Non c’è distinzione tra identità digitale e identità reale

ARTICOLO SCRITTO DA: FRANCESCO LAVANGA,  FORMATORE E AUTORE DI SCUOLA OLTRE

Gli studenti e le studentesse rappresentano i migliori alleati per lo sviluppo di una formazione efficace in materia di cittadinanza digitale. Questo non solo sarebbe utile per loro stessi, ma anche per gli altri attori del mondo educativo e della formazione a scuola.

Le linee guida del MIUR riguardanti l’educazione civica presentano una distinzione fondamentale che contrasta con lo scopo stesso dell’educazione alla cittadinanza digitale. La legge n. 92 del 2019 ha stabilito l’obbligatorietà dell’insegnamento dell’educazione civica a scuola, cosa che, in generale, è una buona notizia, dato che in Italia c’è stato un vuoto legislativo sulla materia per circa 30 anni. L’ultimo intervento governativo in questo ambito risale addirittura al 1958, quando Aldo Moro introdusse l’insegnamento obbligatorio della materia nei programmi scolastici. L’educazione civica, tuttavia, è stata rimossa come disciplina a sé stante nel 1990, fino alla sua recente reintroduzione operativa nel 2020.

Le linee guida diffuse dal MIUR hanno identificato tre nuclei formativi concettuali, composti dai seguenti gruppi: costituzione, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà; sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio; cittadinanza digitale. All’interno del documento la “cittadinanza digitale” è intesa come “la capacità di un individuo di utilizzare consapevolmente e responsabilmente i mezzi di comunicazione virtuali”.

Tali linee guida hanno anche definito le competenze che gli studenti dovranno acquisire durante il primo e il secondo ciclo di istruzione. Nella lista relativa al primo ciclo, emerge una sottile dicotomia che potrebbe sfuggire alla maggior parte delle persone, ma che indica una distanza concettuale abissale rispetto alla vita quotidiana di tutti noi, in particolare quella delle nuove generazioni. Il documento, per quanto riguarda la competenza da acquisire da parte degli studenti, afferma: “Sa distinguere l’identità digitale da quella reale”.

È opportuno a questo punto sottolineare che tale distinzione non è presente nell’articolo 5 della Legge, la quale invece al punto “e” si limita a citare la gestione dell’identità digitale legata alla protezione della propria reputazione e alla gestione e la tutela dei propri dati. In qualche modo, quindi, la distinzione di significati nella riflessione del MIUR sembra deformare il senso stesso della legge.

Questa “sottigliezza” rischia di irrobustire quella che per il nostro tempo è diventata una misconcezione e richiede invece una riflessione molto più ampia, che rivoluziona le classiche strutture antropologiche, come ha già fatto notare il Professor Luciano Floridi, dell’Università di Oxford, grazie ai suoi lavori. Uno in particolare, The onlife Manifesto, offre una lodevole mappa di comprensione della sovrapposizione tra fisico e digitale che può aiutarci a capire qualcosa di più.

In questo lavoro Floridi (2015) sottolinea che le TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) non sono solo dei meri strumenti, ma vanno interpretate come delle vere e proprie forze dell’ambiente che stanno colpendo alcune dimensioni dell’individuo, come la concezione di sé (chi siamo), le interazioni reciproche (come socializziamo), la concezione di realtà (metafisica) e la nostra capacità, come individui, di agire autonomamente in situazioni specifiche e di prendere decisioni proprie. Queste trasformazioni hanno guidato a quattro grandi cambiamenti:

  1. la sfocatura della distinzione tra reale e virtuale;
  2. la sfocatura della distinzione tra essere umano, macchina e natura;
  3. il passaggio dalla scarsità all’abbondanza di informazioni
  4. il passaggio dal primato delle cose, delle proprietà e delle relazioni binarie a sé stanti, al primato delle interazioni, dei processi e delle reti.

Paradossalmente le linee guida del MIUR si contraddicono in quanto le altre competenze richieste in uscita evidenziano in maniera contraddittoria, rispetto alla distinzione identitaria digitale-reale, la necessità di imparare a vivere negli ambienti digitali.

Il vero senso dell’educazione alla cittadinanza digitale deve invece poter abbracciare queste riflessioni, che con lo sviluppo e la velocità di produzione delle nuove tecnologie, come la recente esplosione dell’intelligenza artificiale, hanno bisogno di essere espresse e dibattute, soprattutto in un’aula scolastica. Il momento storico che stiamo vivendo ci mette di fronte, per la prima volta in maniera consapevole, a delle sfide completamente nuove e complesse. Il progresso tecnologico ci impone una decostruzione (per dirla alla Derrida), seguita da una ricostruzione di senso che non può accontentarsi di qualche consiglio pratico su come affrontare il mondo digitale. Azioni che necessitano entrambe di un ripensamento del significato di essere umano in relazione con le macchine.

Al di là del qui evidenziato errore di senso delle linee guida del MIUR, ci si chiede com’è giusto affrontare l’educazione alla cittadinanza digitale per sollecitare l’attenzione verso questi aspetti. Le variabili nella dimensione didattica sono numerose. È inevitabile che i consigli pratici siano essenziali, in quanto c’è bisogno di strategie pronte all’uso per difendere la propria privacy, i propri dati e così via, perché in media passiamo online circa 6 ore al giorno (We Are Social 2023), con un numero che indubbiamente si alza nell’età dell’adolescenza. Allo stesso tempo è necessario dare vita ad attività di riflessione critica che possa restituire consapevolezza agli studenti, al fine di permettere loro di affrontare le sfide future.

Un suggerimento può essere utile a chiunque. Cercare, anche in quest’area educativa, di ascoltare le esperienze degli studenti e delle studentesse e progettare la didattica partendo dalle piattaforme e i software che usano. Capire come li usano e perché li usano. Spesso, sono proprio loro a entrare in contatto con le novità del settore tecnologico e i primi a esperire i nuovi spazi e dispositivi digitali. In questo modo è possibile sviluppare riflessioni che non riguardano solo la dimensione pratica delle nostre vite onlife, ma anche e soprattutto la dimensione del senso.

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