L’importanza di apprendere le lingue da bambini

La capacità di elaborare il linguaggio è una caratteristica tipica dell’essere umano: ci permette di comunicare, imparare, e pensare meglio. Il modo in cui il cervello rappresenta ed elabora il linguaggio parlato, come percepisce le strutture sintattiche e come registra i concetti astratti, sono questioni ancora centrali nelle neuroscienze e nelle scienze cognitive.

Secondo gli studiosi di neurolinguistica del bilinguismo, durante l’acquisizione della lingua materna, si vengono a formare nel cervello, precisi circuiti neuronali chiamati sistemi neuro-funzionali, specializzati per le lingue, che pur in continua interazione, controllano separatamente le dimensioni linguistiche, metalinguistiche pragmatiche ed emozionali. Durante l’apprendimento di una lingua non materna, si ritiene che all’interno di ciascuno di questi macrosistemi, si formino dei sub-sistemi neuronaliche elaborano in modo specifico una lingua.

Molti studiosi, nei settori della linguistica e della glottodidattica, riconoscono all’età un ruolo “critico”, sia per l’acquisizione della lingua madre che delle seconde lingue.

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La glottodidattica ludica nella prima infanzia

La glottodidattica ludica nella prima infanzia

di Caterina Fabrucci [1]

La società è sempre più multietnica e per farne parte attivamente è necessario avere competenze linguistiche e plurilinguistiche, per rispondere a questa esigenza la politica del Consiglio Europeo è orientata alla promozione di un processo trasversale volto a formare futuri cittadini in grado non solo di comunicare ed esprimersi in più lingue in modo efficace e adeguato ma anche fare esperienze in più culture, quindi, imparare a imparare.

È lo stesso Consiglio che definisce l’educazione plurilingue nel Quadro Comune Europeo di Riferimento concetto di competenza plurilingue e pluriculturale tende: 

a uscire dalla tradizionale dicotomia, apparentemente equilibrata, rappresentata dalla coppia LI/L2 e a mettere in evidenza il plurilinguismo di cui il bilinguismo non rappresenta che un caso particolare. 

a considerare che l’individuo non dispone di un repertorio di competenze comunicative distinte e separate nelle lingue che conosce, ma di una competenza plurilingue e pluriculturale che le ingloba tutte. 

a mettere in evidenza le dimensioni pluriculturali di questa competenza multipla, senza necessariamente sostenere che la capacità di entrare in rapporto con altre culture si sviluppi insieme alla competenza linguistico-comunicativa. 

(Consiglio d’Europa, Quadro Europeo di Riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione p. 205 2002) 

La conoscenza di diversi codici linguistici non è la capacità di utilizzare e comunicare utilizzando le lingue in modo isolato rispetto alla competenza comunicativa nella lingua madre, ma l’abilità che permette ai parlanti competenti di muoversi tra più lingue e culture.

La competenza plurilingue e pluriculturale fornisce ai parlanti competenti “gli strumenti necessari per vivere in un mondo di genti, lingue e culture diverse” (New Zealand Ministry of Education, 2007). La cultura, perciò, non è un elemento di secondaria importanza nell’acquisizione di un linguaggio, ma una presenza fondamentale nella costruzione dell’identità del parlante.

La diffusione del multilinguismo auspicata dal Consiglio d’Europa è alla base del processo di alfabetizzazione avviato negli Stati membri inserendo una lingua straniera nei primi anni di scolarizzazione si basa sull’ipotesi secondo cui l’acquisizione di una lingua diversa dalla lingua madre avvengano nel bambino più facilmente, più velocemente e meglio degli adulti.

I processi naturali di acquisizione della lingua madre, spontanei ed efficaci nel bambino fino all’”età critica”, vengono applicati alla fruizione degli elementi  strutturali e funzionali/comunicativi della lingua seconda, ossia interazione affettiva tra adulto e bambino, imitazione dei modelli linguistici, ripetitività delle situazioni educative, motricità e coinvolgimento dei sensi (Total Physical Response), approccio ludico, nel pieno rispetto delle proposte definite nell’ Indicazioni Nazionali, secondo cui: 

L’apprendimento avviene attraverso l’azione, l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione ludica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza. Nel gioco, particolarmente in quello simbolico, i bambini si esprimono, raccontano, rielaborano in modo creativo le esperienze personali e sociali. Nella reazione educativa, gli insegnanti svolgono una funzione di mediazione e di facilitazione e, nel fare propria la ricerca dei bambini, li aiutano aa pensare e a riflettere meglio, sollecitandoli a osservare, descrivere, narrare, fare ipotesi, dare e chiedere spiegazioni in contesti operativi e di confronto diffuso. (Indicazioni nazionali 2012, p. 18)

