Le farfalle di Bierstadt

Pittore statunitense di origini tedesche, Albert Bierstadt (1830-1902) è ricordato soprattutto per i suoi suggestivi paesaggi del selvaggio West, opere basate su fotografie scattate dallo stesso artista ma rese ancora più drammatiche da potenti effetti di luce.

Celebri sono le sue vedute delle Montagne Rocciose, l’immensa catena montuosa che attraversa il Nord America da nord a sud, sul versante occidentale. Ne è un esempio Tempesta sulle Montagne Rocciose, Monte Rosalie, del 1866, una tela di ben 210×361 cm.

È una vista monumentale, esageratamente ampia (oggi servirebbe un grandangolo per ottenenre qualcosa di simile in fotografia), appositamente studiata per creare un forte impatto emotivo. In basso al centro si possono scorgere alcune minuscole figure umane, inserite per suggerire le dimensioni reali della scena.

Il monte Rosalie, così battezzato da Bierstadt in onore di Rosalie Osborne Ludlow, la moglie di un compagno di viaggio che di lì a poco divorzierà per sposare l’artista, svetta lontanissimo dietro la massa delle nubi (oggi quella vetta è nota come Monte Evans). L’artista vide quel panorama dal vero nel 1863, durante una spedizione per conto del governo degli Stati Uniti.

Della stessa zona è Montagne Rocciose, Lander’s Peak, dipinto nel 1863 subito dopo il ritorno dalla spedizione. Anche questa è una veduta ‘corretta’ ottenuta aggiungendo dettagli capaci di aumentare la suggestione della scena. Non sono stati raffigurati, invece, i nativi della tribù Shoshone che abitavano quelle terre, che pure Bierstadt aveva incontrato e raffigurato in alcuni bozzetti.

Del 1868 è una veduta della Sierra Nevada, in California. La luce, se possibile, è ancora più spettacolare. Il paesaggio appare enormemente profondo grazie all’accorgimento di aver lasciato in penombra il primo piano e aver dato il massimo della luminosità ai monti più lontani.
In primo piano solo le silhouette di alcuni cervi e poi un’immancabile specchio d’acqua che riflette e duplica il chiarore impalpabile della scena.

Per rendere ancora più emozionanti le sue vedute, Bierstadt era solito presentare al pubblico ogni nuovo quadro creando un evento carico di suspence: la tela veniva appesa in una stanza buia, coperta da drappi fastosi e rivelata al pubblico con l’apertura dei tendaggi, tra applausi scroscianti.

Ma da dove deriva questo linguaggio così scenografico? Non vi ricorda certe atmosfere romantiche della pittura tedesca? E infatti è là, in Germania, e precisamente a Düsseldorf, che Bierstadt impara a dipingere, dopo gli inizi da autodidatta in Massachussetts.
Rimane in Europa per per cinque anni, dal 1853 al 1858, viaggiando anche in Svizzera e in Italia (dove visita Roma, Napoli, Capri e Paestum). Il suo stile è già nitido e magniloquente, come si può osservare in questa vista del lago di Lucerna e nel panorama della Marina Piccola di Capri.

Al suo ritorno in patria espone con successo le sue vedute d’Europa e si unisce alla Hudson River School, un gruppo di paesaggisti fondato da Thomas Cole che sceglie di rappresentare gli sterminati territori americani con la forza evocativa della pittura romantica. Il nome deriva dalla valle del fiume Hudson, nel nord est degli Stati Uniti, dove dipingeva la prima generazione di artisti.

Fondamentale per questi pittori è stata la conoscenza delle opere di Lorrain, Constable e Turner. Tuttavia il gruppo è mosso da un forte intento nazionalista e dalla volontà di dimostrare l’indipendenza della pittura americana da quella europea.

Nelle vedute mozzafiato di Bierstadt c’era in più un vero e proprio intento ‘politico’: con quelle viste il pittore intendeva spronare il popolo americano a conquistare il grandioso Far West, presentandolo come una sorta di paradiso terrestre. L’artista, infatti, credeva nel “destino manifesto“, un’ideologia nata a metà dell’Ottocento secondo la quale gli abitanti degli Stati Uniti avevano l’inevitabile ed evidente missione divina di espandersi e affermare i loro valori di libertà e democrazia, in particolare verso ovest.

