Il problema della denatalità
Finalmente, dopo una ventina d’anni in cui in Italia si avverte il problema della denatalità, per cui di bambini ne nascono sempre di meno, i politici di tutti gli schieramenti si sono accorti della questione e stanno cercando di affrontarla, coinvolgendo nel dibattito anche il papa e tutte le autorità religiose e civili, nonché televisioni, giornali e social. Diciamo però che non solo l’intervento pubblico in questo campo è tardivo, ma anche inefficace; e nelle righe che seguono cercherò di spiegare il perché.
Tutti o quasi tutti i politici, i giornalisti, gli opinionisti comuni sono convinti che il fatto che nel mondo occidentale si facciano pochi figli, e che l’Italia sotto questo profilo stia peggio degli altri Paesi, dipenda escusivamente da cause economiche. Con le difficoltà che ci sono oggi nel trovare un lavoro stabile, nell’affrontare un mutuo per la casa o nel pagare l’affitto, nel far fronte a tutte le altre spese, tirare su un figlio o più figli è certamente un’impresa difficile e non alla portata di tutti. Le soluzioni che vengono prospettate perciò – dico prospettate, non attuate, perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare – vanno tutte in quella direzione: aumentare l’assegno familiare a chi ha più figli, dare a tutti i bambini l’opportunità di frequentare gli asili nido, ridurre il prezzo (l’IVA più che altro) su alcuni beni destinati all’infanzia, e così via. Queste misure sono necessarie, anzi indispensabili, ma non credo che possano da sole risolvere il problema della denatalità in Italia; certo, potrebbero migliorare la situazione attuale se eseguite con rapidità e coraggio, ma non sarebbero in grado di operare una vera e propria inversione di tendenza.
Perché dico questo? Perché sono convinto che la mancanza di figli nel nostro Paese non dipenda solo da cause economiche, ma anche da un atteggiamento culturale molto variato rispetto a quello che era in voga all’epoca dei nostri genitori o anche all’epoca nostra, alcuni decenni fa. Se infatti il calo pauroso delle nascite dipendesse soltanto da motivi economici, come si spiegherebbe il fatto che in altre epoche della storia, non antiche ma anche recenti, quando la ricchezza disponibile per le famiglie era molto minore di quella di adesso, e persino nei periodi di guerra e di carestia, i bambini nascevano in gran numero? Dalle mie parti, in Toscana, fino a due/tre generazioni fa, c’erano famiglie di contadini e operai con sei, sette, otto e più figli, quando anche il semplice sostentamento era un problema drammatico, quando le persone non avevano nulla o quasi e dovevano mettersi a lavorare duramente fin da bambini. Pativano la fame, la miseria e le malattie, eppure i figli nascevano, eccome. Se le cause economiche fossero le uniche alla base della denatalità, l’andamento demografico dovrebbe essere il contrario di quello che osserviamo dalle statistiche: in passato sarebbero dovuti nascere pochissimi figli, mentre oggi ne dovrebbero nascere molti di più. E invece accade il contrario.
A mio parere negli ultimi venti/trent’anni la mentalità delle persone o della maggioranza di esse, la maniera stessa di concepire la vita e gli obiettivi da realizzare in essa è cambiata in modo radicale: mentre fino a non molti anni fa la famiglia era un valore indiscusso e insostituibile, oggi quel che conta è il denaro, la realizzazione personale nel lavoro, l’individualismo più sfrenato; e questo sarebbe anche accettabile se ad esso non si unisse una spiccata tendenza al consumismo, al divertimento ad ogni costo, alle vacanze irrinunciabili, ai miti dei nostri tempi come la bellezza da mantenere tutta la vita e il successo nelle relazioni sociali e soprattutto extrafamiliari. L’emancipazione della donna, che l’ha portata giustamente ad esigere la parità con l’uomo e il diritto di avere un’indipendenza economica, ha però provocato inevitabilmente un allontanamento da quella che sarebbe la più nobile delle missioni a lei affidate, quella di essere madre, di dare la vita. Oltre a ciò, sono spariti alcuni valori che un tempo si accompagnavano alla procreazione dei figli, come la volontà di perpetuare la propria personalità in altri esseri che potessero in qualche modo far sopravvivere chi è destinato alla morte, come l’idea che un figlio può essere un valido aiuto per i genitori durante la vecchiaia (idea che oggi non c’è più, gli anziani vengono messi nei ricoveri), come anche il concetto un tempo molto diffuso secondo cui i figli costituiscono un ideale di vita, la volontà di raggiungere per loro mezzo quei traguardi che il genitore non ha ottenuto nella propria vita, ed altri ancora. Di questi grandi valori familiari di una volta non è rimasto più nulla o quasi: oggi ognuno vive per sé, è solo di fronte al mondo, la famiglia stessa finisce sempre più per disgregarsi, per non esistere più.
In queste condizioni, in una società cioè dove dominano l’edonismo, l’egocentrismo, l’individualismo, l’idea che si ha dei figli è profondamente cambiata: mentre un tempo essi erano considerati una ricchezza per una famiglia, oggi li si vede come un fastidio, un fardello inutile, un impiccio che impedisce ai genitori di fare le vacanze ai Caraibi o di poter uscire con gli amici e andarsi a divertire. Tirare su un figlio è impegnativo, si sa, ed è anche un sacrificio; ma oggi, come vediamo anche nella scuola e nel comportamento di tanti giovani, i sacrifici non li vuol fare più nessuno, ed è chiaro quindi che di questa mentalità il fenomeno della denatalità sia una fatale e inevitabile conseguenza. Una società che ha perduto i valori più autentici per seguire i falsi miti dei social e delle televisioni di oggi, i figli non li vuole, e non credo che provvedimenti di tipo economico possano risolvere alcunché, perché se è vero come è vero che quattro giovani donne su dieci affermano di non volere assolutamente diventare madri, non saranno gli incentivi o gli assegni familiari a far cambiare loro idea. Purtroppo la realtà è questa, avrà gravissime conseguenze sul nostro Paese, e mi consola solo il fatto che io non le vedrò perché non ci sarò più. Ma per adesso quel che vedo è un grande squallore, una diffusa immaturità di uomini e donne che, a trentacinque anni o più, dicono di non essere ancora pronti per fare i genitori. Aspettano forse i sessant’anni per farlo? Purtroppo a molti di loro, specialmente alle donne, accadrà di pentirsi del loro egoismo e probabilmente cambieranno idea; ma allora sarà troppo tardi, l’orologio biologico per loro non batterà più.
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