L’apprendimento significativo  

Per trattare di glottodidattica ludica è bene fare cenno al concetto di “apprendimento significativo” che si delinea un processo “globale” in quanto coinvolge la sfera cognitiva, emotiva, affettiva, sociale e costruttivo di integrazione di nuove informazioni su concetti già acquisiti (Rogers C. 1973, Ausubel, D. 1987, Novak J. D.  2001). Anche il gioco è esperienza globale costruttiva ed olistica in cui si integrano componenti affettive come il divertimento, sociali come il rispetto delle regole e lavorare in gruppo, motorie e psicomotorie come la coordinazione e il movimento, cognitive come la definizione di strategie di gioco, apprendere e rispettare le regole, emotive   percepire la tensione, la sfida e infine culturali come le regole specifiche del gioco.

Il gioco premette al discente di partecipare, di essere protagonista, di apprendere attraverso la pratica, accrescendo le proprie conoscenze e competenze impegnandolo divertendosi.

Il gioco per l’apprendimento della lingua

Prima di introdurre la glottodidattica ludica bisogna chiarire, seppur in modo sommario, la distinzione tra il gioco libero (praticato in un ambiente extrascolastico e non controllato) e gioco didattico (proposto dall’educatrice in contesti di apprendimento). Facendo riferimento al pedagogista Aldo Visalberghi citiamo due termini da lui introdotti attività ludica (corrispondente al gioco libero) e attività ludiforme (corrispondente al gioco didattico).  

Per Visalberghi, l’attività ludica:

è impegnativa: prevede un coinvolgimento psico-fisico, cognitivo e affettivo,  

è continuativa: è una costante sia nella vita del bambino e che dell’adulto,  

è progressiva: in quanto si rinnova, è mediatore di crescita cognitiva, relazionale, affettiva, amplia le conoscenze e le competenze,  

non è funzionale: è autotelica, cioè ha scopo in sé stessa.  

L’ attività ludiforme, invece, pur presentando le caratteristiche di impegno, continuità e progressività, non è autotelica, la finalità del gioco didattico si trova al di là del gioco stesso. Il fine che si persegue rimane esterno al gioco e, normalmente, esso è deciso dal docente. 

Le esperienze ludiformi, dunque, “costruite intenzionalmente per dare una forma divertente e piacevole a determinati apprendimenti” (Staccioli, 1998). 

L’attività ludiforme (progettata e gestita dal docente con finalità didattiche, educative e non solo ricreative) può rivelarsi un efficace “mediatore” lo sviluppo sia di competenze linguistico-cognitive che sociali ed educative tramite cui il discente possa appropriarsi di strutture e di lessico attraverso un’esperienza globale e intrinsecamente motivata che lo coinvolga dal punto di vista cognitivo( l’elaborazione di strategie di gioco, l’apprendimento di regole), ma anche affettivo (divertimento e piacere), sociale (la squadra, il gruppo, il rispetto delle regole) motorio e psicomotorie (il movimento, la coordinazione, l’equilibrio) e culturali (le regole specifiche e le modalità di relazione) .

L’apprendimento della L2 nella fascia d’età 0-6

I bambini, pur avendo capacità cognitive non paragonabili a quelle degli adulti (area del ragionamento e dell’astrazione ad esempio) dispongono di caratteristiche neurobiologiche e cognitive che li predispongono all’apprendimento delle lingue.

A livello neurobiologico il cervello del bambino è particolarmente plastico ossia predisposto a interiorizzare con facilità gli input esterni. Inoltre, nei primi anni di vita, è attiva la memoria implicita che consente si imparare a muovere i primi passi, afferrare e manipolare attraverso l’acquisizione di schemi procedurali. imparare una lingua, a ben guardare, si basa sull’apprendimento di schemi procedurali (articolari suoni, mettere in sequenza parole, concordare parole tra di loro). 

È durante la fascia d’età che va dai 0 ai 7 anni e in particolare i primissimi anni di vita (the Age Factor) che l’acquisizione di una lingua straniera avviene con modalità non replicabili successivamente (Penfield 1959; Johnson, Newport 1989; Hyltenstam, Abrahmsson 2003, Knudsen 2004 e Meisel 2010), soprattutto per quanto riguarda le componenti della fonetica per impostare una corretta pronuncia e della morfosintassi (Fabbro 2004 e Daloiso 2009b 88 Favaro).