Ma in questo articolo, in verità, non volevo raccontarvi né dei favolosi paesaggi di Bierstadt né delle opinabili teorie che vi stanno dietro, bensì delle sue farfalle.

Le ho scoperte per caso, mentre setacciavo la rete per una raccolta a tema, ma mi hanno subito folgorata. Si tratta, infatti, del tipico gioco che tutti da piccoli abbiamo fatto con le tempere, spremendo un po’ di colori sulla metà di un foglio di carta, piegando l’altra metà e schiacciando per far allargare i colori.

Quelle di Bierstadt però sono realizzate con una tale maestria che non somigliano neanche lontanamente alle grossolane macchie simmetriche della nostra infanzia. L’artista le realizzava come ricordo da regalare alle signore sue ospiti, nel corso dei tanti inviti pubblici che amava fare in casa sua.

Ecco come una giornalista del Free Press di Detroit, presente a un incontro del 1892, raccontò l’episodio:

“Noi donne eravamo così felici di essere donne quel pomeriggio, perché il signor Bierstadt ha regalato a ogni signora un souvenir. Ecco come li ha realizzati. Ci siamo riuniti tutti intorno al tavolo e lui ha tirato fuori una tavolozza, un coltello e alcuni grossi fogli di spessa carta da disegno. Due o tre tocchi di pigmento sulla carta, una piega veloce, e tenendola ancora piegata contro una lastra di vetro, ha fatto dall’esterno due o tre colpi di quella spatola da mago e subito è apparsa una meravigliosa farfalla o falena brasiliana, completa di venature sulle ali! Con un tocco di matita ha aggiunto le antenne, l’autografo dell’artista è stato apposto all’angolo e ora ognuna di noi possiede un dipinto di Bierstadt”.

Di queste farfalle se ne conservano meno di una trentina. Naturalmente, per la loro stessa tecnica di realizzazione, non ne esistono due uguali. Ma le accomuna la raffinata esecuzione e l’impressionante iridescenza delle ali.

Questa tecnica non è stata inventata da Bierstadt, ma è probabile che il pittore l’abbia conosciuta durante gli anni trascorsi in Germania. L’idea, infatti, è attribuita al poeta tedesco Justinus Kerner (1786-1862) che avrebbe cominciato a praticarla dopo la piegatura di un foglio sul quale erano cadute accidentalmente alcune gocce di inchiostro.  La macchia simmetrica che si era formata aveva una forma molto interessante e così Kerner, nel 1857, cominciò a illustrare le sue poesie con queste immagini. Era nata la kleksografia.

La tecnica prese ben presto due strade separate: quella del gioco, con macchie che riproducono divertenti mostriciattoli e altre figure riconoscibili come, appunto, le farfalle, e quella della psicanalisi, in cui il paziente viene studiato attraverso ciò che tende a riconoscere in macchie piuttosto astratte.

Al primo gruppo appartiene la ricerca di Ruth McEnery Stuart e Albert Bigelow Paine, due autori statunitensi che nel 1896 hanno pubblicato Gobolinks, or Shadow-Pictures for Young and Old. Il libro spiega come realizzare dei piccoli mostri d’inchiostro e come fare con questi anche un gioco da tavolo scrivendo poesie ispirate ai personaggi, i gobolinks. Seguono decine di esempi.

Al secondo gruppo appartiene il lavoro di Hermann Rorschach (1884-1922), psichiatra svizzero noto per un test che porta il suo nome basato sulle kleksografie. Lui stesso, da bambino, aveva giocato con grande coinvolgimento a creare macchie simmetriche di inchiostro e, una volta completati gli studi, cercò di capire se la diversa interpretazione data da ciascuno a quelle forme potesse indicare un certo tipo di personalità ed eventuali problemi psichici. Per fare ciò predispose dieci tavole con macchie prive di somiglianze evidenti ad oggetti reali.

Raccoglierà le sue osservazioni in Psychodiagnostik A Diagnostic Test Based On Perception, un testo pubblicato nel 1921. Oggi il suo test e il suo approccio sono ancora in uso.

Quanto alle farfalle di Bierstadt, resta da dire solo una cosa: non esistono, nel campo dell’arte, ‘giochi da bambini’ che non possano essere fatti anche dagli adulti. Il divertimento e la meraviglia fanno bene a qualsiasi età. E in qualche caso ci scappa pure il capolavoro!

