dell’esistenza.
Giorgione, Le tre età dell’uomo, 1500-1501, olio su tavola, cm 62×77, Galleria Palatina, Firenze
Tiziano, Allegoria della Prudenza, 1550, olio su tela, cm 75×68, National Gallery, Londra
Denis riprende il triplo ritratto anche con la fidanzata successiva, Yvonne Lerolle, nel 1897. Qui il diverso abbigliamento e la varietà dei gesti e delle espressioni portano a immaginare che l’opera simboleggi proprio tre fasi della vita della giovane donna, come a voler dire che non è possibile conoscere l’anima mutevole di una persona perché il suo essere è la somma di un tempo che scorre.
Maurice Denis, Ritratto di Yvonne Lerolle in tre aspetti, 1897, olio su tela, cm 170×110, Musée d’Orsay, Parigi
Tutto cambia con Egon Schiele. Tormentato osservatore del proprio essere, realizzò nel 1913 un triplo autoritratto in cui sembra voler mostrare il suo multiplo io. La figura al centro, più definita delle altre, ha un’espressione rabbiosa e una posa contorta; il volto a destra sembra più calmo mentre quello a sinistra, tratteggiato con furia, contiene qualcosa di maligno. Si direbbe che abbia voluto raffigurare così le due opposte tensioni, passionale e contemplativa, dolorosa e pacificata, che hanno percorso i suoi giorni.Nonostante appaia come un bozzetto, si tratta di una composizione su cui l’artista ha lavorato anche a livello formale, come dimostra il piccolo schizzo con le stesse tre teste in basso a destra.
Egon Schiele, Triplo autoritratto, 1913, gouache, acquerello e grafite, cm 48×32, Collezione privata
Con l’avanzare del Novecento il tema del triplo ritratto passerà presto alla fotografia. Man Ray lo affronta nel 1926 con un fotomontaggio della ricca americana Rose Wheeler vista di fronte, di tre quarti e di profilo. È forse l’opera che più somiglia al genere inaugurato da van Dyck: un’esplorazione della fisionomia umana ma anche una sottile indagine psicologica che evidenzia le differenze espressive che esistono tra un ritratto di profilo (tipico del Rinascimento), un volto di tre quarti (di origine fiamminga e poi adottato a fine Quattrocento anche in Italia) e il volto frontale di ascendenza medievale (era il modo in cui veniva raffigurato Cristo).
Man Ray, Triplo ritratto di Rose Wheeler, 1926, stampa a gelatina ai sali d’argento, cm 14×10, Centre Pompidou, Parigi
Dopo venne il turno del fotografo francese Philippe Halsman e del suo triplice volto di Marilyn Monroe del 1955. In questo caso non c’è un interesse compositivo e vagamente surrealista come per Man Ray ma un preciso interesse per ciò che racconta il viso di una persona. «Ogni volto che vedo sembra nascondere – e a volte rivelare fugacemente – il mistero di un altro essere umano», diceva il fotografo. 
Philippe Halsman, Tripla Marilyn, 1955, stampa in gelatina ai sali d’argento, cm 25×33
Il triplo Elvis di Andy Warhol si inserisce invece nel suo metodo moltiplicatorio che parte da una fotografia o dal fotogramma di un film (in questo caso una scena di “Stella di fuoco” del 1960) per creare un’opera che ricorda le serie infinite e martellanti di manifesti pubblicitari e che, tramite la ripetizione, finisce con l’annullare l’anima del soggetto rendendolo pura immagine.
Andy Warhol, Triplo Elvis, 1963
Con Norman Rockwell torna per un attimo l’antico olio su tela con un ironico autoritratto allo specchio del 1960. L’uso dello specchio, in verità, era da secoli la modalità standard per realizzare l’autoritratto, ma l’originalità sta nel fatto che l’artista ha fatto un passo indietro rispetto al suo dipinto, mostrando così se stesso nell’atto di riflettersi sullo specchio e nel disegno che ne sta uscendo fuori. Non mancano dei divertenti riferimenti alla storia dell’autoritratto nelle cartoline fissate all’angolo superiore della tela che raffigurano i volti di Dürer, Rembrandt, Picasso e van Gogh, mentre dal lato opposto c’è un foglietto con altri 4 autoritratti dell’artista.
Norman Rockwell, Triplo autoritratto, 1960, olio su tela, cm 113×88, Norman Rockwell Museum, Stockbridge
Non dovremmo tuttavia parlare di novità per questo triplo autoritratto, perché questa modalità era già apparsa altre volte prima dell’opera di Rockwell (sebbene non con la stessa autoironia). La più antica è probabilmente una miniatura del 1403 con la pittrice di età greco-romana Marzia che realizza il suo autoritratto.
Marzia dipinge il suo autoritratto, miniatura dalla versione francese del De Claris mulieribus di Boccaccio, 1403, Biblioteca Nazionale di Francia
Poi c’è la tela del pittore austriaco Johannes Gumpp del 1646 che è effettivamente un autoritratto triplo.
Johannes Gumpp, Autoritratto, 1646
Quello del pittore Jean Alphonse Rohen è invece il ritratto di una pittrice intenta ad autoritrarsi.
Jean-Alphonse Roehn (1799-1864), Ritratto di artista che dipinge il suo autoritratto
Ed è proprio lo specchio l’oggetto che chiude questo percorso sui tripli volti. Perché consente ai fotografi di giocare con la moltiplicazione della figura in modo naturale, senza ricorrere a fotomontaggi o ad altri artifici. Ha usato due specchi messi ad angolo Cecil Beaton, l’originale e irriverente fotografo britannico, per  immortalare Mariana van Rensselaer con un cappello disegnato dallo stilista Charles James. I due riflessi laterali restituiscono delle immagini curiose che sembrano evocare a sinistra una Madonna velata e a destra un mercurio col cappello alato.
Cecil Beaton, Mariana van Rensselaer con il cappello di Charles James, 1930
Gli specchi sono invece contrapposti in uno straordinario autoritratto della statunitense Vivian Maier del 1955. Autrice di un’enorme quantità di autoritratti colti sulle più disparate  superfici riflettenti, la fotografa ha scelto qui il mise en abyme, il più sorprendente effetto che due specchi possano dare: quello di moltiplicare all’infinito il riflesso specchiandosi l’uno nell’altro. Tuttavia Maier ha evitato di mostrarci quella scia sempre più piccola di sagome ponendo al centro la sua macchina fotografica e mostrandoci solo un triplo autoritratto.
Vivian Maier, Autoritratto, 1955
Non deve meravigliare che questa antica iconografia sia sopravvissuta fino ai nostri giorni e goda ancora di ottima salute: la tentazione di voler essere uni e trini, il desiderio di indagare le nostre multiple personalità attraverso la nostra faccia-interfaccia, è quasi un istinto naturale e non smette di regalarci accattivanti capolavori.

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000