La scuola dell’infanzia: un contesto favorevole

Ad oggi nella scuola (servizi educativi: nido e infanzia cosa metto??) italiana i bambini vengono esposti alla LS per pochissime ore la settimana (da 1 a 3). Per rendere veramente efficace un progetto di avvicinamento a una LS è necessario che la quantità di esposizione sia ampia e continuativa.

È preferibile fare piccoli interventi quotidiani piuttosto che lunghi interventi una o due volte alla settimana. Attualmente, in Italia, l’unico contesto in cui sono potenzialmente realizzabili interventi quotidiani frequenti e continuativi è la scuola dell’infanzia e nei nidi.

Le attività del nido e scuola dell’infanzia sono scandite da routine. La possibilità di coinvolgere i bambini in situazioni frequenti in cui la lingua viene usata in modo ricorrente e contestualizzato è fondamentale per attivare i meccanismi neurobiologici di acquisizione di una lingua. Ci sono molti momenti che scandiscono la giornata educativa, durante i quali anche in italiano tendiamo a utilizzare in modo ricorrente certe espressioni linguistiche (, accompagnante da comportamenti e gesti esplicativi. I bambini osservano i comportamenti e le azioni degli adulti e dei pari per poi riprodurli. Nei più piccoli i comportamenti ripetitivi sono spesso riflessi, non volontari. Crescendo i bambini utilizzano l’imitazione come strumento di apprendimento in modo più consapevole. Il contatto con la lingua straniera deve essere un’esperienza ricorrente, collocata all’interno di situazioni ben definite, concrete e reiterate nell’arco della settimana educativa. Da rimarcare la differenza fra ricorrenza e ripetizione: una situazione ricorrente non è uguale e sé stessa, non è una replica di un evento già avvenuto: ogni volta puoi variare il tono della voce, modificare alcune espressioni e introdurre elementi nuovi. In questo senso, una situazione è ricorrente non ripetitiva.   La , invece, è una replica delle stesse esperienze quali ascoltare una filastrocca o una fiaba ripetutamente. Anche se solitamente i bambini amano ripetere le attività come quelle indicate, ogni bambino ha preferenze e gusti diversi, in questo senso, più che ripetere la stessa attività è efficace riproporla con varianti (ricorrenza). 

Le routine ricorrenti, dunque, sembrano essere fondamentali per massimizzare gli effetti dell’esposizione linguistica, dato che l’input è associato a esperienze concrete. Il bambino riesce così a collegare il contesto a cui si riferiscono le parole che sente. Crescendo il bambino procede autonomamente a processare l’input ricevuto fino alla produzione spontanea in LS che infatti ha luogo, generalmente, in contesti routinari (Daloiso e Favaro 2012).  

Classificazione e tipologie di giochi  

Affinché la glottodidattica ludica non sia intesa solo come attività autotelica, libera e disinteressata o come solo gioco didattico è necessario chiarire il concetto di ludicità.

Per ludicità si intende “la carica vitale in cui si integrano forti spinte motivazionali intrinseche con aspetti affettivo-emotivi, cognitivi e sociali dell’apprendere” (Caon, Rutka, 2004).  Tutte le attività che, pur non palesemente ludiche, sono sostenute da motivazione intrinseca poiché stimolano curiosità, interesse, desiderio di conoscere e concentrazione mentale possono rientrare in una proposta di didattica ludica in quanto permettono un apprendimento mirato e contemporaneamente incidentale della lingua.

La glottodidattica individua nella ludicità il principio per promuovere lo sviluppo globale del bambino.

Da quanto detto finora emerge chiaramente quanto il concetto di gioco sia complesso e abbracci diverse tipologie e molteplici funzioni.

Coerentemente con la teoria che vede il gioco come un fattore di sviluppo e maturazione dell’allievo, si propone di seguito un elenco, ovviamente non esaustivo, di giochi basato sulla classificazione ontogenetica di attività ludiche per l’apprendimento della lingua di Claparède (1909) ripresa da Piaget (1945), in cui il gioco sottolinea e informa di sé le tappe evolutive del bambino nella sua crescita psico-affettiva, cognitiva e sociale.

Piaget definisce tre tipi di giochi secondo le varie fasi dello sviluppo: i giochi di esercizio, i giochi simbolici e i giochi di regole. 