Continua la lettura su: https://www.didatticarte.it/Blog/?p=28136 Autore del post: DidatticArte didattica Fonte: http://www.didatticarte.it/Blog/

Articoli Correlati

Esercizi Per Imparare A Distinguere Lettere Maiuscole E Minuscole

L’apprendimento dell’alfabeto rappresenta una delle prime sfide per i bambini nella scuola primaria. Distinguere tra lettere maiuscole e minuscole è una delle competenze fondamentali che i bambini devono acquisire per scrivere correttamente e leggere con fluidità. I bambini della scuola primaria imparano non solo a riconoscere visivamente le lettere, ma anche a utilizzare maiuscole e minuscole in modo appropriato nel contesto della scrittura. Gli esercizi per imparare a distinguere lettere maiuscole e minuscole sono progettati per aiutare i bambini a sviluppare questa abilità in modo divertente e interattivo.Imparare quando e come usare le lettere maiuscole e minuscole è essenziale per scrivere frasi corrette e costruire testi più complessi. I bambini devono apprendere che le maiuscole si usano all’inizio di una frase, per i nomi propri, per i luoghi e in altre situazioni grammaticali specifiche. Allo stesso tempo, devono abituarsi a scrivere in minuscolo nei contesti in cui è appropriato. In questo articolo, esploreremo una serie di esercizi pratici per aiutare i bambini a distinguere correttamente tra maiuscole e minuscole, offrendo suggerimenti su come rendere l’apprendimento coinvolgente ed efficace.A fine articolo potrete scaricare gratuitamente in formato PDF gli “Esercizi Per Imparare A Distinguere Lettere Maiuscole E Minuscole, Italiano per la Scuola Primaria“.Indice
L’importanza di imparare a distinguere tra lettere maiuscole e minuscole nella Scuola PrimariaRiconoscere e utilizzare correttamente le lettere maiuscole e minuscole è un passaggio fondamentale per lo sviluppo delle competenze linguistiche e grammaticali nei bambini. Ecco perché questo aspetto dell’alfabetizzazione è così importante:1. Sviluppo della corretta scritturaImparare a distinguere tra maiuscole e minuscole aiuta i bambini a scrivere correttamente. Le maiuscole non solo segnano l’inizio di una frase, ma sono anche utilizzate per nomi propri, luoghi e altre categorie specifiche. Una conoscenza chiara di queste regole aiuta i bambini a scrivere testi leggibili e ben formati.2. Facilita la letturaRiconoscere immediatamente la differenza tra lettere maiuscole e minuscole facilita anche la lettura. Poiché le lettere maiuscole sono utilizzate per segnare punti importanti all’interno del testo, come l’inizio di una frase o i nomi propri, i bambini possono comprendere meglio la struttura del testo e la logica che lo sottende.3. Comprensione delle regole grammaticaliDistinguere tra maiuscole e minuscole non riguarda solo l’ortografia, ma implica anche la comprensione delle regole grammaticali della lingua italiana. Questo aiuta i bambini a diventare scrittori più sicuri e competenti, migliorando la loro capacità di comunicare efficacemente per iscritto.Tipologie di esercizi per imparare a distinguere lettere maiuscole e minuscolePer insegnare ai bambini a riconoscere e utilizzare correttamente le lettere maiuscole e minuscole, esistono una serie di esercizi che possono essere integrati nell’apprendimento quotidiano, sia a scuola che a casa. Vediamo alcune delle tipologie di esercizi più efficaci:1. Esercizi di abbinamento tra maiuscole e minuscoleUno degli esercizi più semplici e utili per insegnare la differenza tra maiuscole e minuscole è l’abbinamento. Ai bambini viene presentata una serie di lettere maiuscole e una serie di lettere minuscole, e devono abbinare le due versioni della stessa lettera.Esempio:Abbina le lettere maiuscole con quelle minuscole corrispondenti:A → a
B → b
C → cQuesto esercizio aiuta i bambini a visualizzare le differenze tra le due forme e a memorizzarle.2. Esercizi di scrittura di parole con maiuscole e minuscoleUn altro esercizio importante è quello di scrivere parole che includono sia lettere maiuscole che minuscole. I bambini possono essere incoraggiati a scrivere i loro nomi, iniziando con una maiuscola e continuando con lettere minuscole. Questo esercizio rafforza il concetto che le maiuscole si usano all’inizio di una parola, ma il resto della parola viene scritto in minuscolo.Esempio:Scrivi il tuo nome iniziando con una maiuscola e continua con le minuscole:Mario, Anna, Luca.3. Esercizi di riconoscimento di maiuscole all’interno di un testoQuesto esercizio prevede di presentare ai bambini un breve testo in cui devono identificare e cerchiare tutte le lettere maiuscole. Questo li aiuta a comprendere il contesto in cui le maiuscole vengono utilizzate, come all’inizio di una frase o per i nomi propri.Esempio di testo:“Marco e Anna giocano al parco. La mamma di Anna li osserva dalla panchina.”Istruzione: Sottolinea tutte le lettere maiuscole nel testo.4. Esercizi di completamentoIn questi esercizi, ai bambini viene chiesto di completare frasi inserendo la lettera maiuscola appropriata all’inizio di una frase o nei nomi propri. Questo tipo di esercizio li aiuta a praticare l’uso corretto delle maiuscole.Esempio:___ucas è andato a scuola.
Oggi è ___artedì.Completamento: Lucas, Martedì.5. Gioco del “Trova l’errore”Un altro esercizio coinvolgente è il “Trova l’errore”, in cui i bambini devono identificare e correggere errori nell’uso delle maiuscole e delle minuscole in un breve testo. Questo esercizio aiuta i bambini a sviluppare un occhio critico per la corretta ortografia.Esempio di testo:“lucia e giorgio sono andati al mare con la loro nonna.”Istruzione: Trova gli errori e riscrivili correttamente.Correzione: Lucia e Giorgio sono andati al mare con la loro nonna.6. Cruciverba di lettere maiuscole e minuscoleI cruciverba sono una risorsa divertente e interattiva per aiutare i bambini a esercitarsi con le lettere. Proponi cruciverba in cui le parole devono essere completate con l’iniziale maiuscola e le restanti lettere in minuscolo. Questo tipo di esercizio stimola la mente dei bambini e li aiuta a interiorizzare l’uso corretto delle lettere.Come rendere gli esercizi di maiuscole e minuscole più divertentiOltre agli esercizi standard, esistono molti modi per rendere l’apprendimento delle lettere maiuscole e minuscole più divertente e coinvolgente per i bambini. Ecco alcuni suggerimenti pratici:1. Lavagna magnetica con lettereLe lavagne magnetiche con lettere sono uno strumento visivo e tattile che permette ai bambini di costruire parole utilizzando lettere maiuscole e minuscole. I bambini possono giocare a formare parole e frasi, imparando così a distinguere tra le diverse forme delle lettere.2. Scrittura creativaIncoraggia i bambini a scrivere brevi racconti o frasi utilizzando lettere maiuscole e minuscole in modo corretto. La scrittura creativa stimola la loro fantasia e permette loro di praticare le regole grammaticali in un contesto più libero e creativo.Esempio:Scrivi una breve storia su un animale che ti piace, usando correttamente le maiuscole all’inizio delle frasi e per i nomi propri.3. Giochi di squadraPuoi rendere l’apprendimento delle lettere maiuscole e minuscole più interattivo attraverso giochi di squadra. Dividi i bambini in gruppi e sfidali a trovare il maggior numero di lettere maiuscole e minuscole in un testo o in un libro. Questo approccio stimola la collaborazione e rende l’apprendimento più dinamico.4. Puzzle alfabeticiI puzzle alfabetici sono un’altra attività divertente che può aiutare i bambini a memorizzare le lettere maiuscole e minuscole. I bambini devono abbinare correttamente le lettere maiuscole con quelle minuscole per completare il puzzle, imparando così a riconoscere visivamente le differenze.ConclusioneGli esercizi per imparare a distinguere lettere maiuscole e minuscole sono fondamentali per sviluppare una solida base di competenze linguistiche nei bambini della scuola primaria. Attraverso attività pratiche come esercizi di abbinamento, dettati, giochi e app educative, i bambini possono imparare in modo divertente e interattivo. Rendere l’apprendimento delle maiuscole e minuscole un’esperienza coinvolgente aiuta i bambini a sviluppare una corretta scrittura e una maggiore fiducia nelle loro capacità.Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF gli “Esercizi Per Imparare A Distinguere Lettere Maiuscole E Minuscole, Italiano per la Scuola Primaria“, basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:Domande Frequenti su ‘Esercizi Per Imparare A Distinguere Lettere Maiuscole E Minuscole, Italiano per la Scuola Primaria’Che cosa sono gli esercizi per distinguere lettere maiuscole e minuscole?Sono attività educative progettate per insegnare ai bambini a riconoscere e utilizzare correttamente le lettere maiuscole e minuscole dell’alfabeto. Questi esercizi aiutano a sviluppare una comprensione visiva delle differenze tra i due formati e migliorano la capacità di scrittura e lettura.
A chi sono rivolti questi esercizi?Questi esercizi sono ideali per i bambini della scuola primaria, soprattutto per quelli che stanno iniziando a scrivere e leggere, e che hanno bisogno di imparare a usare correttamente maiuscole e minuscole in italiano.
Perché è importante imparare a distinguere le lettere maiuscole e minuscole?È importante perché permette ai bambini di scrivere correttamente frasi e testi, sapendo quando usare le maiuscole (per esempio, all’inizio di una frase o per i nomi propri) e quando usare le minuscole. Aiuta anche a migliorare la lettura e la comprensione dei testi.
Come posso aiutare mio figlio a imparare a distinguere le maiuscole dalle minuscole?Puoi aiutare tuo figlio praticando esercizi quotidiani di scrittura e lettura, utilizzando giochi di abbinamento e schede didattiche. La lettura di libri adatti alla sua età e il riconoscimento delle lettere durante le attività quotidiane può essere molto utile.
Quanto tempo dovrebbero dedicare i bambini a questi esercizi?Si consiglia di dedicare almeno 10-15 minuti al giorno a questi esercizi, specialmente nelle fasi iniziali dell’apprendimento, per rinforzare la conoscenza delle lettere maiuscole e minuscole e per renderli più sicuri nella scrittura.
Questi esercizi sono adatti per bambini con difficoltà di apprendimento?Sì, questi esercizi possono essere facilmente adattati per bambini con difficoltà di apprendimento, utilizzando attività visive e giochi più interattivi che rendano l’apprendimento più accessibile e stimolante.Clicca per votare questo articolo!Maestra di Sostegno – Scuola Primaria