Giochi di esercizio 

Correlati all’intelligenza senso-motoria, si presentano, generalmente, nei primi 18 mesi di vita. Il bambino, attraverso l’afferrare, il dondolare, il portare alla bocca gli oggetti, l’aprire e chiudere le mani o gli occhi, impara a controllare i movimenti e a coordinare i gesti esplora e sperimenta la realtà circostante: ogni oggetto che scopre lo getta per terra in tutte le direzioni per analizzarne le cadute e le traiettorie, assume e controlla la realtà che lo circonda.

Attraverso l’esplorazione il bambino passa dalla conoscenza sensoriale, percettiva – manipolativa delle cose alla formazione dei concetti. Non appena il bambino comincia ad emettere dei suoni gioca con la lingua così come prima giocava con gli oggetti.

In ottica glottodidattica ludica non c’è contraddizione tra gioco ed esercizio perché la motivazione, l’interesse e il piacere che sostengono l’allievo durante queste attività sono le stesse che si hanno in una situazione di gioco libero. (Cfr. Freddi, 1990)  

Ai giochi-esercizi appartengono tutte le attività che esercitano e fissano le strutture della lingua e il lessico quali ripetizioni (di parole, frasi, testi, canzoni, ecc.); composizioni, scomposizioni, ricomposizioni, associazioni di parole-immagini; incastri di battute in un dialogo; catene di parole, e di frasi; giochi di movimento; interviste e questionari; giochi di natura insiemistica; giochi epistemici legati al problem solving; giochi di enigmistica.

Giochi simbolici

Fanno la loro comparsa verso il secondo anno di vita in cui il bambino entra nel mondo del “come se”, attribuendo agli oggetti significati simbolici, personali, (intelligenza rappresentativa). Con i giochi simbolici aggiunge ai giochi di esercizio la dimensione della simbolizzazione e della funzione, la capacità di rappresentare attraverso gesti una realtà non attuale. Il gioco simbolico si manifesta nella capacità di rappresentare qualcosa attraverso tutti i mezzi espressivi a disposizione, di cui il linguaggio verbale è solo uno, anche se molto importante (funzione semiotica di Piaget). Il gioco simbolico al pari delle altre tipologie dei giochi, pur modificandosi, è presente in tutta la vita dell’individuo.

A questa categoria appartengono tutti i giochi creativi e di libero reimpiego, che coinvolgono lingua verbale e linguaggi non verbali in un’ampia gamma di: drammatizzazione di scenette e storie, simulazioni, Role play; interviste impossibili; completamenti di fumetti; attività di immaginazione; attività espressive, ritmiche, musicali, teatrali; attività di mimo; attività di canto abbinato alla gestualità; filastrocche abbinate a ritmo e gestualità; attività di transcodificazione, di passaggio da codice verbale ad iconico o motorio; creazione di cartelloni, collage, ecc.

Giochi di regole:  

Si presentano circa dall’età di 2 anni e vanno completando la loro strutturazione verso il settimo anno di vita. I giochi di regole introducono il bambino nel mondo ludico dell’immaginazione, del «come se», che è tipicamente umano e prende origine dall’azione.

La stessa lingua è “gioco di regole”, regole sociali di uso, come il rispetto del turno di parola, la comprensibilità degli enunciati, la corretta interpretazione dei ruoli comunicativi, i registri, ecc. Il gioco di regole è destinato a durare tutta l’esistenza. I giochi di regole (giochi games) sono quelli più diffusi a scuola.

Dapprima sono imitazioni dei giochi dei bambini più grandi per poi organizzarsi spontaneamente caratterizzando la socializzazione del bambino. Attraverso i giochi di regole i bambini scoprono le regole sociali di uso della lingua, l’importanza e la funzione dei ruoli dei parlanti: giochi di ruolo (es. amico/amico, barista/cliente, insegnante/allievo, madre /figlio); giochi comunicativi basati sul vuoto di informazione (information gap) e sulla differenza di opinione (opinion gap); giochi tradizionali, le cui regole possono essere oggetto di analisi interculturale: es. Caccia al tesoro (gioco di problem solving), Campana; giochi che utilizzano griglie grafiche, schemi, percorsi, ecc.,(con le opportune modifiche come ad esempio: si procede solo rispondendo correttamente a dei quesiti linguistici): es. Gioco dell’Oca, Snakes and Ladders Battaglia navale; domino di sillabe, di parole di immagine parola/frase; giochi di carte: in cui si usano le regole di giochi noti, applicandole all’apprendimento della lingua;Tria/Tris/Filetto: in cui si deve fare tris risolvendo quesiti linguistici. Giochi creativi e di libero reimpiego, che coinvolgono lingua verbale e linguaggi non verbali: attività espressive, ritmiche, musicali, teatrali – attività di mimo; attività di canto abbinato alla gestualità; filastrocche abbinate a ritmo e gestualità; attività di transcodificazione, di passaggio da codice verbale ad iconico o motorio; creazione di cartelloni, collage, ecc. fumetti; giochi di memoria: memory classico, indovinelli/giochi a indovinare, ecc; drammatizzazione di scenette e storie; giochi di simulazione, del “far finta che”, del “se fossi”;  role-play.

Glottodidattica ludica, intercultura e inclusione

 L’attività ludica è lo strumento principe per veicolare anche concetti e valori propri dell’educazione interculturale (oltre che, ovviamente, per far esercitare la lingua) come riconosciuto nella Circolare Ministeriale 205/90: “L’educazione interculturale (…) comporta non solo l’accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione, di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento”. Ora, il gioco presenta due caratteristiche che possono favorire proposte didattiche interculturali. Il gioco è transculturale: tutti i bambini, indipendentemente dalla loro origine geografica e culturale, giocano e condividono alcuni aspetti appartenenti ad una “grammatica universale ludica”, come, ad esempio, il rispetto delle regole. Il gioco, quindi, come approccio paritetico tra le diverse conoscenze e competenze; il gioco è culturalmente determinato; “un gioco, scrive G. Staccioli (1998), è specchio/immagine della società nella quale si sviluppa ed ogni giocatore “gioca” (consapevolmente o meno) anche regole, simboli, aspirazioni, fantasie che sono proprie della cultura nella quale vive.” 

L’insegnante, consapevole dell’aspetto relazionale e culturale delle attività ludiche che, adeguate all’età dei bambini, risponde alla prospettiva del legislatore sviluppando “la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza delle diversità un valore irrinunciabile” (Indicazioni nazionali del 2012 pag. 14). La nuova scuola dell’infanzia, pertanto, risponde ai bisogni educativi e ai diritti alla cura dei bambini e delle bambine dai tre ai sei anni “in coerenza con i principi del pluralismo culturale e istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione Europea. […] Essa si pone la finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza e li avvia alla cittadinanza” (Indicazioni nazionali del 2012, p.16). L’introduzione di una seconda lingua aiuta pertanto a “porre le fondamenta di un comportamento eticamente orientato, rispettoso degli altri, dell’ambiente e della natura” poiché espande “il primo esercizio del dialogo che è fondato sulla reciprocità dell’ascolto, l’attenzione al punto di vista dell’altro e alle diversità di genere, il primo riconoscimento di diritti e doveri uguali per tutti”. (Ibidem)

Bibliografia  

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[1] Tutor organizzatore presso il CdL in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Roma Tre.

Danza di sinapsi

Danza di sinapsiVerso una nuova didattica educativa

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Introduzione

Sinapsi danzanti, al ritmo delle reti neurali dell’Intelligenza Artificiale, illuminano il panorama di un’era in cui la tecnologia avanza inesorabilmente, quasi in punta di piedi, lasciando dietro di sé un’umanità spesso impreparata ad accoglierla. Tuttavia, in questo vortice di innovazione, emergono con forza le connessioni profonde create dalle tecnologie che ci permettono di accedere a internet, rete delle reti, che siano computer, smartphone, tablet o smartwatch. Viviamo in un tempo segnato da profonde contraddizioni, dove la bionica e la robotica sono ormai realtà concrete, e dove il metaverso inizia lentamente a dissolvere i confini tra il reale e il virtuale.

Questo nostro tempo è caratterizzato da nostalgici ritorni al passato e a metodi secolari d’insegnamento, che si contrappongono a investimenti senza precedenti nelle tecnologie didattiche. Ambienti di apprendimento sempre più digitali si scontrano con una popolazione di analfabeti digitali, che difficilmente riusciranno a sfruttare appieno i nuovi strumenti prima che questi diventino superati e obsoleti. Basti pensare alla storia delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali): pochi le hanno davvero utilizzate appieno, mentre molti si sono limitati a considerarle come semplici sostituti dei proiettori, non riuscendo a sfruttarne il potenziale.