Quando la firma dell’artista entra nella scena

Qualche giorno fa sono stata a Palazzo Roverella, Rovigo, a vedere la mostra “Hammorshøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia“. Una bella esposizione, che consiglio soprattutto a chi non conosce ancora questo suggestivo pittore danese (se però avete letto Il mondo alla finestra, lo avete già incontrato…).

Ma non è di lui che volevo parlarvi oggi, ma di un curioso dettaglio che ho notato in un dipinto di Giovanni Bellini (1430-1516) visto alla fine della mostra, che mi ha fatto scattare la curiosità di indagare su questo aspetto.

Si tratta di una Madonna col Bambino del 1470-1480 in cui la firma dell’artista è scritta su un pezzetto di carta che, con perfetto illusionismo, sembra incollato al parapetto di marmo dietro cui stanno i personaggi. “IOANNES BELLINUS” è il nome in latino del pittore, con l’aggiunta della P che sta per pinxit, cioè “ha dipinto”.

Bellini ha usato lo stesso dispositivo anche in altre opere, imitando in alcuni casi le pieghe della carta.

Questo cartiglio trompe-l’œil non è però un semplice vezzo ma una dimostrazione di virtuosismo in un’epoca, come il Rinascimento, nella quale la capacità di imitare la realtà era considerata una delle massime virtù pittoriche. Il cartiglio, inoltre, funge da “certificato di autenticità” ante litteram con cui l’artista rivendicava la paternità dell’opera in modo inequivocabile e permanente.
L’uso del cartiglio, infine, richiama la tradizione delle iscrizioni classiche, in linea con il gusto umanistico dell’età di Bellini. La firma in latino con l’aggiunta di pinxit o faciebat era un’ulteriore affermazione del legame con la cultura classica.

Ma quello che mi interessa di più è il fatto che, grazie al cartiglio, la firma diventa un elemento della composizione. L’autografo dell’artista non viene semplicemente giustapposto all’opera ma entra fisicamente nella scena diventando parte integrante della narrazione pittorica.Questo è ancora più evidente nel suo San Francesco nel deserto del 1480, in cui il cartiglio è impigliato a un ramo secco, in basso a sinistra.

Nello stesso periodo anche Antonello da Messina ha firmato alcune sue opere dentro un cartiglio realistico. Sappiamo che intorno al 1475 i due artisti si conoscono a Venezia, dove il pittore siciliano introdusse la lezione fiamminga della pittura a olio e della resa del dettaglio. Ma non si sa chi dei due abbia firmato per primo dentro un foglietto.
Antonello però aggiungeva anche la data così da permetterci di conoscere l’anno di realizzazione dell’opera (anche se a volte ritoccava il dipinto anni dopo). Nel cartiglio del suo Salvator Mundi, per esempio, c’è scritto all’incirca “Mille simo quatricentessimo sexstage/simo quinto viije Indi Antonellus Messaneus me pinxit”, cioè “Nell’anno 1465, Antonello da Messina mi ha dipinto”.Questo cartiglio non solo autentica l’opera, ma è anche uno stratagemma visivo che contribuisce alla profondità e alla spazialità della composizione, con pieghe e ombre che lo fanno balzare in rilievo sul parapetto.

Come Bellini era veneziano di nascita anche Carlo Crivelli (1435-1495) ma nei suoi dipinti non mostra evidenti influssi di Bellini o di Antonello. La sua pittura esibisce invece un gusto per il decorativismo tardogotico. E tuttavia era un appassionato degli effetti trompe l’oeil che applicava a fiori, frutti e cartigli, apparentemente sporgenti dai quadri, come in questa Madonna col Bambino del 1480. Il cartiglio recita “OPUS KAROLI CRIVELLI VENETI”, cioè “opera del veneto Carlo Crivelli”.
Qui, per altro, di illusionistico non c’è solo il cartiglio ma anche la mosca che, per dimensioni e posizione, non sembra far parte della scena ma pare quasi posata sul dipinto, tanto che un osservatore potrebbe essere tentato di cacciarla via.

Il cartiglio non era nel Quattrocento l’unico modo per firmare un’opera dentro un elemento della scena. Jan van Eyck, per esempio, ha siglato i suoi Coniugi Arnolfini del 1434 dipingendo sulla parete di fondo della stanza le parole “Johannes de Eyck fuit hic” (cioè “Johannes van Eyck è stato qui”).Quella scritta avrebbe anche un’altra valenza e cioè quella di dichiararsi testimone della promessa di matrimonio che avviene tra la coppia in primo piano.

Andrea Mantegna, invece, sceglie un modo particolarmente erudito di firmare il suo primo San Sebastiano, quello del 1457-1459 conservato a Vienna. Qui, sul pilastro a cui è legato il martire, incide in verticale le parole greche “ΤΟ ΕΡΓΟΝ ΤΟΥ ΑΝΔΡΕΟΥ” che significano “Opera di Andrea”.La scelta del greco al posto del latino è piuttosto rara e rivela la volontà del pittore di affermare la propria identità artistica con un richiamo colto all’antichità e il suo legame con l’ambiente umanistico e accademico di Padova, città dove l’opera fu realizzata.

Tuttavia la firma dell’opera – “ambientata” o meno che fosse – non era una pratica diffusa né sempre consentita, specialmente perché l’artista lavorava su commissione per un committente o un mecenate, che deteneva ogni diritto sull’opera. La paternità del dipinto era sancita già dal contratto di commissione, cosa che rendeva superflua la firma dell’artista sull’opera stessa.Inoltre, firmare l’opera poteva essere visto come un atto di vanità o di rottura con la concezione che l’arte fosse al servizio del potere e della committenza, non dell’individualità dell’artista. Questo è il motivo per cui a volte la firma veniva mimetizzata inserendola in modo discreto all’interno della scena.
È mimetizzata, per esempio, la firma di Michelangelo sulla sua Pietà del 1497-1499. Lo scultore la incise in un secondo momento sulla fascia che attraversa il petto della Madonna poiché, davanti a un’opera così straordinaria, alcuni contemporanei la attribuirono a un artista lombardo, non credendo che potesse essere stata concepita da uno scultore così giovane (Michelangelo aveva circa 23 anni). E dunque tracciò la scritta MICHAEL·ANGELUS·BONAROTUS·FLORENT[INUS]·FACIEBA[T], cioè “fatto dal fiorentino Michelangelo Buonarroti”). Quella fu la prima e ultima volta che Michelangelo firmò un’opera.