Eppure, in questo panorama di luci e ombre, le Neuroscienze hanno compiuto passi da gigante negli ultimi anni, integrandosi con lo sviluppo delle scienze cognitive. Questo progresso ha portato alla creazione di nuovi approcci didattici finalizzati alla realizzazione di ambienti di apprendimento ideali per ogni studente. Le Neuroscienze ci insegnano che ogni cervello è unico e che la didattica deve essere personalizzata per rispondere alle esigenze individuali. Questo significa formare una nuova generazione di insegnanti capaci di andare oltre la didattica trasmissiva, utilizzando in modo efficace la tecnologia e le nuove scoperte per garantire un successo formativo certo agli studenti.

Le neuroscienze, con la loro bellezza e complessità, ci svelano i misteri del cervello umano, un organo straordinariamente plastico e adattabile. Scopriamo che l’apprendimento non è un processo lineare, ma una danza sinaptica, una coreografia intricata che coinvolge emozioni, motivazioni e contesti ambientali. Ogni nuova scoperta ci avvicina di più a comprendere come creiamo e manteniamo i ricordi, come sviluppiamo le competenze e come possiamo sostenere ogni studente nel suo percorso di crescita.

In questo scenario, l’entusiasmo per le neuroscienze non è solo accademico, ma profondamente umano. Ogni connessione sinaptica che comprendiamo, ogni rete neurale che mappiamo, ci avvicina di più a un futuro in cui la didattica non è solo trasmissione di conoscenze, ma un viaggio condiviso verso la realizzazione del potenziale umano. È una chiamata all’azione per educatori, ricercatori e studenti, affinché si uniscano in un impegno collettivo per costruire un mondo in cui la tecnologia e la scienza lavorano in armonia con le aspirazioni umane, per creare ambienti di apprendimento che siano non solo efficienti, ma anche profondamente umani.

Oltre il Velo della Mente: La Danza delle Neuroscienze

Le neuroscienze, con la loro capacità di penetrare i misteri del sistema nervoso, ci offrono una lente attraverso cui osservare il cervello umano, questa meraviglia biologica che governa ogni aspetto del nostro essere. È attraverso lo studio delle sue intricate reti neuronali che scopriamo come impariamo, ricordiamo e trasformiamo le informazioni in conoscenza viva. Tra le scoperte più affascinanti vi è quella della plasticità cerebrale, un fenomeno che rivela la straordinaria capacità del cervello di riorganizzarsi e adattarsi in risposta alle esperienze.

La plasticità cerebrale ci racconta una storia di cambiamento e adattamento continuo. Immaginiamo il cervello come un paesaggio in costante mutamento, dove i sentieri neuronali si costruiscono e si demoliscono, si rinforzano e si ridimensionano, a seconda delle esperienze e degli stimoli che riceviamo. Ogni nuova esperienza, ogni nuovo apprendimento, lasciano un’impronta, modificano le connessioni sinaptiche, creano nuove vie attraverso cui i pensieri possono fluire. Questa dinamica continua di costruzione e ricostruzione ci dice che l’apprendimento non è mai statico, ma un viaggio perpetuo di scoperta e crescita.

Questa comprensione della plasticità cerebrale ha profonde implicazioni per l’educazione. Se il cervello è capace di adattarsi e trasformarsi, allora l’insegnamento deve essere altrettanto flessibile. L’educazione non può più essere vista come un semplice trasferimento di conoscenze predefinite, ma deve diventare un processo fluido, in grado di rispondere alle esigenze e alle esperienze uniche di ogni studente. Deve essere capace di stimolare il cervello in modi che siano significativi, rilevanti e coinvolgenti.

L’Intersezione del Pensiero: Neuroscienze e Scienze Cognitive

Gli studi cognitivi, concentrandosi sui processi mentali come la percezione, la memoria, l’attenzione e il linguaggio, offrono una mappa dettagliata delle funzioni della mente. Le neuroscienze, invece, penetrano i misteri biologici che sottendono questi processi, rivelando i meccanismi profondi che li governano. L’integrazione di queste due discipline ci permette di ottenere una comprensione più completa e sfumata del cervello e della mente, creando una base solida per sviluppare strategie didattiche che siano al contempo efficaci e mirate.

La percezione e l’attenzione, ad esempio, sono processi selettivi che influenzano in modo determinante l’apprendimento. Le neuroscienze cognitive hanno dimostrato come il concetto di “carico cognitivo” giochi un ruolo cruciale: sovraccaricare gli studenti con troppe informazioni contemporaneamente può ostacolare la loro capacità di comprendere e memorizzare. Invece, segmentare le informazioni in parti gestibili e utilizzare elementi visivi e uditivi per mantenere alta l’attenzione, può migliorare significativamente il processo di apprendimento. Immaginiamo un’aula dove le lezioni sono progettate non solo per trasmettere informazioni, ma per farlo in modo che il cervello degli studenti possa processarle efficacemente, senza essere sopraffatto.

La memoria, componente essenziale dell’apprendimento, segue un percorso complesso che va dall’acquisizione delle informazioni al loro consolidamento e recupero. Gli studi cognitivi ci mostrano queste fasi, mentre le neuroscienze chiariscono i meccanismi cerebrali sottostanti, come il ruolo dell’ippocampo nella formazione dei ricordi a lungo termine. Le tecniche didattiche che incorporano ripetizioni spaziate nel tempo e il recupero attivo delle informazioni sfruttano questi meccanismi naturali del cervello, potenziando la ritenzione delle conoscenze. Immaginiamo ora un ambiente educativo dove le lezioni sono strutturate in modo tale da favorire questi processi di consolidamento, con ripetizioni intelligenti e attività che stimolano il recupero attivo delle informazioni.

La metacognizione, o la consapevolezza e il controllo dei propri processi cognitivi, è un altro pilastro fondamentale per l’apprendimento efficace. Insegnare agli studenti strategie metacognitive, come la pianificazione, il monitoraggio e la valutazione del proprio apprendimento, può migliorare significativamente la loro autonomia e le capacità di problem-solving. Le neuroscienze cognitive suggeriscono che questi approcci non solo aiutano gli studenti a diventare più consapevoli dei propri processi mentali, ma anche a gestire meglio le loro risorse cognitive, rendendo l’apprendimento più efficiente e personalizzato. Immaginiamo quindi una didattica che non si limiti a trasmettere nozioni, ma che insegni anche come pensare, come riflettere sul proprio processo di apprendimento e come migliorarlo continuamente.

Neuroscienze in Aula: Una Sinfonia di Apprendimento

Le neuroscienze ci raccontano una storia profonda e affascinante su come apprendiamo, rivelando che ogni studente possiede un modo unico e irripetibile di assimilare il sapere. Immaginiamo una scuola dove le tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, diventano alleate preziose nel creare percorsi di apprendimento personalizzati. Ogni studente può essere guidato attraverso un cammino educativo che tiene conto delle sue specifiche esigenze, dei suoi punti di forza e delle sue passioni. Questo non solo aumenterebbe la motivazione, ma renderebbe l’apprendimento un’esperienza profondamente efficace e gratificante.

Ma c’è di più: le emozioni giocano un ruolo cruciale in questo viaggio. Gli studi neuroscientifici ci insegnano che emozioni positive, come la gioia e l’entusiasmo, possono agire come potenti catalizzatori per la memorizzazione e la comprensione dei concetti. Un ambiente scolastico che coltiva il benessere emotivo diventa così un terreno fertile dove le menti possono fiorire. Pratiche di mindfulness, tecniche di gestione dello stress e un curriculum che valorizzi le competenze socio-emotive sono strumenti essenziali per creare questo ambiente. In una scuola così, l’apprendimento diventa non solo un processo cognitivo, ma anche un’esperienza emotiva positiva.

E poi c’è la memoria, quella componente essenziale dell’apprendimento che ci permette di trattenere e richiamare le informazioni nel tempo. Le neuroscienze ci suggeriscono che la ripetizione spaziata e il recupero attivo delle informazioni sono strategie potenti per consolidare la memoria a lungo termine. Gli insegnanti, con questa conoscenza, possono pianificare le lezioni in modo da massimizzare la ritenzione delle informazioni, creando un ciclo continuo di apprendimento e rafforzamento.

Infine, il cervello apprende meglio quando viene stimolato in modo multisensoriale. Un’aula moderna e futuristica trasforma l’educazione in un’esperienza sensoriale senza precedenti. Le pareti dell’aula, animate da schermi interattivi, pulsano di vita, mostrando contenuti educativi in tempo reale, pronti a rispondere al tocco curioso degli studenti. Le scrivanie, con superfici tattili avanzate, invitano a esplorare modelli 3D virtuali, rendendo tangibili concetti complessi e astratti.

Nel cuore dell’aula, un santuario di realtà aumentata e virtuale attende. Qui, gli studenti indossano visori VR e vengono catapultati in mondi straordinari, da intricati laboratori di scienze a antichi siti storici ricostruiti con precisione. I suoni ambientali, perfettamente sincronizzati con le esperienze visive e tattili, avvolgono gli studenti, trasformando l’apprendimento in un’avventura coinvolgente e dinamica.