Un altro interessante esempio di firma ambientata (e camuffata) viene da Perugino e si trova nella sua Madonna in gloria e santi del 1500. La sua collocazione è piuttosto singolare: si trova sulla ruota di legno, simbolo del martirio di Santa Caterina d’Alessandria, posata per terra e recita “PETRUS PERRUSINUS PINXIT” (“Dipinto da Pietro Perugino”).L’artista comunque firmò con il proprio nome solo un numero limitato di opere, prevalentemente pubbliche, nelle quali era importante certificare l’autore per motivi di prestigio e garanzia artistica. 

Verso la fine del Quattrocento la figura del pittore stava emergendo definitivamente come creatore individuale e non più come semplice esecutore anonimo. Si stava compiendo il passaggio dall’artigiano all’intellettuale e la firma testimoniava questo nuovo status dell’artista. Questo è particolarmente evidente nella produzione di Albrecht Dürer, che di questo nuovo ruolo era particolarmente fiero.
Le sue opere, che si tratti di incisioni o dipinti, sono tutte firmate con il suo celebre monogramma formato da una grande A che contiene una piccola D. Ma la cosa interessante è che spesso la sua firma è inserita in modo molto originale all’interno di elementi della scena. Nel Cristo tra i dottori del 1506, è posta su un foglietto che, come un segnalibro, è inserito tra le pagine di un grosso tomo in basso a sinistra.

A maggior vanto accompagnò la firma con un’iscrizione latina che recita “opus quinque dierum“, cioè “opera fatta in cinque giorni”, sottolineando sia la paternità del dipinto sia la rapidità con cui fu eseguito.
Nella Festa del Rosario, dello stesso anno, Dürer ha fatto anche di più: ha inserito il proprio autoritratto in fondo a destra, nella scena sacra, con in mano un cartiglio su cui si legge “EXEGIT QUINQUE MESTRI SPATIO ALBERTUS DURER GERMANUS MDVI” (“Albrecht Dürer, il tedesco, eseguì [l’opera] nello spazio di cinque mesi, 1506”) seguito dal tipico monogramma. Anche in questo caso, dunque, l’artista ha tenuto a precisare di aver completato il dipinto in cinque mesi, un periodo che richiama simbolicamente le cinque decine del rosario. L’iscrizione funge dunque sia da firma sia da dichiarazione della devozione con cui l’artista ha realizzato l’opera.

Nell’Adorazione della Trinità (o Altare di Landauer) dipinta nel 1511 Dürer ripete lo stesso stratagemma con un autoritratto in basso a destra a figura intera, ma in proporzioni ridotte, nell’atto di sorreggere una grande iscrizione. Qui si può leggere “ALBERTUS DURER NORICUS FACIEBAT ANNO A VIRIGINIS PARTU 1511”, cioè “Albrecht Dürer di Norimberga ha fatto [questa opera] nell’anno 1511 dopo il parto della Vergine” (dunque dalla nascita di Cristo).

Gli abiti eleganti e lo sguardo diretto verso l’osservatore rivelano l’orgoglio di Dürer per quegli incarichi e per essere stato colui che ha iniziato il Rinascimento nel nord Europa. Tuttavia normalmente la sua firma era più discreta e spesso nascosta nella scena.In questo San Girolamo nello studio del 1514 ci sono solo data e mongramma su una tavoletta stesa sul pavimento e osservata in prospettiva.

In altre incisioni la firma si trova su rocce, cartigli e insegne, distribuiti in mezzo al paesaggio.

Quella di Dürer resta comunque un’eccezione. La maggior parte degli artisti del primo Cinquecento raramente autografava le opere usando una “firma ambientata”. Ma i pochi casi sono assolutamente degni di nota. Per esempio la firma di Raffaello (RAPHAEL URBINAS) sul bracciale della Fornarina del 1520.Questa iscrizione non starebbe però a certificare la paternità dell’opera bensì il presunto legame sentimentale tra la donna ritratta (Margherita Luti, la figlia di un fornaio) e il pittore stesso.

Più curioso è il caso della firma del ferrarese Dosso Dossi (al secolo Giovanni Francesco di Niccolò Luteri) nel suo San Girolamo del 1520-1525. Si tratta infatti di un piccolo rebus congegnato con una D attraversata da un osso posizionati in basso a destra, sul terreno, a formare il nome dell’artista: D-OSSO.