In questo spazio, la tecnologia non è un mero strumento, ma un compagno vibrante nell’odissea dell’apprendimento. Essa accende la curiosità e alimenta la creatività, facendo di ogni lezione un viaggio emozionante e indimenticabile. La realtà aumentata e virtuale aprono portali verso universi lontani, rendendo i concetti più complessi accessibili e comprensibili attraverso esperienze immersive e pratiche.

In questo ambiente magico, l’apprendimento si eleva a un’avventura multisensoriale, dove ogni senso, stimolato e coinvolto, contribuisce a costruire una comprensione profonda e duratura del mondo. Le lezioni diventano racconti epici, le conoscenze acquisite si intrecciano con emozioni vivide, e ogni giorno di scuola si trasforma in un capitolo straordinario della grande storia della conoscenza.

Conclusione

Nonostante le infinite potenzialità, l’integrazione delle neuroscienze nell’educazione incontra sfide formidabili. C’è la necessità imperiosa di formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano abbracciare e applicare le scoperte neuroscientifiche con la maestria di un artigiano che plasma l’argilla. Ma c’è di più: la delicatezza delle implicazioni etiche, come la privacy degli studenti e l’uso responsabile delle tecnologie, ci richiede una prudenza amorevole e una saggezza profonda.

Le neuroscienze offrono un’opportunità unica per rivoluzionare il sistema educativo, trasformandolo in un organismo vivente, vibrante, in perfetta sintonia con le esigenze del nostro tempo. Immaginiamo di applicare le conoscenze sul funzionamento del cervello per sviluppare strategie didattiche che non solo migliorano l’apprendimento, ma che accendono la scintilla della motivazione e nutrono il benessere emotivo degli studenti. Tuttavia, queste meravigliose innovazioni devono essere affrontate con un approccio etico e consapevole, garantendo che ogni passo avanti sia compiuto in modo responsabile e inclusivo.

Eppure, nonostante tutto, ecco mille classi, mille alunni, tantissimi docenti, che giorno dopo giorno, anno dopo anno, reiterano lo stesso rituale. Le lezioni si ripetono nella loro identica ritualità, come una danza antica, ciclica, inesorabile. Si ripetono, rinascendo come una fenice dai ricordi degli insegnanti, che rivedono se stessi bambini, seduti nei banchi di scuola. Un rito semplice, fatto di lezioni frontali, compiti per casa, interrogazioni e compiti in classe. Un rito che, reiterandosi, celebra se stesso, rendendo vane tutte le meraviglie pedagogiche, cognitive, scientifiche e neuroscientifiche che il nostro tempo ci offre.

È come se il tempo si fosse fermato, un perpetuo ritorno all’uguale, una liturgia educativa che resiste al cambiamento. Eppure, il mondo fuori corre veloce, evolve, si trasforma. Le neuroscienze ci hanno mostrato che l’apprendimento è un processo dinamico, un continuo divenire. La plasticità cerebrale ci invita a innovare, a creare, a esplorare nuovi modi di insegnare e apprendere. Ma nella sacralità della classe, spesso, tutto rimane immutato, in un’eco infinita di passato.

Possiamo immaginare un futuro diverso, dove le aule siano vivaci fucine di idee, dove le tecnologie si integrino armoniosamente con la didattica, dove ogni studente sia visto e valorizzato nella sua unicità. Un futuro in cui l’educazione sia una danza armoniosa tra scienza e arte, tra rigore e creatività, tra tradizione e innovazione. Un futuro dove le neuroscienze non siano solo una promessa lontana, ma una realtà viva, pulsante, che trasforma ogni giorno la vita degli studenti e degli insegnanti.

Perché, in fondo, l’educazione è questo: un atto d’amore, un impegno verso il futuro, un sogno che diventa realtà. E le neuroscienze sono il soffio vitale che può risvegliare questo sogno, che può farci volare alto, oltre i confini del conosciuto, verso un orizzonte di infinite possibilità.

Fonti

Eric R. Kandel, “In Search of Memory: The Emergence of a New Science of Mind”, W. W. Norton & Company, 2007.

Howard Gardner, “Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences”, Basic Books, 1983.

Carol S. Dweck, “Mindset: The New Psychology of Success”, Random House, 2006.

Stanislas Dehaene, “How We Learn: Why Brains Learn Better Than Any Machine…for Now”, Viking, 2020.

John Hattie, “Visible Learning: A Synthesis of Over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement”, Routledge, 2008.

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