Ben più macabro è l’autografo che Caravaggio ha nascosto nella sua Decollazione di Giovanni Battista del 1607-1608, unica opera firmata del pittore. Il suo nome di battesimo (si chiamava Michelangelo Merisi) è infatti parzialmente tracciato sul terreno con il sangue che sgorga dalla gola del Battista.La F che precede il nome sarebbe da ricollegarsi alla nomina dell’artista nell’Ordine dei Cavalieri di Malta, dunque si leggerebbe come “f[ra] michelangelo”. Ma la scelta di scrivere il suo nome col sangue potrebbe anche significare il pentimento di Caravaggio per aver ucciso Ranuccio Tomassoni nel 1606, fatto che lo costrinse a fuggire da Roma e a rifugiarsi a Malta.

Tra i dipinti celebri firmati in un elemento della scena va ricordato anche il celebre Ritratto di papa Innocenzo X di Diego Velázquez. Il foglio che il pontefice tiene nella mano sinistra reca la seguente iscrizione: “alla Santà di N.ro Sign.re / Innocentiox/ per Diego de Silva / Velàzsquez de la Camera di S. M.tà Catt.ca”. Questa dedica, scritta in italiano seicentesco, si può tradurre come: “Alla Santità di Nostro Signore Innocenzo X, da Diego de Silva Velázquez, della Camera di Sua Maestà Cattolica”.Sotto questa iscrizione è riportato anche l’anno di esecuzione del dipinto, il 1650. La presenza di questa scritta, che funge da vera e propria firma, non solo attesta l’autore dell’opera ma sottolinea anche il prestigio dell’incarico ricevuto da Velázquez alla corte pontificia.

Col passare del tempo e con il passaggio a un’epoca – l’Ottocento – in cui il pittore inizia a dipingere anche senza commissione, l’abitudine a firmare l’opera diventa più diffusa, dato che la tela partecipa ai Salon e l’artista ha bisogno di promuovere il suo nome. Ma proprio per questo motivo la firma non viene più ambientata e nascosta nell’opera ma diventa una sigla ben visibile apposta sulla tela, spesso in un colore contrastante. Questo è particolarmente evidente nelle tele di Gustave Courbet…

… e in quelle di Claude Monet.

A fronte di questi autori, che siglavano tutte le loro tele, Vincent van Gogh ne firmò solo una trentina usando semplicemente il nome di battesimo. In genere la firma è in un angolo della tela, ma in qualche raro caso è integrata nell’opera, come nel vaso dei girasoli autografato sopra il vaso.

Tuttavia, cercando con attenzione, si trovano ancora alcuni esempi di firma ambientata e nascosta. Uno dei più eclatanti è nella Libertà che guida il popolo, il capolavoro di Eugène Delacroix. Qui, su due pezzi di legno delle barricate, a destra del ragazzo con le pistole, si legge in rosso “Eug. Delacroix” e “1830”.Firmare su quell’elemento può essere interpretato come un modo per legare il proprio nome direttamente all’evento storico e al luogo simbolico della lotta, sottolineando così il coinvolgimento artistico e ideale di Delacroix nella rivoluzione (sembra che anche l’uomo col cilindro sia un suo autoritratto), sebbene il pittore non abbia preso realmente parte alla sommossa.

Un altro esempio ottocentesco è quello del macchiaiolo Telemaco Signorini. In tante sue opere la firma è perfettamente visibile e collocata, come da consuetudine, nell’angolo in basso a destra o a sinistra. Tuttavia è spesso inclinata vistosamente in modo da apparire adagiata sul selciato secondo la prospettiva.

In altri casi sembra dipinta sul muro di una casa.

Tutte queste firme inserite nella scena, dal Quattrocento all’Ottocento, sono per me dei dettagli estremamente affascinanti perché raccontano storie anche attraverso ciò che non si vede immediatamente e rivelano quel profondo intreccio tra arte e società che si è dipanato nei secoli in forme sempre diverse. Ma parlano anche di un dialogo segreto che l’artista intrattiene con l’osservatore, sfidandolo in una piccola caccia al tesoro. Non si tratta dunque di semplici marchi di fabbrica ma di autentiche tracce d’identità che gli artisti hanno voluto lasciare senza alterare l’armonia visiva dell’opera.

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000